1 GIUGNO

È necessario che tu dia testimonianza anche a Roma

At 22,30; 23,6-11; Sal 15,1-2.5.7-11; Gv 17,20-26.

Quanto Cristo Gesù dice ai suoi discepoli, assicurando loro la presenza e l’assistenza dello Spirito Santo quando essi si troveranno dinanzi ai tribunali per essere interrogati dagli uomini, trova altissima conferma nella parola messa oggi sulla bocca di Paolo e da lui rivolta al sinedrio: «Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti». È lo Spirito Santo che confonde le loro lingue, ponendoli l’uno contro l’altro, setta contro setta, schieramento contro schieramento. Per questa sapienza dello Spirito, San Paolo ha potuto salvare la sua vita ormai prossima a sicura morte. Sadducei e farisei sono di fede opposta e contrapposta. Gli uni credono nella risurrezione. Gli altri la negano con aggressiva ferocia. Costoro non tollerano che qualcuno possa mettere in dubbio la loro fede.

Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra; in verità io vi dico: non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo. Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia! (Mt 10,16-25).

Le vie del Signore sono misteriose, arcane, incomprensibili ad ogni uomo. Paolo è mandato nel sinedrio come ultima grazia di salvezza per il suo popolo. Sono passati tanti anni dalla risurrezione di Gesù. Ai figli di Abramo è stato concesso tanto tempo per riflettere, pensare, pregare, chiedere al Dio di Abramo ogni luce di sapienza e di verità. Oggi Paolo constata che l’ostinazione è al sommo. Non c’è in essi alcuno spiraglio perché Cristo Gesù possa entrare in essi. L’apostolo avrebbe potuto pensare: “Non ho fatto a sufficienza per il mio popolo”. Ora non lo può più pensare. Può partire per Roma nella pace di una coscienza retta che ha adempiuto il suo ministero.

Il giorno seguente, volendo conoscere la realtà dei fatti, cioè il motivo per cui veniva accusato dai Giudei, gli fece togliere le catene e ordinò che si riunissero i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio; fece condurre giù Paolo e lo fece comparire davanti a loro. Paolo, sapendo che una parte era di sadducei e una parte di farisei, disse a gran voce nel sinedrio: «Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti». Appena ebbe detto questo, scoppiò una disputa tra farisei e sadducei e l’assemblea si divise. I sadducei infatti affermano che non c’è risurrezione né angeli né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose. Ci fu allora un grande chiasso e alcuni scribi del partito dei farisei si alzarono in piedi e protestavano dicendo: «Non troviamo nulla di male in quest’uomo. Forse uno spirito o un angelo gli ha parlato». La disputa si accese a tal punto che il comandante, temendo che Paolo venisse linciato da quelli, ordinò alla truppa di scendere, portarlo via e ricondurlo nella fortezza. La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: «Coraggio! Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma».

Il Signore rassicura Paolo. Anche a Roma Lui dovrà rendere testimonianza al popolo dei Giudei. Anche in quella città lui dovrà constatare che non vi è alcuna possibilità di infrangere il muro di incredulità perché Cristo entri nel loro cuore. Ma ancora dovrà rendere testimonianza a persone importanti del suo popolo, così che nessuno domani dinanzi al cospetto del Signore potrà dire di non avere ascoltato la Parola della vita, che gli annunziava Cristo Gesù come suo unico e solo vero Redentore e Salvatore. La vita dell’apostolo è strumento perfetto nelle mani dello Spirito Santo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci interamente dello Spirito.

 

2 GIUGNO

Un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere vivo

At 25,13-21; Sal 102,1-2.11-12.19-20; Gv 21,15-19.

Nel giorno della chiamata di Paolo sulla via di Damasco fu rivelato ad Anania qual era l’esatta sua missione. Lui dovrà portare il nome di Gesù dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele. Altra verità era la sua grande sofferenza. Lui sarebbe divenuto immagine perfetta di Cristo Crocifisso. Anche questa verità si è compiuta in lui.

C’era a Damasco un discepolo di nome Anania. Il Signore in una visione gli disse: «Anania!». Rispose: «Eccomi, Signore!». E il Signore a lui: «Su, va’ nella strada chiamata Diritta e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco, sta pregando e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire a imporgli le mani perché recuperasse la vista». Rispose Anania: «Signore, riguardo a quest’uomo ho udito da molti quanto male ha fatto ai tuoi fedeli a Gerusalemme. Inoltre, qui egli ha l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome». Ma il Signore gli disse: «Va’, perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: «Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo». E subito gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Si alzò e venne battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono (At 9,10-19).

Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen (Gal 6,14-18).

Possiamo affermare che tutte le nazioni sono passate dinanzi a Paolo. Ogni uomo, piccolo o grande, si è incontrato con lui. Ogni autorità ha avuto modo di vederlo e di ascoltarlo, non sempre per sua scelta, ma perché condotto con violenza alla sua presenza. Ora è il momento del re Agrippa e di Berenice. Anche Essi domani non avranno scusa dinanzi a Dio nel giorno del giudizio. Non solo hanno ascoltato la Parola della salvezza, della vita eterna, hanno anche visto un martire di Cristo, un crocifisso per il suo Maestro, uno che era in carcere senza aver commesso nessun crimine, come i suoi stessi giudici confessano e testimoniano. Predicare il Vangelo dalle catene dona un sapore altissimo di verità. Ora il re Agrippa e Berenice sanno chi è Paolo, chi è Cristo Gesù e perché Paolo, pur essendo innocente, è nel carcere da più anni.

Erano trascorsi alcuni giorni, quando arrivarono a Cesarèa il re Agrippa e Berenice e vennero a salutare Festo. E poiché si trattennero parecchi giorni, Festo espose al re le accuse contro Paolo, dicendo: «C’è un uomo, lasciato qui prigioniero da Felice, contro il quale, durante la mia visita a Gerusalemme, si presentarono i capi dei sacerdoti e gli anziani dei Giudei per chiederne la condanna. Risposi loro che i Romani non usano consegnare una persona, prima che l’accusato sia messo a confronto con i suoi accusatori e possa aver modo di difendersi dall’accusa. Allora essi vennero qui e io, senza indugi, il giorno seguente sedetti in tribunale e ordinai che vi fosse condotto quell’uomo. Quelli che lo incolpavano gli si misero attorno, ma non portarono alcuna accusa di quei crimini che io immaginavo; avevano con lui alcune questioni relative alla loro religione e a un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere vivo. Perplesso di fronte a simili controversie, chiesi se volesse andare a Gerusalemme e là essere giudicato di queste cose. Ma Paolo si appellò perché la sua causa fosse riservata al giudizio di Augusto, e così ordinai che fosse tenuto sotto custodia fino a quando potrò inviarlo a Cesare».

Paolo è nel carcere come vero, autentico, credibile missionario di Cristo. Lui lo sa e non perde nessuna occasione per rendere testimonianza a Gesù Signore. Non ha né paura e né soggezione degli uomini, anche se potenti, potentissimi. Non ha neanche paura di sfidare Cesare, appellandosi al suo giudizio. Anche Cesare deve ascoltare la Parola della verità. Anche per lui Gesù è morto ed è ben giusto che a lui si rechi il lieto annunzio della salvezza. Veramente Dio vuole che tutti gli uomini si salvino.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci strumenti di salvezza.

 

3 GIUGNO

A causa della speranza d’Israele

At 28,16-20.30-31; Sal 10,4-5.7; Gv 21,20-25.

Paolo giunge a Roma. Gode di una certa libertà. Lui sa che la sua missione ancora non si è conclusa. Ha parlato in tutte le sinagoghe dei Giudei sparse per la terra. È stato nel sinedrio di Gerusalemme. Solo ai figli di Abramo che sono in Roma ancora non ha annunziato Cristo Gesù. Li convoca ed essi vi si recano e a loro annunzia Cristo Gesù. Lo annunzia come Colui che è venuto per dare compimento alla speranza di Israele. La speranza di Israele sono tutte le promesse di Dio nel cui compimento è la vera vita del popolo del Signore. Tutte quelle promesse si sono adempiute, sono divenute storia. Dio nulla deve più adempiere. Ogni sua parola in Cristo si è fatta vita. Qual è la risposta a questo annunzio? Un totale rifiuto. Tant’è che Paolo vede in questa loro cecità e sordità il compimento della profezia di Isaia.

Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria». Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!». Egli disse: «Va’ e riferisci a questo popolo: “Ascoltate pure, ma non comprenderete, osservate pure, ma non conoscerete”. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, rendilo duro d’orecchio e acceca i suoi occhi, e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da essere guarito». Io dissi: «Fino a quando, Signore?». Egli rispose: «Fino a quando le città non siano devastate, senza abitanti, le case senza uomini e la campagna resti deserta e desolata» (Is 6,1-11).

Paolo si vede a volte come il profeta Geremia, perché chiamato fin dal seno di sua madre, a volte come il profeta Isaia, come Lui ha visto la gloria del Cristo Crocifisso. Come l’uno e l’altro è mandato dal suo popolo, ma con scarsissimi risultati. Quella profezia è come se durasse non solo per il presente, ma anche per i secoli futuri.

Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per conto suo con un soldato di guardia. Dopo tre giorni, egli fece chiamare i notabili dei Giudei e, quando giunsero, disse loro: «Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo o contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato nelle mani dei Romani. Questi, dopo avermi interrogato, volevano rimettermi in libertà, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. Ma poiché i Giudei si opponevano, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere, con questo, muovere accuse contro la mia gente. Ecco perché vi ho chiamati: per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena».

E, avendo fissato con lui un giorno, molti vennero da lui, nel suo alloggio. Dal mattino alla sera egli esponeva loro il regno di Dio, dando testimonianza, e cercava di convincerli riguardo a Gesù, partendo dalla legge di Mosè e dai Profeti. Alcuni erano persuasi delle cose che venivano dette, altri invece non credevano. Essendo in disaccordo fra di loro, se ne andavano via, mentre Paolo diceva quest’unica parola: «Ha detto bene lo Spirito Santo, per mezzo del profeta Isaia, ai vostri padri: Va’ da questo popolo e di’: Udrete, sì, ma non comprenderete; guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano, e io li guarisca! Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio fu inviata alle nazioni, ed esse ascolteranno!».

Ora la missione di Paolo è compiuta. Tutto il mondo ha ascoltato la sua parola, a tutti i Giudei è stato rivelato Cristo Signore, a tutti i re della terra l’annunzio è stato portato.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci perfetti nella missione.

 

4 GIUGNO – Domenica di Pentecoste

E tutti furono colmati di Spirito Santo

At 2,1-11; Sal 103,1.24.29-31.34; 1 Cor 12,3b-7.12-13; Gv 20,19-23.

La falsità è la lingua dell’incomprensione, della contrapposizione, della divisione, della guerra. La lingua falsa è a sua volta il frutto del cuore malvagio, superbo, altèro. Un cuore cattivo produce parole cattive. La parole cattive generano povertà spirituale e materiale nell’umanità, perché mettono l’uomo contro l’altro uomo. La verità è invece la lingua della comprensione, dell’unione, della comunione, della solidarietà, della condivisione, della pace, della vita. La parola vera è il frutto del cuore di carne, quel cuore che per mandato eterno del Padre solo lo Spirito Santo può creare in noi. Ma anche per volontà eterna di Lui, solo Cristo Gesù potrà effondere sulla terra. Oggi Gesù lo ha effuso sugli Apostoli, gli Apostoli lo effonderanno sopra ogni carne. Luca narra l’evento della Pentecoste come l’annunzio della fine della Torre di Babele.

Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole. Emigrando dall’oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra (Gen 11,1-9).

La Torre di Babele non è un evento racchiuso e circoscritto in sé. Essa ci dice qual è la realtà dell’umanità senza il cuore nuovo, creato dallo Spirito Santo, frutto di Cristo, dato per la mediazione della Chiesa. Viene lo Spirito, crea nuovi i cuori, i cuori nuovi creano unità e pace sulla terra. Tutti comprendono la parola dello Spirito che è Parola di Dio. Tutto quanto è scritto negli Atti degli Apostoli rivela questa unica verità: ci si lascia fare dallo Spirito di Dio cuori nuovi per la mediazione della Chiesa? Si diviene comunità che sa comprendersi, ascoltarsi, verificarsi, aggiornarsi, confrontarsi ma sempre nella ricerca della verità di Cristo, per opera dello Spirito Santo. Non ci si lascia fare nuovi nel cuore, perché si rifiuta di accogliere la Parola e di credere in essa? Si rimane nella vecchia Torre di Babele, senza alcuna possibilità che si possa conoscere la via della pace, quella vera. L’altra pace è possibile ma solo come sottomissione e schiavitù di un uomo ad un altro uomo, del più debole al più potente e prepotente.

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

La Pentecoste non è però un momento puntuale, una creazione nuova, perenne, anzi eterna. Essa deve divenire un evento quotidiano. Ogni giorno ci si deve lasciare inondare di Spirito Santo e ogni giorno fare dal cuore nuovo da Lui, togliendo tutte le immondizie e le sporcizie che lungo il corso della giornata si annidano in esso e su di esso. Il cristiano è colui che invoca lo Spirito senza interruzione, perché sempre lo faccia nuovo e sempre gli dia quella Parola di verità per la creazione della pace.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, colmateci di Spirito del Signore.

 

5 GIUGNO

Seguendo le vie della verità e della giustizia

Tb 1,3;2,1b-8; Sal 111,1-5; Mc 12,1-12.

