Intervento di S.E. Mons. Vittorio Mondello

Seconda giornata – 11 maggio 2006

Intervento di S.E. Mons. Mondello

Io ringrazio per questo invito che, però, non mi aspettavo così solenne quando mi è stato fatto a suo tempo, pensavo a un dialoghetto da fare con degli amici, poi invece ho scoperto che la cosa era molto, molto impegnativa.

Allora comincio ad avere paura di non potere o di non saper rispondere alle aspettative di tutti voi e degli organizzatori di questo convegno. Trattandosi, però, di un tema sul quale ho molto riflettuto, e dal punto di vista teologico, come professore di ecclesiologia negli anni giovanili, e dal punto di vista pastorale per l’impegno, ormai, da lunghi anni esercitato come Vescovo, credo, ecco tenterò, almeno da parte mia, di cercare di dare una presentazione di questo tema che possa essere un aiuto, una guida, per affrontare il problema dei rapporti tra la gerarchia, il magistero della Chiesa e i movimenti ecclesiali, alla luce, però, del Concilio Vaticano II.

Io ringrazio ancora, ripeto, per l’invito che mi è stato rivolto, tutti gli organizzatori, e vorrei rivolgere un saluto particolare al carissimo Arcivescovo di Catanzaro al quale mi legano anni lontani di amicizia. Pensate che siamo stati insieme alunni, per un anno, al seminario di Posillipo e ci siamo conosciuti già prima di esser preti, come studenti di teologia. Ci siamo, poi, incontrati, nuovamente, quando sono arrivato a Reggio Calabria e lui era Vescovo a Locri, e quando è tornato come Arcivescovo di Catanzaro Squillace. Siamo stati sempre buoni amici, continuiamo ad esserlo, nel rispetto vicendevole e nell’amore fraterno che ci lega non soltanto per questa esperienza comune, ma anche per il servizio al quale, insieme, siamo stati chiamati.

Bene, il tema che mi è stato dato da affrontare, a mio avviso, richiede anzitutto una conoscenza profonda di quella che è la natura della Chiesa, come ci è stata presentata dal Concilio Vaticano II. In altre parole, la mia convinzione personale è che non si può parlare dei movimenti nella Chiesa, non si può parlare della gerarchia, non si può parlare dei laici o dei religiosi nella Chiesa, se prima non si ha un concetto chiaro di che cosa è la Chiesa, la Chiesa di Cristo. Specialmente dopo il Concilio Vaticano II che, come ben sapete, ha voluto in certo senso completare il Vaticano I che si era fermato, purtroppo, soltanto alla discussione/approvazione del documento di un decreto riguardante soltanto il primato del Vescovo di Roma e l’infallibilità del Papa. Evidentemente, il Concilio Vaticano I aveva l’intenzione di andare avanti e di studiare il problema dell’Episcopato nella Chiesa e aveva preparato anche un documento, “Costitutio et altera de ecclesia”, così intitolato allora (II Costituzione sulla Chiesa). Purtroppo, non è stato possibile discutere tale documento, perché, come sapete, la presa di Porta Pia, nel 1870, fece interrompere il Concilio Vaticano I.

Il Vaticano II ci ha dato un documento meraviglioso sulla Chiesa, la “Lumen Gentium” che possiamo considerare il documento principe del Vaticano II. Certo, ognuno potrà dire quello che vuole; alcuni presentano la “Dei Verbum”, come documento principe, altri la “Nostra aetate” e così via. Io ritengo che, tra le quattro Costituzioni, tutte apprezzabilissime e importantissime, un primato c’è e si trova proprio nella “”Lumen Gentium”, poiché essa ci ha finalmente presentato una Chiesa che possa essere davvero presente nel mondo di oggi, donando sia a quelli che vivono all’interno di essa, sia a quelli che sono fuori di essa, la possibilità di una vita di testimonianza evangelica autentica, qual è quella che Cristo richiede per aver fondato la comunità cristiana, la Chiesa.

