È il pane che il Signore vi ha dato in cibo – Tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua

05 Giugno
È il pane che il Signore vi ha dato in cibo

Il dono della manna rivela che realmente nulla è impossibile al Signore. Quando il Signore ama una persona, per essa mette a disposizione tutta la sua onnipotenza. Il Signore ama il suo popolo e gli manifesta tutta la grandezza del suo amore e della sua misericordia. Ora Israele sa quanto grande è il suo Dio. Poiché il deserto è terra arida e infuocata, non dona alcun nutrimento, il Signore lo fa discendere dal cielo.

Scopriamo allora quale è il valore reale dei segni. In Egitto il Signore ha rivelato al faraone e al suo popolo che Lui è il Dio al quale tutta la creazione obbedisce. Nessun elemento creato può sottrarsi al suo volere. Nessun “sedicente dio”, può ostacolare un solo suo comando. Tutto ciò che vuole il Signore lo compie sulla terra e nei cieli. Al Mar Rosso rivela al suo popolo che mentre le acque per gli uni sono salvezza, per gli altri perdizione. Sono salvezza per gli Ebrei perché le hanno attraversate con fede, sul fondamento della Parola. Per gli Egiziani sono di morte e di perdizione, perché hanno voluto tentare il Signore. Per loro Dio non aveva dato nessun ordine e nessuna Parola.

Ora nel deserto il Signore completa l’educazione del suo popolo. Israele deve credere che il suo Dio è senza alcun limite nella sua onnipotenza, sapienza, forza, saggezza, lungimiranza, provvidenza. Il popolo è però senza fede e anche dopo la manifestazione dell’onnipotenza di Dio, molti stentano a credere e continuano nella disobbedienza. Dobbiamo confessare che il miracolo della manna è uno dei pochi che non è stato fatto per la mediazione di Mosè. Esso è pensato, voluto, realizzato dal Signore senza alcuna mediazione. Così come l’altro miracolo: quello delle quaglie.

Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine».

Allora il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che avranno raccolto ogni altro giorno».

Mosè e Aronne dissero a tutti gli Israeliti: «Questa sera saprete che il Signore vi ha fatto uscire dalla terra d’Egitto e domani mattina vedrete la gloria del Signore, poiché egli ha inteso le vostre mormorazioni contro di lui. Noi infatti che cosa siamo, perché mormoriate contro di noi?». Mosè disse: «Quando il Signore vi darà alla sera la carne da mangiare e alla mattina il pane a sazietà, sarà perché il Signore ha inteso le mormorazioni con le quali mormorate contro di lui. Noi infatti che cosa siamo? Non contro di noi vanno le vostre mormorazioni, ma contro il Signore».

Mosè disse ad Aronne: «Da’ questo comando a tutta la comunità degli Israeliti: “Avvicinatevi alla presenza del Signore, perché egli ha inteso le vostre mormorazioni!”». Ora, mentre Aronne parlava a tutta la comunità degli Israeliti, essi si voltarono verso il deserto: ed ecco, la gloria del Signore si manifestò attraverso la nube. Il Signore disse a Mosè: «Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: “Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio”».

La sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Quando lo strato di rugiada svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Che cos’è?», perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «È il pane che il Signore vi ha dato in cibo. Ecco che cosa comanda il Signore: “Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne, un omer a testa, secondo il numero delle persone che sono con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli della propria tenda”».

Così fecero gli Israeliti. Ne raccolsero chi molto, chi poco. Si misurò con l’omer: colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo; colui che ne aveva preso di meno, non ne mancava. Avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne. Mosè disse loro: «Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino». Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne conservarono fino al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì. Mosè si irritò contro di loro. Essi dunque ne raccoglievano ogni mattina secondo quanto ciascuno mangiava; quando il sole cominciava a scaldare, si scioglieva.