Il Libro di Tobia inizia con una forte, robusta, potente confessione della sua fede. Lui passava tutti i giorni della sua vita seguendo le vie della verità e della giustizia. È giusto chiedersi: quali sono queste vie della verità e della giustizia? Quelle prescritte da Dio e date al suo popolo mediante il suo servo Mosè. Non vi è altra verità né altra giustizia.

Questi sono i comandi, le leggi e le norme che il Signore, vostro Dio, ha ordinato di insegnarvi, perché li mettiate in pratica nella terra in cui state per entrare per prenderne possesso; perché tu tema il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni. Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto. Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.

Osserverete diligentemente i comandi del Signore, vostro Dio, le istruzioni e le leggi che ti ha date. Farai ciò che è giusto e buono agli occhi del Signore, perché tu sia felice ed entri in possesso della buona terra che il Signore giurò ai tuoi padri di darti, dopo che egli avrà scacciato tutti i tuoi nemici davanti a te, come il Signore ha promesso. Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: “Che cosa significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore, nostro Dio, vi ha dato?”, tu risponderai a tuo figlio: “Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l’Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. Ci fece uscire di là per condurci nella terra che aveva giurato ai nostri padri di darci. Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore, nostro Dio, così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi. La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore, nostro Dio, come ci ha ordinato” (Dt 6,1-25).

Tobi è fiero della sua fede. Lui non è del regno di Giuda, regno che rimase fedele al suo Dio e Signore, ma del regno del Nord, trasformato da Geroboamo in un regno di idolatria e di immoralità. In questo regno di idoli lui mantenne la sua perenne fedeltà al vero Dio, recandosi a Gerusalemme ogni anno per adempiere ogni prescrizione della Legge. La verità e la giustizia sono vissute da lui con grande, somma, universale carità. Una sua modalità personale è quella di onorare i corpi morti della sua gente.

Io, Tobi, passavo tutti i giorni della mia vita seguendo le vie della verità e della giustizia. Ai miei fratelli e ai miei compatrioti, che erano stati condotti con me in prigionia a Ninive, nel paese degli Assiri, facevo molte elemosine. Per la nostra festa di Pentecoste, cioè la festa delle Settimane, avevo fatto preparare un buon pranzo e mi posi a tavola: la tavola era imbandita di molte vivande. Dissi al figlio Tobia: «Figlio mio, va’, e se trovi tra i nostri fratelli deportati a Ninive qualche povero, che sia però di cuore fedele, portalo a pranzo insieme con noi. Io resto ad aspettare che tu ritorni, figlio mio». Tobia uscì in cerca di un povero tra i nostri fratelli. Di ritorno disse: «Padre!». Gli risposi: «Ebbene, figlio mio?». «Padre – riprese – uno della nostra gente è stato ucciso e gettato nella piazza; l’hanno strangolato un momento fa». Io allora mi alzai, lasciando intatto il pranzo; tolsi l’uomo dalla piazza e lo posi in una camera in attesa del tramonto del sole, per poterlo seppellire. Ritornai, mi lavai e mangiai con tristezza, ricordando le parole del profeta Amos su Betel: «Si cambieranno le vostre feste in lutto, tutti i vostri canti in lamento». E piansi. Quando poi calò il sole, andai a scavare una fossa e ve lo seppellii. I miei vicini mi deridevano dicendo: «Non ha più paura! Proprio per questo motivo lo hanno già ricercato per ucciderlo. È dovuto fuggire e ora eccolo di nuovo a seppellire i morti».

Quanto sia grande la sua carità lo attesta l’atto di pietà compiuto il giorno della Pentecoste. Lascia il pranzo, va sulla strada, raccoglie il cadavere, lo porta a casa, lo nasconde per potergli dare di notte una degna sepoltura. Tobi è uomo di grande pietà.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, adornateci di grandi virtù.

 

6 GIUGNO

Nessun diritto di mangiare una cosa rubata

Tb 2,9-14; Sal 111,1-2.7-9; Mc 12,13-17.

Tobi è grande maestro di altissima moralità. Lui è divenuto cieco. Vive con serenità e pace la sua malattia. Ora la famiglia si regge sul lavoro di tessitrice a domicilio della moglie. Il vero uomo di Dio si consegna a Dio in ogni circostanza, favorevole o sfavorevole della sua vita. Se Dio permette questo, è questa la via da percorrere. Se domani ne permetterà un’altra, sarà quell’altra la via. Questa altissima moralità la testimonia di sé anche San Paolo. Nulla lo turba di quanto gli accade.

Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! 6Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi! Ho provato grande gioia nel Signore perché finalmente avete fatto rifiorire la vostra premura nei miei riguardi: l’avevate anche prima, ma non ne avete avuto l’occasione. Non dico questo per bisogno, perché ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione. So vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza (Fil 4,4-13).

Un giorno Tobi sente un capretto belare nella sua casa. Pensando che fosse stato rubato o avuto in modo non del tutto lecito, con qualche dolo o inganno, dice chiaramente alla moglie che le vie di Dio, quelle della verità e della giustizia divina, non danno il diritto di mangiare una cosa rubata. La cosa rubata è del suo padrone e rimane sua in eterno. Urge restituire, riportare, consegnare al suo legittimo proprietario. Il suo è senz’altro un eccesso di zelo, una reazione immediata, un pensiero di forte preoccupazione. La moglie il capretto lo aveva avuto in dono. Era un regalo. Tobi preferisce essere più di zelo eccessivo, oltre misura, piuttosto che macchiarsi di un peccato di furto, che lede l’alleanza tra Dio e il suo popolo. I peccati contro i dieci Comandamenti non sono solo peccati, sono anche rottura dell’alleanza, sono peccati gravissimi contro il popolo del Signore. L’alleanza è sacra e va osservata sempre.

Quella notte, dopo aver seppellito il morto, mi lavai, entrai nel mio cortile e mi addormentai sotto il muro del cortile. Per il caldo che c’era tenevo la faccia scoperta, ignorando che sopra di me, nel muro, stavano dei passeri. Caddero sui miei occhi i loro escrementi ancora caldi, che mi produssero macchie bianche, e dovetti andare dai medici per la cura. Più essi però mi applicavano farmaci, più mi si oscuravano gli occhi, a causa delle macchie bianche, finché divenni cieco del tutto. Per quattro anni rimasi cieco e ne soffrirono tutti i miei fratelli. Achikàr, nei due anni che precedettero la sua partenza per l’Elimàide, provvide al mio sostentamento.

In quel tempo mia moglie Anna lavorava a domicilio, tessendo la lana che rimandava poi ai padroni, ricevendone la paga. Ora nel settimo giorno del mese di Distro, quando tagliò il pezzo che aveva tessuto e lo mandò ai padroni, essi, oltre la mercede completa, le fecero dono di un capretto da mangiare. Quando il capretto entrò in casa mia, si mise a belare. Chiamai allora mia moglie e le dissi: «Da dove viene questo capretto? Non sarà stato rubato? Restituiscilo ai padroni, poiché non abbiamo nessun diritto di mangiare una cosa rubata». Ella mi disse: «Mi è stato dato in più del salario». Ma io non le credevo e le ripetevo di restituirlo ai padroni e per questo mi vergognavo di lei. Allora per tutta risposta mi disse: «Dove sono le tue elemosine? Dove sono le tue buone opere? Ecco, lo si vede bene da come sei ridotto!».

Oggi la speculazione brucia denaro più che mille altiforni sempre accesi. La corruzione è una fabbrica che non conosce la turnazione, si lavora a ciclo continuo. Non parliamo di frodi, truffe, rapine, furti, racket, pizzo, mille altre forme di estorsione, uso cattivo del denaro pubblico, sciupii senza fine. Manca la coscienza della violazione del settimo comandamento. Ogni cosa rubata è una maledizione appesa nella nostra casa.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di coscienza onesta.

 

7 GIUGNO

Poi iniziai questa preghiera di lamento

Tb 3,1-11a.16-17a; Sal 24,2-9; Mc 12,18-27.

La preghiera di lamento è la presentazione, con puntuale descrizione, del dolore al Signore, perché sia Lui ad intervenire e porvi fine con aiuto efficace potente. Nei Salmi sempre ricorre la preghiera di lamento del giusto perseguitato, del Cristo di Dio. È una preghiera che dice al Signore l’indicibile dolore, perché Lui, ascoltando, provveda. Quella del Giusto è sempre una invocazione carica di grande speranza.

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido! Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me. Eppure tu sei il Santo, tu siedi in trono fra le lodi d’Israele. In te confidarono i nostri padri, confidarono e tu li liberasti; a te gridarono e furono salvati, in te confidarono e non rimasero delusi. Ma io sono un verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente. Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: «Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!». Sei proprio tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai affidato al seno di mia madre. Al mio nascere, a te fui consegnato; dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. Non stare lontano da me, perché l’angoscia è vicina e non c’è chi mi aiuti. Mi circondano tori numerosi, mi accerchiano grossi tori di Basan. Spalancano contro di me le loro fauci: un leone che sbrana e ruggisce. Io sono come acqua versata, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si scioglie in mezzo alle mie viscere (Cfr. Sal 22 (21) 1-32).

Tobi e Sara, nella loro preghiera di lamento, sanno che solo il Signore potrà porre fine alla loro indicibile sofferenza. Dalla terra per essi non potrà venire alcun sollievo.

Con l’animo affranto dal dolore, sospirai e piansi. Poi iniziai questa preghiera di lamento: «Tu sei giusto, Signore, e giuste sono tutte le tue opere. Ogni tua via è misericordia e verità. Tu sei il giudice del mondo. Ora, Signore, ricòrdati di me e guardami. Non punirmi per i miei peccati e per gli errori miei e dei miei padri. Violando i tuoi comandamenti, abbiamo peccato davanti a te. Ci hai consegnato al saccheggio; ci hai abbandonato alla prigionia, alla morte e ad essere la favola, lo scherno, il disprezzo di tutte le genti, tra le quali ci hai dispersi.5Ora, quando mi tratti secondo le colpe mie e dei miei padri, veri sono tutti i tuoi giudizi, perché non abbiamo osservato i tuoi comandamenti, camminando davanti a te nella verità. Agisci pure ora come meglio ti piace; da’ ordine che venga presa la mia vita, in modo che io sia tolto dalla terra e divenga terra, poiché per me è preferibile la morte alla vita. Gli insulti bugiardi che mi tocca sentire destano in me grande dolore. Signore, comanda che sia liberato da questa prova; fa’ che io parta verso la dimora eterna. Signore, non distogliere da me il tuo volto. Per me infatti è meglio morire che vedermi davanti questa grande angoscia, e così non sentirmi più insultare!».

Nello stesso giorno a Sara, figlia di Raguele, abitante di Ecbàtana, nella Media, capitò di sentirsi insultare da parte di una serva di suo padre, poiché lei era stata data in moglie a sette uomini, ma Asmodeo, il cattivo demonio, glieli aveva uccisi, prima che potessero unirsi con lei come si fa con le mogli. A lei appunto disse la serva: «Sei proprio tu che uccidi i tuoi mariti. Ecco, sei già stata data a sette mariti e neppure di uno hai potuto portare il nome. Perché vorresti colpire noi, se i tuoi mariti sono morti? Vattene con loro e che da te non dobbiamo mai vedere né figlio né figlia». In quel giorno dunque ella soffrì molto, pianse e salì nella stanza del padre con l’intenzione di impiccarsi. Ma, tornando a riflettere, pensava: «Che non insultino mio padre e non gli dicano: “La sola figlia che avevi, a te assai cara, si è impiccata per le sue sventure”. Così farei precipitare con angoscia la vecchiaia di mio padre negli inferi. Meglio per me che non mi impicchi, ma supplichi il Signore di farmi morire per non sentire più insulti nella mia vita». In quel momento stese le mani verso la finestra e pregò. In quel medesimo momento la preghiera di ambedue fu accolta davanti alla gloria di Dio e fu mandato Raffaele a guarire tutti e due: a togliere le macchie bianche dagli occhi di Tobi, perché con gli occhi vedesse la luce di Dio, e a dare Sara, figlia di Raguele, in sposa a Tobia, figlio di Tobi, e così scacciare da lei il cattivo demonio Asmodeo.

Una cosa dalla quale ci si deve sempre astenere nella preghiera di lamento è dare a Dio la soluzione. La mente di Dio è infinita. La sua sapienza è eterna. La sua onnipotenza è senza limiti. Lui sa quale soluzione trovare. A noi l’obbligo di fargli udire il nostro grande dolore. A Lui la sapienza di trovare la soluzione ed essa è sempre divina. Gesù fu liberato con la risurrezione, Tobi con la guarigione, Sara si è sposata.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, sosteneteci nella sofferenza.

 

8 GIUGNO

In base al decreto della legge di Mosè

Tb 6,10-11;7,1.9-17;8,4-9; Sal 127,1-5; Mc 12,28b-34.

Se l’uomo comprendesse che la sua vita ha un binario tracciato sul quale camminare, i suoi giorni sulla terra sarebbero pieni di pace, benedizione, tranquillità. Invece ognuno si è fatto Dio, si è autodichiarato Signore di vita e di morte sugli altri. Si è proclamato sopra ogni legge e ogni statuto che vengono dal di fuori del suo cuore. Ci si appella spesso a Dio, ma solo come paravento, per giustificare ogni orrendo delitto e misfatto. Il matrimonio, quello vero è rispetto della legge stabilita da Dio fin dal primo giorno della creazione dell’uomo. Esso è indissolubile, unico, aperto alla vita. In esso la vita dell’uomo è data tutta alla donna e quella della donna tutta all’uomo senza riserve.