È evidente che bisogna partire dalla conoscenza della Chiesa perché, ed io ne sono profondamente convinto, quanto è successo dopo il Vaticano II in fatto di movimenti, di rotture, di contrasti, di opposizioni tra la chiesa istituzionale e la Chiesa carismatica, quanto è successo dopo il Vaticano II, per l’esodo di tanti preti che hanno lasciato la Chiesa ecc., dipende da questo. Credo, infatti, che alla base di tutto ciò ci sia stata, e forse continui a esserci, una incomprensione rispetto alla natura, alla missione della Chiesa. Ritengo che se in questi quarant’anni, quarant’uno ormai, dalla chiusura del Concilio Vaticano II, nei nostri seminari, nella nostre comunità parrocchiali e in tutte le comunità, fosse stato approfondito meglio questo documento “Lumen Gentium”, tante cose non sarebbero successe nella Chiesa o, comunque, si sarebbero potute evitare in modo facile, in modo coerente con quanto la Chiesa ha detto di se stessa.

Il Vaticano II ha voluto presentarci la natura della Chiesa in questa Costituzione “Lumen Gentium” e lo ha fatto, come dicevo, per colmare questa lacuna del Vaticano I. Bisogna, allora, partire dal I capitolo di questo documento, perché il primo capitolo comincia dicendoci che vuole presentarci la natura della Chiesa. Per rispondere a questa intenzione, inizia con il dirci: “la Chiesa è in Cristo come un Sacramento”, poi, spiegando: “Segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”.

Certo, ci sono state difficoltà per arrivare a questa formulazione; non possiamo fermarci noi a vedere cosa è successo nel Concilio, gli interventi di qualche cardinale, da me conosciuto, che si meravigliava del fatto che, adesso, si parlasse dell’ottavo Sacramento nella Chiesa. La Chiesa è Sacramento; allora i Sacramenti non sono più sette, cosa comprenderanno i fedeli? Comunque lasciamo tutte le discussioni. Che cosa significa questa espressione? La Chiesa è Sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano. Significa, in modo semplice, che la Chiesa ci viene presentata come quello strumento che Dio ha voluto, che Cristo ha voluto, per unire gli uomini a Dio, per essere strumento di comunione con Dio e strumento di comunione tra gli uomini. Essa non è solo il Segno di questa comunione, ma anche lo strumento perché si realizzi questa unione dell’uomo con Dio e degli uomini fra di loro.

Quindi, potremmo dire che, in realtà, anche se questo termine non è molto usato nella “Lumen gentium”, il concetto fondamentale di Chiesa, qui contenuto, è quello di Chiesa comunione.

Nel 1985, il Sinodo dei Vescovi, a vent’anni dalla conclusione del Concilio, ha voluto riflettere proprio sulla “Lumen gentium”, individuando il concetto fondamentale di questo documento. Il Sinodo ha precisato con chiarezza: il concetto fondamentale di Chiesa, presentatoci dalla “Lumen gentium”, è che la Chiesa è una comunione. Ed ecco, allora, il problema: che cos’è questa comunione? Come si può parlare di comunione nella Chiesa?

È il concilio, forse per la prima volta nella storia della Chiesa, a farci comprendere come la Chiesa non sia stata istituita soltanto da Cristo, come si diceva prima del Concilio, nei documenti, nei trattati di ecclesiologia; Cristo ha scelto i dodici discepoli, li ha mandati nel mondo e ha costituito la Chiesa. Il Vaticano II ci dice no! La Chiesa è opera del Padre, di Dio Padre che l’ha voluta dall’eternità, l’ha pensata del Figlio che, in obbedienza al Padre, l’ha realizzata, facendosi uomo, venendo tra noi; è opera dello Spirito Santo che, mandato dal Padre e dal Figlio, ha vivificato questa Chiesa. Pertanto, la Chiesa è legata intimamente, non solo al Cristo, ma anche al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, alla Santissima Trinità. Ma la Trinità, e qui ci soccorre l’enciclica di Benedetto XVI, la sua prima enciclica intitolata “Deus Caritas Est”, che io preferirei tradurre “Dio è Comunione”, perché dire Carità e dire Comunione è la stessa cosa. Dio è comunione, perchè il Dio dei Cristiani non è un Dio unico, anche se è un Dio Uno, ma è Trino nelle Persone, quindi, è una comunione di Persone.