Quando venne il sesto giorno essi raccolsero il doppio di quel pane, due omer a testa. Allora tutti i capi della comunità vennero a informare Mosè. Egli disse loro: «È appunto ciò che ha detto il Signore: “Domani è sabato, riposo assoluto consacrato al Signore. Ciò che avete da cuocere, cuocetelo; ciò che avete da bollire, bollitelo; quanto avanza, tenetelo in serbo fino a domani mattina”». Essi lo misero in serbo fino al mattino, come aveva ordinato Mosè, e non imputridì, né vi si trovarono vermi. Disse Mosè: «Mangiatelo oggi, perché è sabato in onore del Signore: oggi non ne troverete nella campagna. Sei giorni lo raccoglierete, ma il settimo giorno è sabato: non ve ne sarà» (Es 16,2-26).

La manna fu mangiata, ma essa non salvò il popolo dalla morte. Infatti tutti coloro che uscirono da adulti dall’Egitto, tranne due, nessuno di essi raggiunse la Terra Promessa. Neanche Mosè ed Aronne vi entrarono, perché esitarono anch’essi nella fede. Questo accade perché quanto il Signore ha fatto ieri, resta solo per ieri. Oggi la storia è mutata. Può il Signore governare anche questa nuova storia? Ieri è stato capace. Oggi sarà ancora capace? Ogni giorno la vera fede è chiamata ad aprirsi ad una nuova capacità di Dio, diversa da quella di ieri. La manna non era capace di rinnovare la fede ogni giorno e per questo tutti morirono nel deserto a causa delle loro infinite mormorazioni contro Mosè e contro il Signore.

Cristo Gesù, nel Vangelo secondo Giovanni, dopo la moltiplicazione dei pani, avendogli i Giudei chiesto un segno, facendo riferimento a Mosè e al miracolo della manna, risponde: che quello di Mosè – anche se non è stato dato da Mosè – era un pane che non liberava dalla morte. Il pane vero, quello che il Padre darà loro, quello sì che libera dalla morte. Quello è un pane che dona la vita eterna. Questo pane discende direttamente dal Cielo, viene da Dio. Questo Pane è Lui, Gesù, Pane di Parola, Pane che è la sua carne, pane che è il suo sangue. Carne e sangue da mangiare e bere realmente, veramente, sostanzialmente.

Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato (Gv 6,5-13).

Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,26,1-58).

Dio non dice a Mosè le modalità secondo le quali lui avrebbe provveduto il pane nel deserto per tutto il suo popolo. Lui sempre chiede un atto di fede nella sua onnipotenza. La nostra mente è troppo corta, troppo piccola, troppo miope perché possa anche minimamente immaginare le infinite ed eterne risorse delle divine possibilità. Il pane viene dato. Il popolo si nutre fino a che non mette piede nella Terra Promessa e mangia l’altro pane, quello che viene dalla terra.

Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, azzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan (Gs 5,10-12).

Neanche Cristo Gesù dice ai suoi discepoli come Lui avrebbe dato se stesso in cibo non solamente ai figli di Israele ma ad ogni altro uomo. Dice però che si deve mangiare e bere Lui: Lui Parola, Lui Carne, Lui Sangue, Lui Vita Eterna, Lui Sigillo del Padre, Lui Verità e Sapienza di Dio, Lui Divina ed Eterna Carità. Dice che per vivere per Lui si deve mangiare Lui. Dice anche che chi mangia di Lui non vedrà la morte in eterno. Ma Lui non si mangia solo spiritualmente attraverso la fede nella sua Parola. Lui lo si deve mangiare realmente, veramente, sostanzialmente. La sua carne è vero cibo e il suo sangue vera bevanda. Come realmente si mangia il pane, come realmente i figli di Israele mangiavano la manna, così ogni discepolo di Gesù realmente deve mangiare Gesù. Lui è pane reale e non solo spirituale.

Come senza manna non si attraversa il deserto e la manna è il pane che Dio ha fatto discendere dal cielo, così senza Eucaristia non si attraversa il tempo fino al raggiungimento dell’eternità. Senza Eucaristia arriviamo all’eternità morti, non vivi e per noi non ci sarà alcun posto nel Cielo di Dio. Nel Paradiso entrano i vivi. I morti sono per l’inferno. Gesù però va mangiato con fede. Va mangiato tutto intero, non una parte di Lui. Parola e Carne, Vangelo e Sangue, Verità e Grazia devono essere un solo cibo, un solo pasto. Fare due cose: o Parola o Carne, o Vangelo o Grazia, o Verità o Sangue, prendendo una parte e lasciando l’altra, rende vano il prendere Gesù. Gesù è uno e va preso sempre nella sua unità. È uno anche con il suo corpo mistico, la Chiesa, e anche la Chiesa è mangiata, quando si mangia Cristo. Chi mangia la Chiesa, non può poi odiare la Chiesa, è suo nutrimento, è sua vita. Ma neanche dopo averla mangiata si può vivere come se non si appartenesse ad essa. Cristo, Eucaristia, Chiesa, Parola sono una cosa sola. È in questa unità che Cristo va assunto.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fate che mai dividiamo Cristo.

Tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua

Tutti i segni che Dio dona al suo popolo nel deserto hanno un solo scopo, una sola finalità. Rivelare nella sua vera essenza il Dio che guida Israele. Se il Faraone avesse subito liberato il popolo, nessuno avrebbe conosciuto chi è veramente il Dio degli Ebrei. Tutti avrebbero potuto pensarlo un Dio con gli altri Dèi. Se il Signore non avesse aperto il Mar Rosso e non lo avesse subito dopo chiuso, si sarebbe potuto pensare che il Signore può alcune cose e altre no. Se il Signore non avesse fatto piovere il pane dal cielo e non avesse fatto scaturire l’acqua dalla dura roccia, il suo popolo avrebbe ancora potuto pensare che il Signore è Signore di qualcosa, ma non è il Signore Onnipotente nelle cui mani vi è tutto l’universo esistente e anche ciò che non esiste può essere da Lui chiamato in vita.

Infatti il popolo ancora non possiede questa fede. Ne è prova che quando il Signore dona l’ordine ai figli di Israele di salire a conquistare la terra, tutti si rifiutano. Hanno paura. Ancora la fede nel Signore non è pienamente vera. Si crede, ma dopo i segni da Lui operati. Dinanzi ad ogni difficoltà la fede è sempre traballante. Finisce il segno, finisce la fede. Nuove difficoltà, nuova fede. La nuova fede non esiste e il popolo si perde. Così il Signore viene costretto ogni giorno a dare segni della sua onnipotenza, sapienza, verità, giustizia. Segno sublime è l’acqua che scaturisce dalla roccia. La roccia per natura non può dare acqua. Dio crea l’acqua dalla roccia, come ogni giorno creava il pane dal cielo. Neanche il cielo può far scendere il pane. Eppure scendeva. Ma neanche tutto il tempo del deserto esaurisce l’eterna, infinita, divina verità o essenza del nostro Dio. Neanche Dio è pienamente conosciuto per tutto il tempo dell’Antica Alleanza. Gesù esaurisce la verità del nostro Dio?

Con Gesù tutta la verità di Dio è rivelata, ma ancora però non è stata compresa. Tutta la storia della Chiesa a questo serve: ad entrare giorno dopo giorno nella pienezza della verità del nostro Dio. Ma neanche tutta la storia esaurisce la conoscenza. L’esaurirà forse l’eternità? Neanche l’eternità la potrà esaurire. Dio è infinito nella sua essenza. L’uomo è finito. Una eternità e neanche mille – parlo per assurdo – sono in grado di esaurire la verità di Dio, altrimenti Dio sarebbe finito e non infinito. Se il finito comprende Dio in tutto e per tutto, Dio è finito e non infinito. L’uomo è sempre dinanzi al suo Dio la cui onnipotenza è infinita perché la sua natura è infinita.

Dio ancora non è conosciuto come il Creatore dal nulla, cioè da materia non preesistente. Verso questa verità sta conducendo il suo popolo. Essa verrà rivelata con il profeta Isaia. Ora al Signore interessa una cosa sola: che il suo popolo creda che veramente, realmente, nulla è impossibile al suo Dio. L’acqua non può scaturire da una roccia. Per il Signore questa non è una impossibilità. Ciò che per l’uomo e la sua mente mai potrà essere possibile, per il Signore sarà sempre possibile. A questa fede nel suo Dio si può e si deve giungere.