Erano entrati nella Media e già erano vicini a Ecbàtana, quando Raffaele disse al ragazzo: «Fratello Tobia!». Gli rispose: «Eccomi». Riprese: «Questa notte dobbiamo alloggiare presso Raguele, che è tuo parente. Egli ha una figlia chiamata Sara. Quando fu entrato in Ecbàtana, Tobia disse: «Fratello Azaria, conducimi diritto dal nostro fratello Raguele». Egli lo condusse alla casa di Raguele, che trovarono seduto presso la porta del cortile. Lo salutarono per primi ed egli rispose: «Salute, fratelli, siate i benvenuti!». Li fece entrare in casa. Si lavarono, fecero le abluzioni e, quando si furono messi a tavola, Tobia disse a Raffaele: «Fratello Azaria, domanda a Raguele che mi dia in moglie mia cugina Sara». Raguele udì queste parole e disse al giovane: «Mangia, bevi e sta’ allegro per questa sera, poiché nessuno all’infuori di te, mio parente, ha il diritto di prendere mia figlia Sara, come del resto neppure io ho la facoltà di darla a un altro uomo all’infuori di te, poiché tu sei il mio parente più stretto. Però, figlio, voglio dirti con franchezza la verità. L’ho data a sette mariti, scelti tra i nostri fratelli, e tutti sono morti la notte in cui entravano da lei. Ora, figlio, mangia e bevi; il Signore sarà con voi». Ma Tobia disse: «Non mangerò affatto né berrò, prima che tu abbia preso una decisione a mio riguardo». Rispose Raguele: «Lo farò! Ella ti viene data secondo il decreto del libro di Mosè e come dal cielo è stato stabilito che ti sia data. Abbi cura di lei, d’ora in poi tu sei suo fratello e lei tua sorella. Ti viene concessa da oggi per sempre. Il Signore del cielo vi assista questa notte, o figlio, e vi conceda la sua misericordia e la sua pace».

Raguele chiamò sua figlia Sara e, quando venne, la prese per mano e l’affidò a Tobia con queste parole: «Prendila; secondo la legge e il decreto scritto nel libro di Mosè lei ti viene concessa in moglie. Tienila e, sana e salva, conducila da tuo padre. Il Dio del cielo vi conceda un buon viaggio e pace». Chiamò poi la madre di lei e le disse di portare un foglio e stese l’atto di matrimonio, secondo il quale concedeva in moglie a Tobia la propria figlia, in base al decreto della legge di Mosè. Dopo di ciò cominciarono a mangiare e a bere. Poi Raguele chiamò sua moglie Edna e le disse: «Sorella mia, prepara l’altra camera e conducila dentro». Quella andò a preparare il letto della camera, come le aveva ordinato, e vi condusse la figlia. Pianse per lei, poi si asciugò le lacrime e le disse: «Coraggio, figlia, il Signore del cielo cambi in gioia il tuo dolore. Coraggio, figlia!». E uscì. Gli altri intanto erano usciti e avevano chiuso la porta della camera. Tobia si alzò dal letto e disse a Sara: «Sorella, àlzati! Preghiamo e domandiamo al Signore nostro che ci dia grazia e salvezza». Lei si alzò e si misero a pregare e a chiedere che venisse su di loro la salvezza, dicendo: «Benedetto sei tu, Dio dei nostri padri, e benedetto per tutte le generazioni è il tuo nome! Ti benedicano i cieli e tutte le creature per tutti i secoli! Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno. Da loro due nacque tutto il genere umano. Tu hai detto: “Non è cosa buona che l’uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui”. Ora non per lussuria io prendo questa mia parente, ma con animo retto. Dégnati di avere misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia». E dissero insieme: «Amen, amen!». Poi dormirono per tutta la notte.

La verità che viene messa in evidenza in questo brano è che l’uomo non è solo concupiscenza, lussuria, dominio e asservimento al proprio corpo. L’uomo è anima, spirito, governo di sé, obbedienza ad una legge perenne data da Dio. Tobia e Sara sono due anime, due spiriti, due corpi che si sposano e anima e spirito sanno come si governa il proprio corpo. Oggi l’uomo è come se fosse senza anima e senza spirito. Niente potrà più governare il suo corpo ed ecco allora l’immoralità dilagante, la concupiscenza devastante, la lussuria travolgente, ogni disordine sessuale ormai non più riconducibile nell’ordine della verità di Dio. Stiamo costruendo uomini senz’anima.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, rendete forti anima e spirito.

 

9 GIUGNO

Benedetto Dio! Benedetto il suo grande nome!

Tb 11,5-17; Sal 145,1-2.6-10; Mc 12,35-37.

Tobia con l’Angelo Raffaele ritornano dal loro viaggio. Tobia non solo porta con sé Sara, sua sposa, ma anche il prezioso farmaco che darà la vista al padre. In più tutta la somma depositata è stata ricuperata ed è nelle loro mani. Si è oltrepassata ogni speranza umana. Si era partiti per poche cose e si ritorna con molte. Il molto è dono di Dio, non frutto del lavoro dell’uomo. Se Dio ha benedetto oltre misura, è anche giusto che oltre misura sia benedetto. Ma cosa significa benedire il Signore? Riconoscerlo Autore di tutto il bene. Esaminando bene le cose Tobia nulla ha fatto. Si è solo sposato e ha banchettato per molti giorni. Tutta la fatica è stata compiuta dall’Angelo e l’Angelo è il dono fatto loro dal Signore. Dall’inizio alla fine tutto è dono e tutto è per dono. Ha l’uomo l’occhio per vedere che tutto nella sua vita è dono ed è per dono del suo Signore? Quest’occhio non lo possiede, perché il suo cuore è di pietra e la sua anima di acciaio. Se l’uomo avesse umiltà, dalla sera alla mattina la sua vita sarebbe una ininterrotta benedizione. Lui saprebbe che anche il suo respiro è dono del suo Dio.

Anna intanto sedeva scrutando la strada per la quale era partito il figlio. Quando si accorse che stava arrivando, disse al padre di lui: «Ecco, sta tornando tuo figlio con l’uomo che l’accompagnava». Raffaele disse a Tobia, prima che si avvicinasse al padre: «Io so che i suoi occhi si apriranno. Spalma il fiele del pesce sui suoi occhi; il farmaco intaccherà e asporterà come scaglie le macchie bianche dai suoi occhi. Così tuo padre riavrà la vista e vedrà la luce». Anna corse avanti e si gettò al collo di suo figlio dicendogli: «Ti rivedo, o figlio. Ora posso morire!». E si mise a piangere.

Tobi si alzò e, incespicando, uscì dalla porta del cortile. Tobia gli andò incontro, tenendo in mano il fiele del pesce. Soffiò sui suoi occhi e lo trasse vicino, dicendo: «Coraggio, padre!». Gli applicò il farmaco e lo lasciò agire, poi distaccò con le mani le scaglie bianche dai margini degli occhi. Tobi gli si buttò al collo e pianse, dicendo: «Ti vedo, figlio, luce dei miei occhi!». E aggiunse: «Benedetto Dio! Benedetto il suo grande nome! Benedetti tutti i suoi angeli santi! Sia il suo santo nome su di noi e siano benedetti i suoi angeli per tutti i secoli. Perché egli mi ha colpito, ma ora io contemplo mio figlio Tobia». Tobia entrò in casa lieto, benedicendo Dio con tutta la voce che aveva. Poi Tobia informò suo padre del viaggio che aveva compiuto felicemente, del denaro che aveva riportato, di Sara, figlia di Raguele, che aveva preso in moglie e che stava venendo e si trovava ormai vicina alla porta di Ninive.

Allora Tobi uscì verso la porta di Ninive incontro alla sposa di lui, lieto e benedicendo Dio. La gente di Ninive, vedendolo passare e camminare con tutto il vigore di un tempo, senza che alcuno lo conducesse per mano, fu presa da meraviglia. Tobi proclamava davanti a loro che Dio aveva avuto pietà di lui e che gli aveva aperto gli occhi. Tobi si avvicinò poi a Sara, la sposa di suo figlio Tobia, e la benedisse dicendole: «Sii la benvenuta, figlia! Benedetto sia il tuo Dio, che ti ha condotto da noi, figlia! Benedetto sia tuo padre, benedetto mio figlio Tobia e benedetta tu, o figlia! Entra nella casa, che è tua, sana e salva, nella benedizione e nella gioia; entra, o figlia!».

Anticamente l’uomo era portatore di un’anima, di uno spirito. Anima e spirito lo ancoravano perennemente al suo Dio, al suo Creatore, al suo Signore. Gli facevano vedere che tutto era ed è opera di Dio. Se per un attimo ci fermassimo e facessimo quattro conti, mettendo da una parte ciò che fa il Signore e dall’altra ciò che fa l’uomo, dalla parte di Dio vi sarebbe il tutto e dalla parte dell’uomo il niente, anzi dalla parte dell’uomo vi sarebbe solo distruzione e devastazione di ogni dono fatto da Dio. Questo accade perché l’uomo non è più governato dalla sua anima e dal suo spirito. È un corpo soggiogato, asservito, incarcerato nella sua concupiscenza, superbia, avarizia, stoltezza, idolatria, immoralità. E noi cosa facciamo? Anziché mettere ogni impegno, spendere ogni energia per curare, guarire, sanare anima e spirito dell’uomo, ci occupiamo pensando vanamente che le urgenze dell’uomo siano solo quelle materiali. Gesù così non pensa e lo dice con divina luce: “Cercate il regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato in aggiunta”. “A nulla serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la sua anima”. Ma l’uomo oggi crede di avere un’anima?

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci salvatori di anima.

 

10 GIUGNO

Uno dei sette angeli che sono sempre pronti

Tb 12,15-15.20; Sal Tb 13,2.6-8; Mc 12,38-44.

A volte è sufficiente una sola parola per farci inabissare nell’amore eterno, infinito, divino, senza misura con il quale il Signore ricopre l’uomo. Tobi è uomo di grande carità. La sua misericordia in nulla si risparmia. Le sue elemosine danno conforto, creano speranza, liberano dalla solitudine, mostrano la bellezza della fede e della verità che governa un cuore nel quale abita Dio. La fede trasformata in opera – e le opere della fede sono purissima carità e speranza – è la più pura, alta vera attestazione che Dio è nel nostro cuore con la sua Parola, la sua Legge, la sua volontà.

Tobi manifesta al suo popolo, sia nella terra dei padri che in esilio, che Dio vive nel suo cuore. Lui non si è lasciato travolgere dall’idolatria, non ha rinnegato le vie perenni della giustizia e della verità. Lui ha rivelato al mondo la forza trasformatrice della fede nel Dio Onnipotente, Signore, Creatore, Legislatore dell’uomo. Dio risponde a questa testimonianza di Tobi con un amore pari al suo cuore. Quando un uomo ama Dio con tutto il suo cuore, anche Dio lo ama con tutto il suo cuore. Quando un uomo serve Dio con tutta la sua intelligenza e sapienza, anche Dio lo ama con tutta la sua intelligenza e sapienza. L’uomo non si risparmia in nulla e neanche Dio si risparmia in nulla.

Qual è la differenza? L’uomo è limitato nell’amore a causa della sua natura limitata. Dio è infinito a causa della sua natura infinita. Prima prova Tobi con la cecità. Trovato fedele e giusto, non gli viene in aiuto con un Angelo “qualsiasi” del cielo. Già un solo Angelo, anche il “più piccolo” è capace di rinnovare il cielo e la terra. Gli manda un Angelo di “rilievo”. Si parla in modo umano. Gli manda uno dei sette Angeli che sono sempre pronti a entrare alla presenza della gloria del Signore. È come se Dio mandasse in aiuto di Tobi un altro se stesso, uno con gli stessi suoi poteri, lo stesso suo amore, la stessa sua intelligenza e sapienza. Gli manda uno che sa che non fallirà in nessuna cosa. Tutto farà come se fosse Lui stesso a farlo.

Ora sappiamo quanto è grande l’amore di Dio per l’uomo. Facciamo un passo in avanti. Se per Tobi manda il suo Angelo fidatissimo, per la salvezza della creatura da Lui creata a sua immagine e somiglianza, manda il suo Figlio Eterno. Il Figlio viene e non fa un semplice viaggio con l’uomo. Viene, prende il suo peccato, la sua morte e con la sua morte sulla Croce sconfigge il peccato e poi con la sua gloriosa risurrezione vince la stessa morte. Dona così all’uomo la vera speranza. In Cristo l’uomo può vincere i suoi due nemici: il peccato e la morte. Sono due nemici che lo tengono lontano da Dio fino a farlo bruciare nel fuoco eterno dell’inferno. Donando il Figlio dalla Croce per noi, il Signore in Lui ha dato se stesso. Può ancora darci qualcosa? Non ha più nulla da donare, anche perché donandoci Cristo ci ha donato anche lo Spirito Santo. Tutto Dio nel suo mistero di unità e trinità ora può vivere nell’uomo.

Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti a entrare alla presenza della gloria del Signore». Allora furono presi da grande timore tutti e due; si prostrarono con la faccia a terra ed ebbero una grande paura. Ma l’angelo disse loro: «Non temete: la pace sia con voi. Benedite Dio per tutti i secoli. Quando ero con voi, io stavo con voi non per bontà mia, ma per la volontà di Dio: lui dovete benedire sempre, a lui cantate inni. Quando voi mi vedevate mangiare, io non mangiavo affatto: ciò che vedevate era solo apparenza. Ora benedite il Signore sulla terra e rendete grazie a Dio. Ecco, io ritorno a colui che mi ha mandato. Scrivete tutte queste cose che vi sono accadute».

Dinanzi a tanto amore si deve rispondere con altrettanto amore. L’Angelo invita Tobi e Tobia a benedire sempre il Signore e a Lui cantare inni di lode, benedizione, ringraziamento, esaltazione. Oggi l’uomo non solo non benedice e non canta inni, ha anche deciso di cancellare Dio dalla sua storia. Ma cancellando Lui, chi lo aiuterà in questo viaggio verso la vita eterna? Senza il nostro Dio che cammina in noi e per noi, la terra diverrà il nostro sarcofago e ci divorerà. La cecità spirituale ci consumerà. Dio è il respiro della nostra anima, Cristo è la vita del nostro spirito. È verità eterna.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a benedire il Signore.

 

 

11 GIUGNO – Santissima Trinità

Lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà

Es 34,4b-6.8-9; Sal Dn 3,52-56; 2 Cor 13,11-13; Gv 3,16-18.

Di Dio si deve parlare sempre secondo verità e giustizia. Il Libro di Giobbe ci rivela come tutta la “teologia” del tempo parlasse di Dio con concetti e pensieri non conformi alla sua santa essenza eterna. Il Signore non ama che di Dio non si parli in modo corretto. Neanche ama che l’uomo vuole avere Lui in suo potere. Dio è mistero infinito, eterno. Si deve parlare di Dio, solo ascoltando e contemplando Lui. Si può parlare convenientemente bene di Lui, ascoltando e meditando la sua Parola e le sue opere. .

Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all’uragano: «Chi è mai costui che oscura il mio piano con discorsi da ignorante? Cingiti i fianchi come un prode: io t’interrogherò e tu mi istruirai! Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov’eri? Dimmelo, se sei tanto intelligente! Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha teso su di essa la corda per misurare? Dove sono fissate le sue basi o chi ha posto la sua pietra angolare, mentre gioivano in coro le stelle del mattino e acclamavano tutti i figli di Dio? Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando usciva impetuoso dal seno materno, quando io lo vestivo di nubi e lo fasciavo di una nuvola oscura, quando gli ho fissato un limite, e gli ho messo chiavistello e due porte dicendo: “Fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde”? (Gb 38,1-11).

Il Signore prese a dire a Giobbe: «Il censore vuole ancora contendere con l’Onnipotente? L’accusatore di Dio risponda!». Giobbe prese a dire al Signore: «Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte ho parlato, ma non continuerò». Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all’uragano: «Cingiti i fianchi come un prode: io t’interrogherò e tu mi istruirai! Oseresti tu cancellare il mio giudizio, dare a me il torto per avere tu la ragione? Hai tu un braccio come quello di Dio e puoi tuonare con voce pari alla sua? Su, órnati pure di maestà e di grandezza, rivèstiti di splendore e di gloria! Effondi pure i furori della tua collera, guarda ogni superbo e abbattilo, guarda ogni superbo e umilialo, schiaccia i malvagi ovunque si trovino; sprofondali nella polvere tutti insieme e rinchiudi i loro volti nel buio! Allora anch’io ti loderò, perché hai trionfato con la tua destra (Gb 40,1-14).

Giobbe prese a dire al Signore: «Comprendo che tu puoi tutto e che nessun progetto per te è impossibile. Chi è colui che, da ignorante, può oscurare il tuo piano? Davvero ho esposto cose che non capisco, cose troppo meravigliose per me, che non comprendo. Ascoltami e io parlerò, io t’interrogherò e tu mi istruirai! Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto. Perciò mi ricredo e mi pento sopra polvere e cenere». Dopo che il Signore ebbe rivolto queste parole a Giobbe, disse a Elifaz di Teman: «La mia ira si è accesa contro di te e contro i tuoi due amici, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe. Prendete dunque sette giovenchi e sette montoni e andate dal mio servo Giobbe e offriteli in olocausto per voi. Il mio servo Giobbe pregherà per voi e io, per riguardo a lui, non punirò la vostra stoltezza, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe». Elifaz di Teman, Bildad di Suach e Sofar di Naamà andarono e fecero come aveva detto loro il Signore e il Signore ebbe riguardo di Giobbe. Il Signore ristabilì la sorte di Giobbe, dopo che egli ebbe pregato per i suoi amici (Gb 42,1-10).

Oggi si parla male, malissimo di Dio. Lo si è privato del suo giusto giudizio. Lo si è ridotto a semplice perdono, senza alcuna esigenza da parte dell’uomo di dover cambiare vita. Si è cancellata una verità essenziale, primaria di Dio: “Lento all’ira”.

Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà. Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».

Dio è lento all’ira perché attende che il peccatore, sollecitato dalla sua Parola, dalla sua grazia, dai suoi profeti, da quanti lo amano e lo servono, spinto anche dall’amarezza della storia, si converta e torni a Lui. Se non torna, Lui dovrà procedere con il giudizio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la più pura verità di Dio.

 

12 GIUGNO

Egli ci consola in ogni nostra tribolazione

2 Cor 1,1-7; Sal 33,2-9; Mt 5,1-12a.

Il nostro Dio è il Signore della consolazione. Lui non solamente consola perché libera da ogni schiavitù che opprime l’uomo, ma anche e soprattutto perché apre le porte della vera speranza. Il Dio di Isaia si rivela e si annunzia come il Dio della grande consolazione, il Dio che viene a liberare il suo popolo, il Dio pastore che raduna il suo gregge disperso, porta sulle spalle gli agnellini e conduce pian piano le pecore madri.

«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato». Una voce dice: «Grida», e io rispondo: «Che cosa dovrò gridare?». Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo. Secca l’erba, il fiore appassisce quando soffia su di essi il vento del Signore. Veramente il popolo è come l’erba. Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre. Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40,1-11).

Nel Nuovo Testamento, con Cristo che muore sulla Croce, che non viene liberato da essa, la consolazione cambia natura, forma, sostanza, modalità. Dio non consola perché libera dalla sofferenza, consola perché scende lui stesso nella nostra sofferenza. Fa suo il nostro dolore. Lo vive nella sua persona. Il corpo di Cristo è corpo di Dio. In quel corpo si è abbattuta tutta la sofferenza del mondo. Lui l’ha vissuta per noi per darci una consolazione eterna: aprirci le porte del suo Paradiso. Dio è con Cristo, è in Cristo sulla Croce, consolandolo e donandogli ogni forza per rimanere su di essa e compiere l’espiazione dei peccati. Compiuta la divina volontà, la consolazione di Dio è la gloriosa risurrezione che dona al Figlio suo. La consolazione di Dio è il dono di ogni forza nella sofferenza per viverla tutta, è la gloria celeste dopo la sofferenza.

Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, alla Chiesa di Dio che è a Corinto e a tutti i santi dell’intera Acaia: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo. Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio. Poiché, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale vi dà forza nel sopportare le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo. La nostra speranza nei vostri riguardi è salda: sappiamo che, come siete partecipi delle sofferenze, così lo siete anche della consolazione.

Paolo, Apostolo del Signore, deve consolare i discepoli di Gesù. Come li consola? Mostrando loro la forza nel vivere ogni sofferenza, ogni dolore, ogni mortificazione, tutte le persecuzioni. Lui vive tutto nella grazia di Cristo e nel suo amore, attestando con la sua vita, che è possibile stare in ogni sofferenza, sopra ogni croce. Se Cristo è rimasto sulla croce, anche Paolo vi può rimanere. Se Paolo vi rimane, può insegnare al mondo come si rimane. Il Vangelo si può insegnare solo vivendolo, e la consolazione si può dare solo sopportando ogni avversità della vita, sia di ordine fisico che spirituale. Un Apostolo del Signore che non sa stare in croce, non può consolare, perché diviene creatore di false speranze e di fallaci attese. Cristo Gesù non libera i suoi discepoli dalla croce, insegna loro come si vive. La liberazione verrà dopo, sempre dopo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci portatori di consolazione.

 

13 GIUGNO

Tutte le promesse di Dio in lui sono «sì»

2 Cor 1,18-22; Sal 118,129-133.135; Mt 5,13-16.

Dalla prima promessa della Genesi, passando per i Salmi, Isaia, Geremia, finendo a Malachia e includendo tutte le altre parole profetiche e gli oracoli del Signore, tutto in Cristo Gesù trova il suo compimento, la sua realizzazione. Dio è il Fedele sempre.

Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,14-16).

Perché le genti sono in tumulto e i popoli cospirano invano? Insorgono i re della terra e i prìncipi congiurano insieme contro il Signore e il suo consacrato: «Spezziamo le loro catene, gettiamo via da noi il loro giogo!». Ride colui che sta nei cieli, il Signore si fa beffe di loro. Egli parla nella sua ira, li spaventa con la sua collera: «Io stesso ho stabilito il mio sovrano sul Sion, mia santa montagna». Voglio annunciare il decreto del Signore. Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Chiedimi e ti darò in eredità le genti e in tuo dominio le terre più lontane. Le spezzerai con scettro di ferro, come vaso di argilla le frantumerai». E ora siate saggi, o sovrani; lasciatevi correggere, o giudici della terra; servite il Signore con timore e rallegratevi con tremore. Imparate la disciplina, perché non si adiri e voi perdiate la via: in un attimo divampa la sua ira. Beato chi in lui si rifugia (Sal 2,1-12).

Il Signore parlò ancora ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (Is 7,10-14).

Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore –: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: “Conoscete il Signore”, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore –, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato» (Ger 31,31-34).

Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia. Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore: egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri, perché io, venendo, non colpisca la terra con lo sterminio (Mal 3,1-3.23-14).

L’Antico Testamento è un albero secco. Ha prodotto il suo frutto. Gesù Signore. Ogni vita divina è ora in Cristo, per Cristo, con Cristo. Nulla più si deve attendere.

Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è «sì» e «no». Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunciato tra voi, io, Silvano e Timòteo, non fu «sì» e «no», ma in lui vi fu il «sì». Infatti tutte le promesse di Dio in lui sono «sì». Per questo attraverso di lui sale a Dio il nostro «Amen» per la sua gloria. È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori.

Ora è il tempo che tutti annunzino Cristo, donino Lui, mostrino la loro conformazione a Lui, diventino sua vita sulla terra, sua Croce, sua Passione, sua Morte per giungere ad essere sua gloriosa risurrezione. È questo il compimento avvenuto in Gesù Signore e da questo compimento sempre si deve parlare. Il cristiano in Cristo è conformato a Lui nella morte e nella vita, perché anche in lui tutte le promesse di Dio diventino “sì”.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vero corpo di Cristo oggi.

 

14 GIUGNO

Ciò che fu glorioso sotto quell’aspetto, non lo è più

2 Cor 3,4-11; Sal 98,5-9; Mt 5,17-19.

Per l’Antico Testamento nessuno è come Mosè, uguale a lui. Egli rimane il mediatore insuperabile, il profeta irraggiungibile, il servo di Dio senza confronti. Lui era irradiazione visibile della gloria di Dio in mezzo al suo popolo. Egli è visto uomo dalla grandezza ineguagliabile. Egli è il grande strumento della salvezza del Signore.

Quando Mosè scese dal monte Sinai – le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte – non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui. Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui. Mosè allora li chiamò, e Aronne, con tutti i capi della comunità, tornò da lui. Mosè parlò a loro. Si avvicinarono dopo di loro tutti gli Israeliti ed egli ingiunse loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul monte Sinai. Quando Mosè ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso. Quando entrava davanti al Signore per parlare con lui, Mosè si toglieva il velo, fin quando non fosse uscito. Una volta uscito, riferiva agli Israeliti ciò che gli era stato ordinato. Gli Israeliti, guardando in faccia Mosè, vedevano che la pelle del suo viso era raggiante. Poi egli si rimetteva il velo sul viso, fin quando non fosse di nuovo entrato a parlare con il Signore (Es 34,29-35).

Da lui fece sorgere un uomo mite, che incontrò favore agli occhi di tutti, amato da Dio e dagli uomini: Mosè, il cui ricordo è in benedizione. Gli diede gloria pari a quella dei santi e lo rese grande fra i terrori dei nemici. Per le sue parole fece cessare i prodigi e lo glorificò davanti ai re; gli diede autorità sul suo popolo e gli mostrò parte della sua gloria. Lo santificò nella fedeltà e nella mitezza, lo scelse fra tutti gli uomini. Gli fece udire la sua voce, lo fece entrare nella nube oscura e gli diede faccia a faccia i comandamenti, legge di vita e d’intelligenza, perché insegnasse a Giacobbe l’alleanza, i suoi decreti a Israele (Si4 45, 1-5).

Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè, che il Signore conosceva faccia a faccia, per tutti i segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a compiere nella terra d’Egitto, contro il faraone, contro i suoi ministri e contro tutta la sua terra, e per la mano potente e il terrore grande con cui Mosè aveva operato davanti agli occhi di tutto Israele (Dt 34,10-12).