La prima vera comunione esistente è quella del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Questa comunione intratrinitaria, il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, l’hanno voluta partecipare ad extra nella costituzione e vivificazione della comunità cristiana della Chiesa. Allora, la Chiesa è il frutto dell’amore del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo; il frutto della comunione del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Quindi la Chiesa non può essere altro che comunione; se non è comunione, non è la Chiesa di Cristo, non è la Chiesa legata alla Santissima Trinità, originata dalla Santissima Trinità, poiché, essendo comunione, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno voluto comunicare se stessi, hanno voluto partecipare questa comunione intratrinitaria alla comunità cristiana e fare entrare in questa comunione intratrinitaria coloro che hanno avuto e hanno fede in Dio Uno e Trino.

Di fatto, l’altro documento conciliare “Ad gentes”, ci dice, addirittura, che la Chiesa trova nella Trinità il suo “maximum exemplar et principium unitatis”. Nella Trinità, quindi, noi comunità cristiana abbiamo il massimo esempio: dobbiamo essere uniti, come sono uniti il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Non siamo Chiesa se non ci amiamo vicendevolmente, se non siamo uniti vicendevolmente, come sono uniti il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Quello è l’esempio. Non lo raggiungeremo mai su questa terra, evidentemente, ma dobbiamo sempre tendere a esso.

Qui potete fare tutte le vostre applificazioni, riconoscendo quanto sia brutto dire questa è la mia Chiesa locale, quella è la tua, io comando qui, tu comandi lì ecc. Sono affermazioni lontane da quella che è la natura vera della Chiesa: essa è comunione e soltanto nella comunione si realizza. La divisione, lo diceva poi Paolo ai Corinzi, è il più grosso peccato che si possa fare nella Chiesa: dividere, rompere il Corpo stesso di Cristo, incrinare questa comunione.

Ma la Trinità non è solo il massimo esempio della comunione nell’unità della Chiesa, è addirittura il principio di questa unità. Se noi siamo comunione, se noi siamo una Chiesa unita e, quindi, in comunione, non lo dobbiamo alle nostre personali capacità. Stiamo bene insieme, ci vogliamo bene, cerchiamo di volerci bene e, così, realizzeremmo la comunione: niente affatto, perché essa è un dono della Santissima Trinità. È a Lei, alla Santissima Trinità, che noi dobbiamo questa comunione. Non solo, questo significa anche che, per quanti sforzi noi facciamo per distruggere questa comunione, non ci riusciremo mai. In duemila anni di storia della Chiesa di tentativi, anche da parte di cristiani, anche da parte di preti, di vescovi e di Papi, ce ne sono stati tanti, ma grazie a Dio, la Chiesa continua a essere la Chiesa del Dio Trino, del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, poiché deve alla Trinità la sua comunione. Evidentemente, dipende, poi, anche dalla risposta dell’uomo se questa comunione sia più risplendente o meno: qualche volta, potrà essere meno chiara, meno risplendente, a seconda, ripeto, della nostra risposta.

Se la Chiesa è comunione, a esempio della Trinità, il nostro compito cristiano non è quello di lottarci per vedere chi è quello che deve avere più meriti, ma è quello di crescere insieme, amandoci vicendevolmente per riflettere sempre di più e sempre meglio la comunione intratrinitaria.

Mi piace citarvi, qui, una frase del biblista Bruno Maggioni, uno dei migliori, oggi, in Italia, che, in un suo libro recentissimo, ha voluto esaminare come viene presentata la Chiesa nei documenti del Nuovo Testamento e, quindi, ha analizzato i Vangeli, gli Atti degli Apostoli e così via, ivi comprese le lettere pastorali. Egli conclude questo esame, dicendo così: “le comunità del Nuovo Testamento sono fortemente in comunione tra loro, ma resistono alla tentazione di appiattirsi in una uniformità che non lasci più spazio alle originalità locali e culturali”. Il libro si chiama Un Tesoro in vasi di coccio, edito da Vita e Pensiero nel 2005, questa frase è a pag. 101.