Tutta la comunità degli Israeliti levò le tende dal deserto di Sin, camminando di tappa in tappa, secondo l’ordine del Signore, e si accampò a Refidìm. Ma non c’era acqua da bere per il popolo. Il popolo protestò contro Mosè: «Dateci acqua da bere!». Mosè disse loro: «Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?». In quel luogo il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?». Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!». Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?» (Es 17,1-7).

L’acqua è la vita. Cristo Signore si annunzia come “la roccia” dalla quale il Signore trarrà l’acqua per dissetare di vera vita il mondo intero. Questa volta però non sarà Mosè a battere la roccia con il bastone. Sarà un pagano e lo farà con una lancia. Il soldato perforerà la “roccia” del corpo di Cristo e da esso scorrerà l’acqua che inonderà il mondo. Chi vuole potrà dissetarsi e conservarsi in vita nel deserto inospitale del mondo. L’Apostolo Giovanni raccoglie questa verità di Cristo Signore e la comunica, perché ogni uomo possa lasciarsi vivificare da quest’acqua di vita eterna che è lo Spirito Santo. Ma quest’acqua sempre dovrà sgorgare da questa roccia.

Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua» (Gv 4,5-15).

Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato (Gv 7,37-39).

Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19,31-37).

Dal Libro dei Numeri sappiamo che proprio alle acque di Meriba Mosè ed Aronne ebbero un momento di calo della loro fede. Per questa loro non lucidità perfetta il Signore li punì, non concedendo loro la grazia di poter poggiare il loro piede nella Terra promessa. Questo Episodio viene ricordato dai Salmi come uno dei momenti più cruciali dell’attraversamento del deserto. È momento ancora più grave della costruzione del vitello d’oro. Qui è il Mediatore tra Dio e il popolo che viene meno nella fede. Se lui cade, tutto il popolo perirà. Se tutto il popolo cade dalla fede, il Mediatore lo potrà far rialzare. Ma se cade il Mediatore nessuno potrà mai rialzare il popolo.

Ora tutta la comunità degli Israeliti arrivò al deserto di Sin il primo mese, e il popolo si fermò a Kades. Qui morì e fu sepolta Maria. Mancava l’acqua per la comunità: ci fu un assembramento contro Mosè e contro Aronne. Il popolo ebbe una lite con Mosè, dicendo: «Magari fossimo morti quando morirono i nostri fratelli davanti al Signore! Perché avete condotto l’assemblea del Signore in questo deserto per far morire noi e il nostro bestiame? E perché ci avete fatto uscire dall’Egitto per condurci in questo luogo inospitale? Non è un luogo dove si possa seminare, non ci sono fichi, non vigne, non melograni, e non c’è acqua da bere».

Allora Mosè e Aronne si allontanarono dall’assemblea per recarsi all’ingresso della tenda del convegno; si prostrarono con la faccia a terra e la gloria del Signore apparve loro. Il Signore parlò a Mosè dicendo: «Prendi il bastone; tu e tuo fratello Aronne convocate la comunità e parlate alla roccia sotto i loro occhi, ed essa darà la sua acqua; tu farai uscire per loro l’acqua dalla roccia e darai da bere alla comunità e al loro bestiame». Mosè dunque prese il bastone che era davanti al Signore, come il Signore gli aveva ordinato. Mosè e Aronne radunarono l’assemblea davanti alla roccia e Mosè disse loro: «Ascoltate, o ribelli: vi faremo noi forse uscire acqua da questa roccia?». Mosè alzò la mano, percosse la roccia con il bastone due volte e ne uscì acqua in abbondanza; ne bevvero la comunità e il bestiame. Ma il Signore disse a Mosè e ad Aronne: «Poiché non avete creduto in me, in modo che manifestassi la mia santità agli occhi degli Israeliti, voi non introdurrete quest’assemblea nella terra che io le do». Queste sono le acque di Merìba, dove gli Israeliti litigarono con il Signore e dove egli si dimostrò santo in mezzo a loro (Num 20,1-13).

I Salmi ricordano questo tempo delle acque di Meriba. È un momento intenso e ricco di esperienza per tutto il popolo. Anche Mosè viene provato nella fede ed è risultato carente. Ancora non è perfetto dinanzi al Signore e dinanzi al popolo.