Paolo ci annuncia che tutto l’Antico Testamento si riveste di un unico e solo fine: darci Gesù Signore secondo la carne. Una volta che questo frutto è stato prodotto, l’albero che gli ha dato vita, se vuole vivere deve nutrirsi, mangiare questo frutto di vita eterna. L’albero produce il frutto della vita che diviene vita dell’albero che lo ha prodotto. Finisce la gloria di Mosè e di tutto l’albero. Gloria ora è Cristo Signore e solo Lui. Se l’albero che ha prodotto il frutto non mangia e non si nutre del frutto da esso prodotto rimane nella sua morte e perde anche il fine per cui è stato piantato da Dio. È stato da Dio piantato per produrre il frutto della vita perché mangiandolo si nutra di vera vita.

Proprio questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio. Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, il quale anche ci ha resi capaci di essere ministri di una nuova alleanza, non della lettera, ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito invece dà vita. Se il ministero della morte, inciso in lettere su pietre, fu avvolto di gloria al punto che i figli d’Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore effimero del suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito? Se già il ministero che porta alla condanna fu glorioso, molto di più abbonda di gloria il ministero che porta alla giustizia. Anzi, ciò che fu glorioso sotto quell’aspetto, non lo è più, a causa di questa gloria incomparabile. Se dunque ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo.

Il ministero di Paolo è diverso da quello di Mosè. Mosè guardava al frutto da produrre. Paolo guarda al frutto prodotto. Mosè non deve più indicare alcun frutto. Esso è stato prodotto. Paolo invece dovrà consumare la sua vita per annunciare, dare, rendere credibile Cristo, in modo che tutti mangino il frutto della vita eterna e in Lui diventino anche loro vita eterna. Questo ministero non si vive per capacità umane, ma per la forza dello Spirito, il quale deve rendere sempre vivo e vivente Cristo nel cuore dei suoi missionari e dal cuore dei missionari deve piantare Cristo Gesù in ogni altro cuore.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci alberi che danno Cristo.

 

15 GIUGNO

Riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore

2 Cor 3,15-4,1.3-6; Sal 84,9-13; Mt 5,20-26.

Perché si rifletta come in uno specchio la gloria del Signore è necessario che vi sia un perenne ininterrotto contatto tra il Signore, il suo missionario, il suo discepolo. Il Nuovo Testamento ci attesta che tutta la missione evangelizzatrice sempre dovrà essere il frutto di questo contatto con la fonte della salvezza che è Gesù Signore.

Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena (1Gv 1,1-4).

Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato (Eb 12,1-4).

Infatti, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: «Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino. Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana è mai venuta una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono alcuni uomini da parte di Dio (2Pt 1,16-21).

Quando il missionario di Cristo Signore toglie lo sguardo da Cristo Gesù e lo pone sull’uomo, non riflettendo più la gloria di Cristo, inganna l’uomo, perché gli offre una salvezza effimera, vana, inutile. Dalla terra potrà pensare all’uomo secondo la terra. Dal cuore di Cristo, penserà all’uomo secondo il cuore di Cristo, nel quale vi è il cuore del Padre e dello Spirito Santo. Guardando l’uomo da Cristo, lo inserirà sempre in una dimensione trinitaria, celeste, divina, eterna. Per questo Paolo può dire di sé: “Siamo i vostri servitori a causa di Gesù”. Noi contempliamo Gesù per riflettere su di voi tutta la sua verità, la sua carità, il suo amore, la sua speranza, la sua fede, la sua vittoria.

Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; ma quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto. Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore. Perciò, avendo questo ministero, secondo la misericordia che ci è stata accordata, non ci perdiamo d’animo. E se il nostro Vangelo rimane velato, lo è in coloro che si perdono: in loro, increduli, il dio di questo mondo ha accecato la mente, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo, che è immagine di Dio. Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.

O il missionario farà risplendere sul mondo la conoscenza della gloria di Dio che è sul volto di Cristo, il Crocifisso e il Risorto, oppure la sua missione diviene un fatto di terra per la terra. Cristo Gesù deve essere il cuore, la mente, il pensiero, il desiderio, la volontà di ogni suo missionario. Lui è mandato con un solo fine: dire Cristo mostrando Cristo, donando Cristo. Senza il dono di Cristo, il missionario è morto alla missione.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri missionari di Cristo.

 

16 GIUGNO

Sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù

2 Cor 4,7-15; Sal 115,10-11.15-18; Mt 5,27-32.

Cristo Gesù non è venuto per liberare l’uomo dalle sue povertà, miserie, sofferenze e neanche dalla fame e dalla sete. È venuto ad insegnare ad ogni uomo come si vive ogni sofferenza, ogni disprezzo dell’uomo, ogni croce, ogni dolore, ogni miseria, ogni povertà. Ma è venuto anche a dire ad ogni uomo che non c’è posto per esso nel suo regno se non si mette a servizio, potendolo, della miseria, del dolore, della sofferenza, delle croci molteplici che gravano sulle spalle dei fratelli. Entrerà nel regno dei cieli chi, come Cristo Gesù, si fa carico e condivide sofferenze, povertà, miserie, peccati.

Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,17-38).

Chi è Paolo? È colui che ogni giorno porta nel suo corpo la morte di Gesù. Lui è esempio perfetto di crocifissione in Cristo, per Cristo, con Cristo. Lui mostra Cristo al vivo nel suo corpo. È questa la sua vera opera di evangelizzazione: mostrare Cristo.

Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita. Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio.

Vivendo la Croce di Cristo nella sua carne, diviene mediatore di vera salvezza. Per la sua morte gli uomini potranno anche loro entrare nella morte di Cristo, per vivere un giorno la sua gloriosa risurrezione. Dalla morte alla vita per la morte di Cristo in Paolo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a mostrare Cristo.

 

17 GIUGNO

Dio lo fece peccato in nostro favore

2 Cor 5,14-21; Sal 102,1-4.8-9.11-12; M7 5,33-37.

La Scrittura Antica ci rivela che il peccato grava sul popolo del Signore più che macigno. Del peccato ci si deve liberare. Molti erano i sacrifici di espiazione per la liberazione dai peccati. Vi era anche quello del capro espiatorio sul quale il sommo sacerdote scaricava i peccati del popolo perché li portasse fuori dell’accampamento.

Quando avrà finito di purificare il santuario, la tenda del convegno e l’altare, farà accostare il capro vivo. Aronne poserà entrambe le mani sul capo del capro vivo, confesserà su di esso tutte le colpe degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li riverserà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, lo manderà via nel deserto. Così il capro porterà sopra di sé tutte le loro colpe in una regione remota, ed egli invierà il capro nel deserto. Poi Aronne entrerà nella tenda del convegno, si toglierà le vesti di lino che aveva indossato per entrare nel santuario e le deporrà in quel luogo. Laverà il suo corpo nell’acqua in luogo santo, indosserà le sue vesti e uscirà ad offrire il suo olocausto e l’olocausto del popolo e compirà il rito espiatorio per sé e per il popolo. E farà bruciare sull’altare le parti grasse della vittima del sacrificio per il peccato. Colui che avrà inviato il capro destinato ad Azazèl si laverà le vesti, laverà il suo corpo nell’acqua; dopo, rientrerà nell’accampamento. Farà portare fuori dall’accampamento il giovenco del sacrificio per il peccato e il capro del sacrificio per il peccato, il cui sangue è stato introdotto nel santuario per compiere il rito espiatorio; se ne bruceranno nel fuoco la pelle, la carne e gli escrementi. Colui che li avrà bruciati dovrà lavarsi le vesti e bagnarsi il corpo nell’acqua; dopo, rientrerà nell’accampamento. Questa sarà per voi una legge perenne: nel settimo mese, nel decimo giorno del mese, vi umilierete, vi asterrete da qualsiasi lavoro, sia colui che è nativo del paese sia il forestiero che soggiorna in mezzo a voi, poiché in quel giorno si compirà il rito espiatorio per voi, al fine di purificarvi da tutti i vostri peccati. Sarete purificati davanti al Signore. Sarà per voi un sabato di riposo assoluto e voi vi umilierete; è una legge perenne. Compirà il rito espiatorio il sacerdote che ha ricevuto l’unzione e l’investitura per succedere nel sacerdozio al posto di suo padre; si vestirà delle vesti di lino, delle vesti sacre. Purificherà la parte più santa del santuario, purificherà la tenda del convegno e l’altare; farà l’espiazione per i sacerdoti e per tutto il popolo della comunità. Questa sarà per voi una legge perenne: una volta all’anno si compirà il rito espiatorio in favore degli Israeliti, per tutti i loro peccati» (Lev 16,20-34).

Il Padre celeste, ci rivela Paolo, ha costituito Gesù vittima di espiazione, caricando sulle sue spalle tutti i peccai degli uomini. Gesù fece sua la volontà del Padre e prese su di sé ogni colpa e ogni pena dovuta agli uomini e realmente si lasciò immolare sul legno. Quello di Gesù non è un sacrificio spirituale, ma reale. Gesù è vera vittima di espiazione per i peccati del mondo. Lui è vero agnello di Dio che toglie il peccato.

L’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro. Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

Oggi il mondo ha ripudiato il Crocifisso. Questo ripudio significa che non vi è più alcun altro che toglie il peccato e questo rimane e opprime l’umanità. Infatti oggi l’umanità è oppressa dalle sue trasgressioni. Peccato si aggiunge a peccato, colpa a colpa, disobbedienza a disobbedienza, senza però che vi sia alcuno che li tolga. È questa spazzatura spirituale che sta rendendo l’aria irrespirabile. Siamo coperti da una montagna di peccati e noi dalla più profonda, abissale stoltezza, abbiamo rinnegato, ripudiato, mandato via, esiliato colui che solo ci può liberare da questo male.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, liberateci da ogni stoltezza.

 

18 GIUGNO – SS. Corpo e Sangue di Cristo

L’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore

Dt 8,2-3.14b-16a; Sal 147,12-15.19-20; 1 Cor 10,16-17; Gv 6,51-58.

Se leggiamo la prima pagina della Genesi, scopriremo che nulla esiste da se stesso. Tutto è per volontà del Signore e tutto rimane sempre dalla volontà del suo Creatore. L’uomo non è stato creato da Dio una volta per sempre. Lui da Dio deve essere creato ogni istante. Mentre la prima creazione è avvenuta senza l’uomo, perché non esisteva, ogni creazione successiva, nella storia, momento per momento, deve avvenire ascoltando l’uomo ogni parola del suo Dio. La Parola deve essere per lui come il giardino dell’Eden. Entra e rimane nella Parola, Dio lo crea e lo ricrea. Esce dalla Parola, Dio nulla potrà fare per esso, se non aiutarlo perché ritorni nella Parola.

Non è la scienza che crea l’uomo e neanche le sue tecniche economiche. Il Signore lo ha promesso. La vita è solo nella sua Parola. Fuori della sua Parola l’uomo non può vivere. La Parola ascoltata e osservata consente al Signore di poter perennemente creare l’uomo portandolo alla perfezione della sua natura che è ad immagine e a somiglianza del suo Creatore. Questa verità è annunziata da Paolo, indicando che la Parola di Dio, la Vera Parola del Signore è in Cristo ed è in Lui che si compie questa perenne nuova creazione dell’uomo. Fuori di Cristo si rimane nella nostra morte.

Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo. Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. 9Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito (Ef 2,8-22).

Chi è uscito dal Padre ed è venuto nel mondo, è Gesù Signore. Gesù si dona a noi come unica e sola Parola di vita eterna. Perché possiamo vivere di Lui e per Lui, ci dona la sua stessa vita nell’Eucaristia. Si dona come pane di vita perché possiamo vivere la Parola di vita, nella Parola, nella quale ogni giorno siamo creati da Dio.

Abbiate cura di mettere in pratica tutti i comandi che oggi vi do, perché viviate, diveniate numerosi ed entriate in possesso della terra che il Signore ha giurato di dare ai vostri padri. Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri.

Il cristiano non deve annunciare la Parla fuori dalla Parola. Deve manifestare la nuova creazione che la Parola crea in lui ogni istante, in modo che l’altro veda e creda. Si crede nella Parola vissuta, nella Parola che diviene vita. Questa è la missione cristiana.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vere nuove creature.

 

19 GIUGNO

Vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio

2 Cor 6,1-10; Sal 97,1-4; Mt 5,38-42.

Per Paolo vi è un solo modo per non accogliere invano la grazia di Dio: consacrare la propria vita alla carità, all’amore, alla speranza, alla pace, alla giustizia, al bene.

Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. Per la grazia che mi è stata data, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all’insegnamento; chi esorta si dedichi all’esortazione. Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia. La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell’ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile. Non stimatevi sapienti da voi stessi. Non rendete a nessuno male per male. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene (Cfr. Rm 12,1-21).

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine (Cfr. 1Cor 13,1-13).

Come si consacra la propria vita alla carità e all’amore? Rimanendo sulla Croce, come Cristo, in ogni condizione della nostra umana esistenza. La grazia ci è data per volere e sapere rimanere sulla croce dell’amore di Cristo Signore. Lui rimase sulla Croce, noi rimaniamo sulla Croce, non abbiamo reso vana la grazia del Signore.

Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga criticato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza: nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, con sapienza, con magnanimità, con benevolenza, con spirito di santità, con amore sincero, con parola di verità, con potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama; come impostori, eppure siamo veritieri; come sconosciuti, eppure notissimi; come moribondi, e invece viviamo; come puniti, ma non uccisi; come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!

Tutti i mali, le sofferenze, le persecuzioni, le croci del mondo si abbattono su Paolo, ma Lui resta sempre abbracciato al cuore di Cristo Crocifisso e da quel cuore, con quel cuore Crocifisso, divenuto cuore di Paolo lui ama. Questa via l’apostolo indica ad ogni discepolo di Gesù perché cammini su di essa per tutti i giorni della sua vita. È solo rimanendo nel cuore Crocifisso di Cristo che si evita anche ogni scandalo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci amare dal cuore di Gesù.

 

20 GIUGNO

Da ricco che era, si è fatto povero per voi

2 Cor 8,1-9; Sal 145,1-2.5-9; Mt 5,43-48.

Per San Paolo la condivisione non è un obbligo morale. È invece un diritto e un dovere di natura resa corpo di Cristo nel Sacramento del Battesimo. Questo diritto e questo dovere non va vissuto solo nel corpo di Cristo, ma con ogni altro uomo, essendo il corpo di Cristo vero corpo umano, che fa Cristo fratello di ogni altro uomo e per questo Lui può essere il loro salvatore. Alcuni passi del Nuovo Testamento illuminano questa verità e la pongono nella sua luce più chiara e splendente.

Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio. Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova. Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo! Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga. Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; quando poi siamo giudicati dal Signore, siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo (1Cor 11,17-32).

Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova (Eb 2,14-18).

Divenendo corpo di Cristo, non solo si è obbligati a vivere in perfetta comunione di beni materiali e spirituali, ma anche si deve vivere la missione di Cristo Gesù, quella cioè di offrire la nostra vita a Lui per la redenzione del mondo. Comunione vera, perfetta.

Vogliamo rendervi nota, fratelli, la grazia di Dio concessa alle Chiese della Macedonia, perché, nella grande prova della tribolazione, la loro gioia sovrabbondante e la loro estrema povertà hanno sovrabbondato nella ricchezza della loro generosità. Posso testimoniare infatti che hanno dato secondo i loro mezzi e anche al di là dei loro mezzi, spontaneamente, domandandoci con molta insistenza la grazia di prendere parte a questo servizio a vantaggio dei santi. Superando anzi le nostre stesse speranze, si sono offerti prima di tutto al Signore e poi a noi, secondo la volontà di Dio; cosicché abbiamo pregato Tito che, come l’aveva cominciata, così portasse a compimento fra voi quest’opera generosa. E come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa. Non dico questo per darvi un comando, ma solo per mettere alla prova la sincerità del vostro amore con la premura verso gli altri. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

Urge mettere sul candelabro del cristianesimo e della storia la nostra verità di carità, condivisione, comunione, solidarietà. Poiché corpo di Cristo, ci dobbiamo lasciare mangiare dal corpo di Cristo e divenire olocausto di redenzione per il mondo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vero corpo di Cristo.

 

21 GIUGNO

 

Moltiplicherà anche la vostra semente

2 Cor 9,6-11; Sal 111,1-4.9; Mt 6,1-6.16-18.

Il Salmo vede l’elemosina come vera semina. Si affida il buon seme alla terra, la terra lo moltiplicherà. Così è dell’elemosina, una vera semina nel campo buono di Dio.

Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia. Allora si diceva tra le genti: «Il Signore ha fatto grandi cose per loro». Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia. Ristabilisci, Signore, la nostra sorte, come i torrenti del Negheb. Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni (Sal 126 (125) 1-6).

Il Libro del Deuteronomio invece pone ogni atto di amore sotto la potente benedizione del Signore. Il Signore è largo di ogni abbondanza con chi è largo nella carità.

Alla fine di ogni sette anni celebrerete la remissione. Ecco la norma di questa remissione: ogni creditore che detenga un pegno per un prestito fatto al suo prossimo, lascerà cadere il suo diritto: non lo esigerà dal suo prossimo, dal suo fratello, poiché è stata proclamata la remissione per il Signore. Potrai esigerlo dallo straniero; ma quanto al tuo diritto nei confronti di tuo fratello, lo lascerai cadere. Del resto non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi; perché il Signore certo ti benedirà nella terra che il Signore, tuo Dio, ti dà in possesso ereditario, 5purché tu obbedisca fedelmente alla voce del Signore, tuo Dio, avendo cura di eseguire tutti questi comandi, che oggi ti do. Quando il Signore, tuo Dio, ti benedirà come ti ha promesso, tu farai prestiti a molte nazioni, ma non prenderai nulla in prestito. Dominerai molte nazioni, mentre esse non ti domineranno.

Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una delle tue città nella terra che il Signore, tuo Dio, ti dà, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso, ma gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova. Bada bene che non ti entri in cuore questo pensiero iniquo: “È vicino il settimo anno, l’anno della remissione”; e il tuo occhio sia cattivo verso il tuo fratello bisognoso e tu non gli dia nulla: egli griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te. Dagli generosamente e, mentre gli doni, il tuo cuore non si rattristi. Proprio per questo, infatti, il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano. Poiché i bisognosi non mancheranno mai nella terra, allora io ti do questo comando e ti dico: “Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nella tua terra”.

Se un tuo fratello ebreo o una ebrea si vende a te, ti servirà per sei anni, ma il settimo lo lascerai andare via da te libero. Quando lo lascerai andare via da te libero, non lo rimanderai a mani vuote. Gli farai doni dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio. Gli darai ciò di cui il Signore, tuo Dio, ti avrà benedetto. Ti ricorderai che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha riscattato; perciò io ti do oggi questo comando. Ma se egli ti dice: “Non voglio andarmene da te”, perché ama te e la tua casa e sta bene presso di te, allora prenderai la lesina, gli forerai l’orecchio contro la porta ed egli ti sarà schiavo per sempre. Anche per la tua schiava farai così. Non ti sia grave lasciarlo andare libero, perché ti ha servito sei anni e un mercenario ti sarebbe costato il doppio; così il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni cosa che farai (Dt 15,1-18).

San Poalo esorta i Corinti ad essere generosi. Non si è generosi con gli uomini, ma con il Signore. Il Signore sarà a sua volta generoso con ogni abbondanza. Dio ama chi dona con gioia. Essendo tutto un dono del Signore, possiamo dare a lui con tristezza?

Tenete presente questo: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene. Sta scritto infatti: Ha largheggiato, ha dato ai poveri, la sua giustizia dura in eterno. Colui che dà il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, darà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia. Così sarete ricchi per ogni generosità, la quale farà salire a Dio l’inno di ringraziamento per mezzo nostro.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la verità dell’amore.

 

22 GIUGNO

Nessuno mi toglierà questo vanto in terra di Acaia!

2 Cor 11,1-11; Sal 110,1-4.7-8; Mt 6,7-15.

Vi è in San Paolo un aspetto misterioso difficile da comprendere. Ci sono delle decisioni dell’anima le cui motivazioni nessuno mai potrà conoscere. Questo ci attesta un’altissima verità: l’altro non è modello per noi in tutto. La nostra anima non è la sua anima e di conseguenza le sue decisioni non sono le nostre decisioni. Mai sapremo quali sono le ragioni profonde per cui lui decide di predicare in terra d’Acaia gratuitamente il Vangelo, senza servirsi della carità che è dovuta a chi annunzia il Vangelo. Questa sua decisione la manifesta sia nella Prima che nella Seconda Lettera.

Non sono forse libero, io? Non sono forse un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro? E non siete voi la mia opera nel Signore? Anche se non sono apostolo per altri, almeno per voi lo sono; voi siete nel Signore il sigillo del mio apostolato. La mia difesa contro quelli che mi accusano è questa: non abbiamo forse il diritto di mangiare e di bere? Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? Oppure soltanto io e Bàrnaba non abbiamo il diritto di non lavorare? E chi mai presta servizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? Chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? Io non dico questo da un punto di vista umano; è la Legge che dice così. Nella legge di Mosè infatti sta scritto: Non metterai la museruola al bue che trebbia. Forse Dio si prende cura dei buoi? Oppure lo dice proprio per noi? Certamente fu scritto per noi. Poiché colui che ara, deve arare sperando, e colui che trebbia, trebbiare nella speranza di avere la sua parte. Se noi abbiamo seminato in voi beni spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni materiali?

Se altri hanno tale diritto su di voi, noi non l’abbiamo di più? Noi però non abbiamo voluto servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non mettere ostacoli al vangelo di Cristo. Non sapete che quelli che celebrano il culto, dal culto traggono il vitto, e quelli che servono all’altare, dall’altare ricevono la loro parte? Così anche il Signore ha disposto che quelli che annunciano il Vangelo vivano del Vangelo. Io invece non mi sono avvalso di alcuno di questi diritti, né ve ne scrivo perché si faccia in tal modo con me; preferirei piuttosto morire. Nessuno mi toglierà questo vanto! Infatti annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo (1Cor 9,1-18).

Le decisioni personali prese nello Spirito Santo vanno lasciate alla persona. Tutti possono prendere di queste decisioni. Sono però della singola persona, non di altri.

Se soltanto poteste sopportare un po’ di follia da parte mia! Ma, certo, voi mi sopportate. Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina: vi ho promessi infatti a un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta. Temo però che, come il serpente con la sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo. Infatti, se il primo venuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi, o se ricevete uno spirito diverso da quello che avete ricevuto, o un altro vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo. Ora, io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi superapostoli! E se anche sono un profano nell’arte del parlare, non lo sono però nella dottrina, come abbiamo dimostrato in tutto e per tutto davanti a voi. O forse commisi una colpa abbassando me stesso per esaltare voi, quando vi ho annunciato gratuitamente il vangelo di Dio? Ho impoverito altre Chiese accettando il necessario per vivere, allo scopo di servire voi. E, trovandomi presso di voi e pur essendo nel bisogno, non sono stato di peso ad alcuno, perché alle mie necessità hanno provveduto i fratelli giunti dalla Macedonia. In ogni circostanza ho fatto il possibile per non esservi di aggravio e così farò in avvenire. Cristo mi è testimone: nessuno mi toglierà questo vanto in terra di Acaia! Perché? Forse perché non vi amo? Lo sa Dio!

Paolo sa che è facile cadere dal Vangelo e finire nell’Anti-Vangelo. Le sue attenzioni, vigilanze, sollecitazioni non sono sufficienti senza l’impegno di ciascuno perché rimanga in ciò che ha ricevuto. Chi riceve il Vangelo è obbligato a non cadere da esso.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci prudenti e vigilanti.

 

23 GIUGNO

Perché il Signore vi ama

Dt 7,6-11; Sal 102,1-4.6-8.10; 1 Gv 4,7-16; Mt 11,25-30.

Quanto il Signore ama il suo popolo? Il Salmo canta tutta la storia di Israele come un frutto dell’amore di Dio per il suo popolo. Quella storia è solo frutto dell’amore di Dio.

Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre. Rendete grazie al Dio degli dèi, perché il suo amore è per sempre. Rendete grazie al Signore dei signori, perché il suo amore è per sempre. Lui solo ha compiuto grandi meraviglie, perché il suo amore è per sempre. Ha creato i cieli con sapienza, perché il suo amore è per sempre. Ha disteso la terra sulle acque, perché il suo amore è per sempre. Ha fatto le grandi luci, perché il suo amore è per sempre. Il sole, per governare il giorno, perché il suo amore è per sempre. La luna e le stelle, per governare la notte, perché il suo amore è per sempre. Colpì l’Egitto nei suoi primogeniti, perché il suo amore è per sempre. Da quella terra fece uscire Israele, perché il suo amore è per sempre. Con mano potente e braccio teso, perché il suo amore è per sempre. Divise il Mar Rosso in due parti, perché il suo amore è per sempre.

In mezzo fece passare Israele, perché il suo amore è per sempre. Vi travolse il faraone e il suo esercito, perché il suo amore è per sempre. Guidò il suo popolo nel deserto, perché il suo amore è per sempre. Colpì grandi sovrani, perché il suo amore è per sempre. Uccise sovrani potenti, perché il suo amore è per sempre. Sicon, re degli Amorrei, perché il suo amore è per sempre. Og, re di Basan, perché il suo amore è per sempre. Diede in eredità la loro terra, perché il suo amore è per sempre. In eredità a Israele suo servo, perché il suo amore è per sempre. Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi, perché il suo amore è per sempre. Ci ha liberati dai nostri avversari, perché il suo amore è per sempre. Egli dà il cibo a ogni vivente, perché il suo amore è per sempre. Rendete grazie al Dio del cielo, perché il suo amore è per sempre (Sal 136 (135) 1-26).

L’amore di Dio che crea la storia d’amore, di liberazione, di salvezza, è affidato tutto all’uomo, perché anche lui lo faccia divenire amore di liberazione, salvezza, redenzione, vera elevazione morale e spirituale di se stesso e di ogni suo fratello. Se l’uomo non risponde a quest’amore e non lo mette a frutto o pensa che solo Dio debba amare, e trasgredisce quelle che sono le leggi d’amore, diviene responsabile in eterno dinanzi al suo Dio e Signore. È questo il peccato dell’uomo di oggi: la distruzione della legge dell’amore, della misericordia, della giustizia, della verità. L’uomo oggi è convinto che l’amore di Dio è tutto. Ma soprattutto è convinto che lui possa trasgredire a suo piacimento le leggi dell’amore. Il Signore lo mette in guardia: le leggi dell’amore obbligano ogni uomo. Esse vanno osservate. Dio non permette che esse vengano disattese. Interverrà anche con sanzioni eterne, che sono l’esclusione eterna dal suo amore, dalla sua luce, dalla sua casa, dal suo regno. È sua Parola, sua rivelazione.