Esultate in Dio, nostra forza, acclamate il Dio di Giacobbe! Intonate il canto e suonate il tamburello, la cetra melodiosa con l’arpa. Suonate il corno nel novilunio, nel plenilunio, nostro giorno di festa. Questo è un decreto per Israele, un giudizio del Dio di Giacobbe, una testimonianza data a Giuseppe, quando usciva dal paese d’Egitto. Un linguaggio mai inteso io sento: «Ho liberato dal peso la sua spalla, le sue mani hanno deposto la cesta. Hai gridato a me nell’angoscia e io ti ho liberato; nascosto nei tuoni ti ho dato risposta, ti ho messo alla prova alle acque di Merìba. Ascolta, popolo mio: contro di te voglio testimoniare. Israele, se tu mi ascoltassi! Non ci sia in mezzo a te un dio estraneo e non prostrarti a un dio straniero. Sono io il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto salire dal paese d’Egitto: apri la tua bocca, la voglio riempire. Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce, Israele non mi ha obbedito: l’ho abbandonato alla durezza del suo cuore. Seguano pure i loro progetti! Se il mio popolo mi ascoltasse! Se Israele camminasse per le mie vie! Subito piegherei i suoi nemici e contro i suoi avversari volgerei la mia mano; quelli che odiano il Signore gli sarebbero sottomessi e la loro sorte sarebbe segnata per sempre. Lo nutrirei con fiore di frumento, lo sazierei con miele dalla roccia» (Sal 81 (80) 1-17).

Venite, cantiamo al Signore, acclamiamo la roccia della nostra salvezza. Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia. Perché grande Dio è il Signore, grande re sopra tutti gli dèi. Nella sua mano sono gli abissi della terra, sono sue le vette dei monti. Suo è il mare, è lui che l’ha fatto; le sue mani hanno plasmato la terra. Entrate: prostràti, adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti. È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce. Se ascoltaste oggi la sua voce! «Non indurite il cuore come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere. Per quarant’anni mi disgustò quella generazione e dissi: “Sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie”. Perciò ho giurato nella mia ira: “Non entreranno nel luogo del mio riposo”» (Sal 95 (94) 1-11).

Lo irritarono anche alle acque di Merìba e Mosè fu punito per causa loro: poiché avevano amareggiato il suo spirito ed egli aveva parlato senza riflettere (Sal 106 (105) 32-33).

Sappiamo che più volte Mosè ha chiesto al Signore la cancellazione della pena. La pena non fu cancellata. Perché? Mosè dovrà sempre ricordarsi – a questo serve la pena non cancellata – che se lui vacilla nella fede tutto il suo popolo perirà, morirà nel deserto. Nessuno lo potrà condurre nella terra promessa.

Questa verità vale per ogni discepolo di Gesù. Più in alto si è posti e più si deve mettere ogni attenzione perché si rimanga nella purissima fede. Se colui che sta in alto cade, quanti sono sotto di lui miseramente cadranno. Se cadono gli altri, lui sempre li potrà rialzare. Se cade lui, nessuno potrà salvare il popolo dalla caduta. Ora Mosè sa che alla Parola di Dio si deve prestare sempre la più grande obbedienza di fede. Se il Signore dice che dalla roccia verrà l’acqua, dalla roccia l’acqua sgorgherà di certo.

Il Signore udì il suono delle vostre parole, si adirò e giurò: “Nessuno degli uomini di questa generazione malvagia vedrà la buona terra che ho giurato di dare ai vostri padri, se non Caleb, figlio di Iefunnè. Egli la vedrà e a lui e ai suoi figli darò la terra su cui ha camminato, perché ha pienamente seguito il Signore”. Anche contro di me si adirò il Signore, per causa vostra, e disse: “Neanche tu vi entrerai, ma vi entrerà Giosuè, figlio di Nun, che sta al tuo servizio; incoraggialo, perché egli la metterà in possesso d’Israele. Anche i vostri bambini, dei quali avevate detto che sarebbero divenuti oggetto di preda, e i vostri figli, che oggi non conoscono né il bene né il male, essi vi entreranno; a loro la darò ed essi la possederanno. Ma voi tornate indietro e incamminatevi verso il deserto, in direzione del Mar Rosso” (Dt 1,34-40).