Tu infatti sei un popolo consacrato al Signore, tuo Dio: il Signore, tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo popolo particolare fra tutti i popoli che sono sulla terra. Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli –, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri: il Signore vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha riscattati liberandovi dalla condizione servile, dalla mano del faraone, re d’Egitto. Riconosci dunque il Signore, tuo Dio: egli è Dio, il Dio fedele, che mantiene l’alleanza e la bontà per mille generazioni con coloro che lo amano e osservano i suoi comandamenti, ma ripaga direttamente coloro che lo odiano, facendoli perire; non concede una dilazione a chi lo odia, ma lo ripaga direttamente. Osserverai, dunque, mettendoli in pratica, i comandi, le leggi e le norme che oggi ti prescrivo.

Essere popolo consacrato al Signore ha un solo significato: Israele dal Signore è stato consacrato alla legge dell’amore, per mostrare a tutti i popoli la verità del suo Dio, che è il Dio, ma anche che è il Dio che ha dato all’uomo la buona legge dell’amore, perché in essa consumi tutti i suoi giorni. Questa legge trova il suo pieno compimento in Cristo Gesù. In Lui l’amore è Crocifisso. Lui ha amato l’uomo prendendo su di sé tutto il suo peccato, espiando per lui, donandogli il suo Santo Spirito, perché fosse capace di fare della legge dell’amore la sua stessa vita. L’amore è obbedienza alla legge dell’amore. Oggi si vuole un amore senza legge. Senza legge l’amore è solo egoismo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci amare dalla legge di Dio.

 

24 GIUGNO

Mi ha plasmato suo servo dal seno materno

Is 49,1-6; Sal 138,1-3.13-15; At 13,22-26; Lc 1,57-66.80.

Come la creazione è opera della sola onnipotenza divina, così la redenzione dell’uomo in ogni sua fase è opera solo della carità eterna di Dio. Il Signore non solo promette la salvezza dell’umanità, la attua in ogni sua fase, scegliendo e preparando persone interamente dedite al servizio della nuova creazione in Cristo, con Cristo, per Cristo, per opera dello Spirito Santo e la mediazione della Chiesa, fondata su Pietro.

Nell’opera della salvezza si devono distingue redue momenti: il momento del dono che è per purissima grazia di Dio e il momento dell’accoglienza che è frutto dell’obbedienza dell’uomo alla legge stabilita dallo stesso Dio perché la salvezza diventi operativa in chi la riceve. Nel momento del dono può anche succedere che colui che è incaricato e posto al servizio della salvezza di Dio venga meno nel suo ministero. Se costui o costoro vengono meno, si arresta il cammino della redenzione e l’uomo rimane nella sua miseria spirituale. Noi sappiamo che nell’Antico Israele molti sacerdoti e re hanno fallito nella loro missione e il popolo divenne idolatra, ribelle, immorale.

Dio però ha sempre in mano Lui la storia della salvezza e quando i suoi strumenti ordinari falliscono ecco che interviene con strumenti straordinari. Chiama Lui direttamente delle persone, le ricolma del suo Santo Spirito, li rende suoi profeti, annunciatori della sua volontà, testimoni del suo amore, strumenti della sua eterna carità in favore dell’intera umanità. È per questa azione o intervento diretto di Dio nella storia, che il disegno di salvezza di Dio mai si interrompe e sempre può riprendere il suo corso. La storia attesta la divina opera puntuale del Signore.

Chi è Giovanni il Battista in questa prospettiva di salvezza? È persona “creata” da Dio, piena di Spirito Santo fin dal grembo della madre, da Lui posto sotto la sua custodia, protezione e difesa, per farne lo strumento idoneo per preparare la via al suo Figlio Eterno, venuto nel mondo per compiere tutte le promesse e le profezie di Dio in ordine alla realizzazione della sua salvezza nel dono della vita eterna. Giovanni, afferrato, custodito, avvolto dallo Spirito di fortezza e di verità, compie la sua missione rimanendo sempre nella più pura verità e volontà del Signore suo Dio.

Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». Io ho risposto: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio». Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra».

È cosa giusta comprendere cosa oggi sta avvenendo nel mistero del dono della salvezza. I mediatori di essa, arbitrariamente, hanno cambiato la legge e ogni altra divina disposizione. Hanno dichiarato, chi apertamente, chi subdolamente, chi per omissione, chi per sonno spirituale, chi per accidia, chi per forte seduzione del mondo, che la loro opera non serve. La mediazione valeva per il passato. Oggi il Signore non ha più bisogno di mediatori perché Lui ha deciso di salvare tutti, indipendentemente dall’accoglienza o dalla non accoglienza della legge della salvezza e della redenzione.

È evidente che questa modifica dello statuto della salvezza è arbitrario, stabilito dall’uomo. Dio mai ha pensato una simile cosa. Anzi oggi, in questo contesto di disorientamento generale lui stesso ha suscitato un profeta potente perché ricordasse ad ogni uomo, al mondo, che il Vangelo è legge eterna per usufruire della sua vita.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri mediatori di Dio.

 

25 GIUGNO – XII Domenica T.O. A

Sarà una vergogna eterna e incancellabile

Ger 20,10-13; Sal 68,8-10.14.17.33-35; Rm 5,12-15; Mt 10,26-33.

Il profeta di Dio è la verità del presente e del futuro dell’uomo. Gli annunzia un presente di idolatria, immoralità, stoltezza, dal quale vi nascerà solo distruzione, devastazione, morte. Gli manifesta che il Signore è pronto a cancellare questo presente senza speranza per trasformando in un futuro pieno di vita e di ogni benedizione, a condizione che l’uomo si converta e ritorni nella sua Parola. Il profeta è voce di verità e di amore del Creatore e Signore che rivela cosa avverrà domani se l’uomo si rifiuta di accogliere il suo costante ininterrotto invito e richiamo d’amore. Veramente, realmente il futuro sarà una vergogna eterna e incancellabile, perché nella perseveranza nel male Dio escluderà dalla contemplazione del suo volto per l’eternità. Contemplare il volto di Dio è il solo ed unico fine dell’uomo. È in questa contemplazione la felicità eterna.

Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura? Quando mi assalgono i malvagi per divorarmi la carne, sono essi, avversari e nemici, a inciampare e cadere. Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme; se contro di me si scatena una guerra, anche allora ho fiducia. Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario. Nella sua dimora mi offre riparo nel giorno della sventura. Mi nasconde nel segreto della sua tenda, sopra una roccia mi innalza. E ora rialzo la testa sui nemici che mi circondano. Immolerò nella sua tenda sacrifici di vittoria, inni di gioia canterò al Signore. Ascolta, Signore, la mia voce. Io grido: abbi pietà di me, rispondimi! Il mio cuore ripete il tuo invito: «Cercate il mio volto!». Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza. Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto. Mostrami, Signore, la tua via, guidami sul retto cammino, perché mi tendono insidie. Non gettarmi in preda ai miei avversari. Contro di me si sono alzàti falsi testimoni che soffiano violenza. Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi. Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore (Sal 27 (26) 1-14).

Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? Le lacrime sono il mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: «Dov’è il tuo Dio?». Questo io ricordo e l’anima mia si strugge: avanzavo tra la folla, la precedevo fino alla casa di Dio, fra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa. Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio. In me si rattrista l’anima mia; perciò di te mi ricordo dalla terra del Giordano e dell’Ermon, dal monte Misar. Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati. Di giorno il Signore mi dona il suo amore e di notte il suo canto è con me, preghiera al Dio della mia vita. Dirò a Dio: «Mia roccia! Perché mi hai dimenticato? Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?». Mi insultano i miei avversari quando rompono le mie ossa, mentre mi dicono sempre: «Dov’è il tuo Dio?». Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio (Sal 42 (41). 112).

O riprendiamo a credere in questa verità della vergogna eterna e incancellabile, oppure faremo della nostra umanità una “massa dannata”, perché non vi sarà alcun freno contro la cattiveria, la malvagità, l’idolatria, la stoltezza, l’insipienza, l’immoralità.

Sentivo la calunnia di molti: «Terrore all’intorno! Denunciatelo! Sì, lo denunceremo». Tutti i miei amici aspettavano la mia caduta: «Forse si lascerà trarre in inganno, così noi prevarremo su di lui, ci prenderemo la nostra vendetta». Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere; arrossiranno perché non avranno successo, sarà una vergogna eterna e incancellabile. Signore degli eserciti, che provi il giusto, che vedi il cuore e la mente, possa io vedere la tua vendetta su di loro, poiché a te ho affidato la mia causa! Cantate inni al Signore, lodate il Signore, perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori.

Il profeta annunzia il futuro dell’uomo nel tempo e nell’eternità. Ma l’uomo non solo non crede, vuole abbattere lo stesso messaggero e profeta del Dio vivente. Non c’è futuro.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di vera conversione.

 

26 GIUGNO

In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra

Gen 12,1-9; Sal 32,12-13.18-20.22; Mt 7,1-5.

Prima della chiamata di Abramo il Signore aveva fatto due promesse. Avrebbe posto inimicizia tra il serpente e la donna. Non avrebbe più distrutto l’uomo con il diluvio.

Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,14-15).

Allora Noè edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali puri e di uccelli puri e offrì olocausti sull’altare. Il Signore ne odorò il profumo gradito e disse in cuor suo: «Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto. Finché durerà la terra, seme e mèsse, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno» (Gen 8,20-22).

Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra». Dio disse: «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne, e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne. L’arco sarà sulle nubi, e io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra». Disse Dio a Noè: «Questo è il segno dell’alleanza che io ho stabilito tra me e ogni carne che è sulla terra» (Gen 9,8-17).

Ora il Signore aggiunge un terza verità. L’inimicizia tra la stirpe della donna e la stirpe di Satana non sarà puramente esteriore, sarà invece per trasformazione dell’uomo. Dio ha deciso di benedire nuovamente l’uomo e la benedizione in Dio è opera. Con il suo peccato l’uomo da essere buono, molto buono, ad immagine di Dio, si è fatto esser cattivo, molto cattivo. Si è deturpato nella sua stessa natura. Ora Dio viene per ricreare, rifare nuovamente l’uomo. Da essere nella morte per la morte, lo vuole far ritornare ad essere uomo nella vita per la vita. Questa è la sua benedizione. Questa benedizione, che è vera nuova creazione, avviene attraverso l’obbedienza di un uomo che il Signore benedice e costituisce benedizione per tutti i popoli della terra.

Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran. Abram prese la moglie Sarài e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan. Arrivarono nella terra di Canaan e Abram la attraversò fino alla località di Sichem, presso la Quercia di Morè. Nella terra si trovavano allora i Cananei. Il Signore apparve ad Abram e gli disse: «Alla tua discendenza io darò questa terra». Allora Abram costruì in quel luogo un altare al Signore che gli era apparso. Di là passò sulle montagne a oriente di Betel e piantò la tenda, avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente. Lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore. Poi Abram levò la tenda per andare ad accamparsi nel Negheb.

La benedizione non è fuori di Abramo, ma in Abramo. In lui, nella sua discendenza saranno benedette tutte le nazioni della terra e tutti i popoli. Si faccia bene attenzione. Il Signore non dice: “Per te”, ma: “in te”; “Non per la tua discendenza”, ma: “Nella tua discendenza”. Poiché la discendenza di Abramo è Cristo, la benedizione è “In Cristo”, non: “Fuori di Cristo”, è “Nella Chiesa, corpo di Cristo”, “Non fuori della Chiesa”. Sono in grande errore quanti pensano la benedizione “per Cristo”, ma “non in Cristo”.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di fede pura e retta.

 

27 GIUGNO

Peccavano molto contro il Signore

Gen 13,2.5-18; Sal 14,1-5; Mt 7,6.12-14.

Il male è ogni cosa contraria alla divina volontà che l’uomo pone nella storia. Il peccato è l’agire dell’uomo in disobbedienza al comando del Creatore, il solo Legislatore eterno che può stabilire cosa è bene e cosa è male, il bene perché sia fatto, il male perché sia evitato. Per questa ragione ontologica ogni peccato è contro il Signore ed è un insulto a Lui. Questa verità è rivelata anche da Davide nella sua richiesta di perdono a Dio.

Al maestro del coro. Salmo. Di Davide. Quando il profeta Natan andò da lui, che era andato con Betsabea. Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto: così sei giusto nella tua sentenza, sei retto nel tuo giudizio. Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre. Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo, nel segreto del cuore mi insegni la sapienza. Aspergimi con rami d’issòpo e sarò puro; lavami e sarò più bianco della neve. Fammi sentire gioia e letizia: esulteranno le ossa che hai spezzato. Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. Rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso. Insegnerò ai ribelli le tue vie e i peccatori a te ritorneranno. Liberami dal sangue, o Dio, Dio mia salvezza: la mia lingua esalterà la tua giustizia. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode. Tu non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, tu non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi. Nella tua bontà fa’ grazia a Sion, ricostruisci le mura di Gerusalemme. Allora gradirai i sacrifici legittimi, l’olocausto e l’intera oblazione; allora immoleranno vittime sopra il tuo altare (Sal 51 (50) 1-21).

Questa verità oggi si sta totalmente smarrendo. Non può essere diversamente. Avendo noi costruito una società senza Dio, senza alcuna origine dell’uomo da Dio, neanche gli atti susseguenti potranno essere riferiti a Dio. Se Lui non è il Creatore dell’uomo, neanche potrà essere il Signore, tantomeno il suo unico e solo legislatore. I mali che l’ateismo sta generando sulla nostra terra sono più che diluvio universale. Oggi è l’ateismo il vero diluvio universale che distruggerà, annienterà l’umanità.

Abram era molto ricco in bestiame, argento e oro. Ma anche Lot, che accompagnava Abram, aveva greggi e armenti e tende, e il territorio non consentiva che abitassero insieme, perché avevano beni troppo grandi e non potevano abitare insieme. Per questo sorse una lite tra i mandriani di Abram e i mandriani di Lot. I Cananei e i Perizziti abitavano allora nella terra. Abram disse a Lot: «Non vi sia discordia tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli. Non sta forse davanti a te tutto il territorio? Sepàrati da me. Se tu vai a sinistra, io andrò a destra; se tu vai a destra, io andrò a sinistra». Allora Lot alzò gli occhi e vide che tutta la valle del Giordano era un luogo irrigato da ogni parte – prima che il Signore distruggesse Sòdoma e Gomorra – come il giardino del Signore, come la terra d’Egitto fino a Soar. Lot scelse per sé tutta la valle del Giordano e trasportò le tende verso oriente. Così si separarono l’uno dall’altro: Abram si stabilì nella terra di Canaan e Lot si stabilì nelle città della valle e piantò le tende vicino a Sòdoma. Ora gli uomini di Sòdoma erano malvagi e peccavano molto contro il Signore. Allora il Signore disse ad Abram, dopo che Lot si era separato da lui: «Alza gli occhi e, dal luogo dove tu stai, spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l’oriente e l’occidente. Tutta la terra che tu vedi, io la darò a te e alla tua discendenza per sempre. Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti. Àlzati, percorri la terra in lungo e in largo, perché io la darò a te». Poi Abram si spostò con le sue tende e andò a stabilirsi alle Querce di Mamre, che sono ad Ebron, e vi costruì un altare al Signore.

Il testo sacro lo dice con divina chiarezza: “Gli uomini di Sodoma erano malvagi e peccavano molto contro il Signore”. Questa verità del peccato va messa in luce, va gridata ad ogni uomo. Chi pecca, non pecca contro l’umanità, contro la terra, contro la creazione, pecca contro il suo Creatore e Signore, offende e disprezza l’Autore di ogni vita. Tolto Dio come unico e solo punto di riferimento, è la confusione universale.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di vera fede nel Signore.

 

28 GIUGNO

Il Signore concluse quest’alleanza con Abram

Gen 15,1-12.17-18; Sal 104,1-9; Mt 7,15-20.

La Scrittura Santa conosce due alleanze tra Dio e l’uomo. La prima è unilaterale. La seconda è bilaterale. L’alleanza unilaterale è un solenne impegno, un giuramento, una promessa nella quale il Signore impegna se stesso a fare qualcosa per l’uomo. Questo impegno è definito, circostanziato, preciso. Le parole dell’alleanza unilaterale tra Dio e Abramo sono esatte: “Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede. Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle. Tale sarà la tua discendenza”. Questa promessa o alleanza unilaterale sarà portata da Dio a compimento. La storia mai riuscirà ad impedire che quanto Dio ha stabilito e solennemente giurato non giunga a compimento. È Dio il Signore anche della storia.

Nell’alleanza bilaterale invece Dio si impegna sull’impegno dell’uomo. In essa l’obbedienza dell’uomo è essenza perché Dio possa mantenere il suo impegno. Ora tutta l’alleanza di benedizione, di vita eterna, di creazione nuova, di grazia, di salvezza eterna è alleanza bilaterale. Il Signore dona il sovrappiù se l’uomo cerca il regno di Dio e la sua giustizia. Dona la via eterna a chi osserva i suoi comandamenti. È misericordioso con chi vive di misericordia, possederà la terra chi è povero in spirito, vedrà Dio chi è puro di cuore. Tutto il Vangelo è alleanza bilaterale. I sacramenti sono alleanza bilaterale. Il perdono è alleanza bilaterale. Anche la preghiera è alleanza bilaterale. Cosa non è alleanza bilaterale? La promessa della salvezza, della vita eterna, del Paradiso. Questa promessa mai sarà ritirata da Dio. Lui è fedeltà eterna ad ogni sua Parola. Questa promessa unilaterale diviene efficace nell’alleanza bilaterale.

Dopo tali fatti, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede». Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.

E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo». Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò. Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate;

Dio celebra l’alleanza unilaterale con Abramo sul modello dell’alleanza bilaterale. Si dividono gli animali, si passa attraverso di essi e si pronuncia la formula d’impegno: “Che io diventi squartato come questi animali se verrò meno ad una sola parola di questo impegno, questo giuramento”. In mezzo agli animali squartati passa solo il Signore. Non passa Abramo. Il Signore vi passa come fuoco che divora e consuma. Se Lui dovesse venire meno all’impegno preso, dovrà essere consumato come gli animali in mezzo ai quali Lui è passato. È questo un impegno solennissimo di Dio preso verso Abramo e sappiamo che nonostante i contorcimenti della storia Lui lo ha portato a compimento, lo sta portando a realizzazione. Perché Lui si è impegnato a rendere più numerosa che le stelle del cielo la discendenza di Abramo, che è discendenza per generazione da Dio in Cristo, attraverso l’acqua e lo Spirito Santo. Questa promessa riguarda Cristo Gesù e la sua Chiesa, il Nuovo Popolo del Signore. Dio darà sempre nuovi figli alla Chiesa, entrati nella Chiesa si vive per alleanza bilaterale.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri figli di Dio in Cristo.

 

29 GIUGNO

Dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui

At 12,1-11; Sal 33,2-9; 2 Tm 4,6-8.17-18; Mt 16,13-19.

Ritengo si possa operare un parallelismo tra la risurrezione di Tabità, che è liberazione dal carcere della morte, e la liberazione di Pietro dal carcere di Erode. Tabità è stata riportata in vita per il grido delle vedove che si sentivano perse senza colei che era in mezzo ad esse visibilità dell’amore di Dio. Le vedove avevano bisogno dell’amore di Tabità. Pietro si lascia commuovere dal grido delle vedove dona loro la sorgente, il principio umano del loro amore e della loro speranza. Esse possono ritornare a vivere.

A Giaffa c’era una discepola chiamata Tabità – nome che significa Gazzella – la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. Proprio in quei giorni ella si ammalò e morì. La lavarono e la posero in una stanza al piano superiore. E, poiché Lidda era vicina a Giaffa, i discepoli, udito che Pietro si trovava là, gli mandarono due uomini a invitarlo: «Non indugiare, vieni da noi!». Pietro allora si alzò e andò con loro. Appena arrivato, lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto, che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro. Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi, rivolto al corpo, disse: «Tabità, àlzati!». Ed ella aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i fedeli e le vedove e la presentò loro viva (At 9,36-41).

La Chiesa senza Pietro si sente vedova. Manca della sorgente, del principio umano della sua verità e del suo amore, della sua speranza e della sua pace. Pietro è il fondamento sul quale la Chiesa si regge. Vedendolo “morto”, perché ormai questa era la sorte che gravava sulla sua testa, la Chiesa, vedova di Pietro, innalza a Dio una incessante preghiera, una preghiera che è fatta da un cuor solo e da un’anima sola. Se Pietro si lasciò commuovere dal grido delle vedove, Gesù non si lascerà anche Lui vincere da un grido così forte e persistente? Si lascia vincere e manda un suo angelo a liberare Pietro, perché continui a servire la Chiesa nella verità e nella grazia.

In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Azzimi. Lo fece catturare e lo gettò in carcere, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui. In quella notte, quando Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro, piantonato da due soldati e legato con due catene, stava dormendo, mentre davanti alle porte le sentinelle custodivano il carcere. Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Àlzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. L’angelo gli disse: «Mettiti la cintura e légati i sandali». E così fece. L’angelo disse: «Metti il mantello e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva invece di avere una visione. Essi oltrepassarono il primo posto di guardia e il secondo e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città; la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si allontanò da lui. Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva».

Quanto è importante l’altro per noi? Per le vedove, Tabità è la loro stessa vita. Pietro lo vede e dona loro nuovamente la vita. Esse possono continuare a sperare. L’amore di Dio è su di esse e Tabità è visibilità dell’amore del Signore per loro. Anche Pietro è la vita per la Chiesa. Senza di lui, essa si sente vedova senza più speranza. Le manca la certezza e la garanzia della vittoria sulle forze del male. Senza Pietro le porte degli inferi potranno prevalere su di essa e trascinarla lontano da Cristo Signore. Sapendo questo, essa, più che le vedove, manifesta a Dio la sua fragile condizione, il momento difficile in cui sta per essere inabissata, innalza la sua preghiera, essa viene ascoltata. Preghiera, verità, carità, fede devono sempre essere una cosa sola. Ma è sempre la carità vissuta che commuove il cuore e lo spinge a chiedere a Dio a non interrompere il flusso dell’amore, senza il quale non si può vivere. La Chiesa vive dell’amore di Pietro.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vivere di vera carità.

 

30 GIUGNO

E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?

Gen 17,1.9-10.15-22; Sal 127,1-5; Mt 8,1-4.

Nella Genesi, Dio si rivela come l’Onnipotente. Lui è il Signore che ha in mano la vita non solo dell’universo, ma anche quella di ogni singolo uomo. Tutto il Signore può. Niente è troppo difficile, grande, impegnativo per Lui. Anche a Mosè, quando gli appare la prima volta, gli ricorda che Lui si è manifestato come l’Onnipotente.

Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: “Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a me e sii integro (Gen 17, 1). Ti benedica Dio onnipotente, ti renda fecondo e ti moltiplichi, sì che tu divenga una assemblea di popoli (Gen 28, 3). Dio gli disse: “Io sono Dio onnipotente. Sii fecondo e diventa numeroso, popolo e assemblea di popoli verranno da te, re usciranno dai tuoi fianchi (Gen 35, 11). Dio onnipotente vi faccia trovare misericordia presso quell’uomo, così che vi rilasci l’altro fratello e Beniamino. Quanto a me, una volta che non avrò più i miei figli, non li avrò più…!” (Gen 43, 14). Giacobbe disse a Giuseppe: “Dio onnipotente mi apparve a Luz, nel paese di Canaan, e mi benedisse (Gen 48, 3). Per il Dio di tuo padre – egli ti aiuti! e per il Dio onnipotente – egli ti benedica! Con benedizioni del cielo dall’alto, benedizioni dell’abisso nel profondo, benedizioni delle mammelle e del grembo (Gen 49, 25). Sono apparso ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe come Dio onnipotente, ma con il mio nome di Signore non mi son manifestato a loro (Es 6, 3).

Abramo ormai ha raggiunto la veneranda età di cento anni. Sara ne ha ben novanta. Può una donna a novant’anni generare e partorire un figlio? Per gli uomini questo è impossibile. Per il Signore nulla è impossibile. Lui dal nulla ha creato ogni cosa e dal nulla continua a creare ogni cosa. Abramo deve sperimentare che nella sua vita nulla è da lui, perché tutto è dal Signore. Senza questo punto fermo, mai ci potrà essere futuro perché l’uomo mai nulla potrà fare per modificare un solo momento della sua esistenza. Ora il Signore si vuole rivelare ad Abramo e in lui a tutta la sua discendenza che ogni futuro potrà essere solo dal loro Dio. La loro storia è saldamente ancorata nelle sue mani, anzi è il frutto della sua onnipotenza. Senza questo punto fermo, dinanzi ad ogni difficoltà o impossibilità storica, si verrebbe meno nella fede e si ritornerebbe indietro. Mentre così si potrà sempre avere la forza di camminare in avanti. Dio è l’Onnipotente Signore. A Lui nulla è impossibile.

Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: «Io sono Dio l’Onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. Disse Dio ad Abramo: «Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione. Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra voi ogni maschio. Dio aggiunse ad Abramo: «Quanto a Sarài tua moglie, non la chiamerai più Sarài, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei». Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: «A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?». Abramo disse a Dio: «Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te!». E Dio disse: «No, Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io stabilirò la mia alleanza con lui come alleanza perenne, per essere il Dio suo e della sua discendenza dopo di lui. Anche riguardo a Ismaele io ti ho esaudito: ecco, io lo benedico e lo renderò fecondo e molto, molto numeroso: dodici prìncipi egli genererà e di lui farò una grande nazione. Ma stabilirò la mia alleanza con Isacco, che Sara ti partorirà a questa data l’anno venturo». Dio terminò così di parlare con lui e lasciò Abramo, levandosi in alto.

Ora il Signore pone nella vita di Abramo il suo punto fermo. A questo punto dovrà attaccare tutta la sua vita per il presente e per il futuro. Quando il Signore gli chiederà qualsiasi cosa, lui dovrà essere pronto per una obbedienza immediata. Il suo Dio, che è l’Onnipotente Signore, saprà anche dalla morte dell’uomo trarre la vita. L’ha tratta dal nulla, la potrà anche trarre dalla morte. Nulla gli è impossibile. Se invece questo punto non è fermo nella fede di Abramo, tutto nella sua vita sarà vacillante. Mai saprà a quale forza aggrapparsi. La storia è la fragilità. Gli uomini sono il non affidamento. Le cose sono meno che polvere esposta agli uragani. Su uno solo si può contare. Solo su di Lui si può costruire. Solo a Lui ci si può affidare. Lui è l’Onnipotente. Questa è la vera fede.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di vera fede in Dio.