In quel tempo diedi anche a Giosuè quest’ordine: “I tuoi occhi hanno visto quanto il Signore, vostro Dio, ha fatto a questi due re; lo stesso farà il Signore a tutti i regni nei quali tu stai per entrare. Non li temete, perché lo stesso Signore, vostro Dio, combatte per voi”. In quel tempo io supplicai il Signore dicendo: “Signore Dio, tu hai cominciato a mostrare al tuo servo la tua grandezza e la tua mano potente; quale altro Dio, infatti, in cielo o sulla terra, può fare opere e prodigi come i tuoi? Permetti che io passi al di là e veda la bella terra che è oltre il Giordano e questi bei monti e il Libano”. Ma il Signore si adirò contro di me, per causa vostra, e non mi esaudì. Il Signore mi disse: “Basta, non aggiungere più una parola su questo argomento. Sali sulla cima del Pisga, volgi lo sguardo a occidente, a settentrione, a mezzogiorno e a oriente, e contempla con gli occhi; perché tu non attraverserai questo Giordano. Trasmetti i tuoi ordini a Giosuè, rendilo intrepido e incoraggialo, perché lui lo attraverserà alla testa di questo popolo e metterà Israele in possesso della terra che vedrai” (Dt 3, 21-28).

Il Signore si adirò contro di me per causa vostra e giurò che io non avrei attraversato il Giordano e non sarei entrato nella buona terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti in eredità. Difatti io morirò in questa terra, senza attraversare il Giordano; ma voi lo attraverserete e possederete quella buona terra (Dt 4,21-22).

Anche la Lettera agli Ebrei riprende questo evento delle acque di Meriba per esortare i credenti in Cristo perché vedano Cristo come vera “roccia” di Dio e da Lui si lascino dissetare. Senza la fede in Cristo non vi è salvezza e Cristo è il Crocifisso.

Perciò, fratelli santi, voi che siete partecipi di una vocazione celeste, prestate attenzione a Gesù, l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo, il quale è degno di fede per colui che l’ha costituito tale, come lo fu anche Mosè in tutta la sua casa. Ma, in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di una gloria tanto maggiore quanto l’onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa. Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio. In verità Mosè fu degno di fede in tutta la sua casa come servitore, per dare testimonianza di ciò che doveva essere annunciato più tardi. Cristo, invece, lo fu come figlio, posto sopra la sua casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo.

Per questo, come dice lo Spirito Santo: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione, il giorno della tentazione nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri mettendomi alla prova, pur avendo visto per quarant’anni le mie opere. Perciò mi disgustai di quella generazione e dissi: hanno sempre il cuore sviato. Non hanno conosciuto le mie vie. Così ho giurato nella mia ira: non entreranno nel mio riposo.

Badate, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente. Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura questo oggi, perché nessuno di voi si ostini, sedotto dal peccato. Siamo infatti diventati partecipi di Cristo, a condizione di mantenere salda fino alla fine la fiducia che abbiamo avuto fin dall’inizio. Quando si dice: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione,

chi furono quelli che, dopo aver udito la sua voce, si ribellarono? Non furono tutti quelli che erano usciti dall’Egitto sotto la guida di Mosè? E chi furono coloro di cui si è disgustato per quarant’anni? Non furono quelli che avevano peccato e poi caddero cadaveri nel deserto? E a chi giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo, se non a quelli che non avevano creduto? E noi vediamo che non poterono entrarvi a causa della loro mancanza di fede (Eb 3,1-19).

Dovremmo dunque avere il timore che, mentre rimane ancora in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso. Poiché anche noi, come quelli, abbiamo ricevuto il Vangelo: ma a loro la parola udita non giovò affatto, perché non sono rimasti uniti a quelli che avevano ascoltato con fede. Infatti noi, che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo, come egli ha detto: Così ho giurato nella mia ira: non entreranno nel mio riposo!

Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo. Si dice infatti in un passo della Scrittura a proposito del settimo giorno: E nel settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere. E ancora in questo passo: Non entreranno nel mio riposo! Poiché dunque risulta che alcuni entrano in quel riposo e quelli che per primi ricevettero il Vangelo non vi entrarono a causa della loro disobbedienza, Dio fissa di nuovo un giorno, oggi, dicendo mediante Davide, dopo tanto tempo: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori!

Se Giosuè infatti li avesse introdotti in quel riposo, Dio non avrebbe parlato, in seguito, di un altro giorno. Dunque, per il popolo di Dio è riservato un riposo sabbatico. Chi infatti è entrato nel riposo di lui, riposa anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie. Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza.

Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.

Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno (Eb 4,1-16).

Le acque di Meriba per Mosè più che il roveto che brucia e che non si consuma, dalla cui visione è iniziato il suo nuovo cammino come vero Mediatore tra Dio e il suo popolo. Ora il Signore vuole che sia lui il roveto ardente per il suo popolo. Vuole che tutto il popolo veda lui che brucia di fede senza però che essa si consumi. Mosè deve essere dalla fede che sempre brucia, sempre sta sulla breccia, sempre vive esposta ad ogni bufera, ma che però mai viene meno.

Finora abbiamo trovato un Mosè quasi insicuro, incerto, un po’ impacciato. Questo Mosè non serve al Signore. Non può compiere l’opera sua. Il popolo è a rischio di fede. Il Signore interviene con potenza, gli rivela qual è la sua fragilità, che è tutta del suo cuore e della sua mente, lo punisce con una punizione esemplare, che durerà per tutta la vita e Mosè diviene l’uomo forte, risoluto. È veramente quel roveto che sempre arde e che mai si consuma. Ora il suo popolo ha una roccia sicura sulla quale poggiare.

La roccia dalla quale dovrà scaturire la vita per il popolo di Dio non è un masso inerte trovato nel deserto. L’acqua che dovrà nutrire il popolo del Signore è la fede ed essa non potrà scaturire se non dalla roccia che è Mosè. Finora lui è stato una roccia sempre tenuta in piedi da Dio. Da questo momento dovrà essere roccia così dura da mantenersi in piedi da se stesso e mantenere in piedi tutto il popolo a lui affidato. Perché questo avvenga non per un giorno, ma per tutti i giorni, il Signore punisce Mosè così sempre si ricorderà che è lui la roccia della vita per tutti i figli di Israele.

Altra potente educazione è data ai figli del suo popolo. Essi dovranno smettere di mormorare, lamentarsi. Non si cammina con Dio lamentandosi e mormorando. Si cammina credendo, pregando, ma anche affidandosi pienamente a Lui. Lui conduce di fede in fede e per questo è lui stesso che crea le difficoltà perché noi impariamo ogni giorno a conoscere il Signore. Il Signore è colui che è vita nella fame, nella sete, nella malattia, nella stessa morte, su ogni croce, ogni difficoltà, ogni evento contrario.

È questa la fede: sapere che tutto ciò che accade serve al Signore perché possa manifestare la sua gloria. Quando noi raggiungiamo il sommo della perfezione della nostra fede? Quando sulla croce, inchiodati su di essa, crediamo che quella croce, quella sofferenza, quel martirio serve perché si manifesti la più grande gloria di Dio. La vita dell’uomo è servizio alla gloria del Signore. Sapendo questo, si pone tutta la vita a servizio di Dio, perché si manifesti tutta la sua gloria.

Ecco allora la domanda che ogni vero servo del Signore dovrà porsi: quale grande gloria il Signore vuole rivelare di sé attraverso questo momento della mia vita? Il momento della vita potrebbe essere di ricchezza, povertà, salute, malattia, grande sofferenza, martirio reale, crocifissione spirituale e anche fisica. Non si giunge a questa perfezione in un istante. La fede è un cammino nella fede, è un percorso di fede in fede, di verità in verità, di difficoltà in difficoltà. Urge però rimanere sempre quel roveto ardente che arde e che non si consuma. Mosè presso le acque di Meriba si è spento per un istante, l’istante di battere un secondo colpo. Dio lo riaccese con una punizione e mai più si è spento. Neanche per una frazione di secondo. Ora il popolo può camminare sicuro. Il suo Mediatore arde e non si consuma, brucia e non si spegne.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri roveti ardenti di fede.