Evidentemente questo dono dello Spirito Santo e della Santissima Trinità deve essere accolto da noi; occorre trovare, quindi, quegli strumenti che ci aiutano a crescere nella comunione. In realtà, per questo motivo, il Concilio ha voluto che ci fossero dei mezzi, chiamati proprio così, strumenti di comunione; sono nati in questo modo i consigli presbiterali, i consigli diocesani e parrocchiali, i consigli per gli affari economici, il collegio dei consultori. Su ognuno di questi potremmo dire tante cose. Affermo soltanto che, forse, ancora non abbiamo capito che cosa sono questi consigli. Di tutto si è parlato tranne del fatto che sono strumenti per la crescita della comunione.

Io vi dico semplicemente questo, per chiudere questo punto: è da tanti anni, almeno dal 1968, che mi interesso dei consigli pastorali e presbiterali. Allora, come arcivescovo, ero un giovane prete, con altri due sacerdoti più anziani di me, ci ha chiamati per fare lo statuto della Diocesi di Messina per quanto riguarda il consiglio presbiterale e pastorale. Abbiamo studiato numerosi statuti, anche francesi, belgi. Alla fine, abbiamo redatto uno statuto che ci è sembrato approvabile, è stato, infatti, approvato. In tal modo cominciava il consiglio presbiterale e così anche il consiglio pastorale diocesano. Tuttavia, quello che è capitato in questi quarant’anni è che questi consigli, i membri di questi consigli, non sono stati preparati a comprenderne il significato e, quindi, non hanno potuto dare quel contributo autentico che si chiede per questi organi.

A Reggio Calabria io ho fatto la mia prima visita pastorale impostandola proprio sulla comunione; ho voluto incontrare i consigli pastorali parrocchiali, non uno a uno, ma tutti insieme, con l’intento di spiegare che cosa è un consiglio pastorale, come esso viva. Per un’ora ho parlato io a tutti. Nella seconda visita pastorale ho, però, detto: “adesso non parlo più dei consigli pastorali, voglio incontrare ad uno ad uno, parrocchia per parrocchia, i consigli pastorali e sentire da voi come vivete il consiglio pastorale”.

Non voglio dire che sia stato un disastro, ma che, certamente, i discorsi fatti cinque anni prima non erano conosciuti, non erano stati applicati. Ho paura che questo avvenga in tante nostre Chiese locali che, proprio per questo, hanno trovato una difficoltà per il loro sviluppo, per la loro crescita nella comunione proprio nei consigli pastorali, diocesani, e parrocchiali. Il Concilio Vaticano II, per poterci avvicinare meglio al nostro tema, ha voluto poi parlare – conosciamo benissimo il capitolo II sul popolo di Dio che ci interesserebbe, ma non abbiamo il tempo di parlarne. Pensiamo anche al capitolo terzo sulla gerarchia – nel capitolo IV, dei laici nella Chiesa e questo mi sembra un tema necessario da affrontare brevemente, per poter dire, poi, una parola più chiara sul tema generale che dovremo affrontare. Bisogna dire che è per la prima volta qui dopo 2000 anni quasi di storia della Chiesa che un Concilio tratta dei laici in un documento dogmatico.

Precisare questo soltanto già dimostra l’importanza che il laicato ha nella Chiesa; basta dire che è stato introdotto in un documento dogmatico di un Concilio. A proposito dei laici, il Concilio ci spiega chi siano questi laici. Evidentemente, il termine diventa equivoco nella società di oggi, ma noi, quando parliamo, come Chiesa, del laico cristiano, intendiamo il battezzato che è chiamato da Cristo, attraverso il battesimo, a entrare nel Corpo mistico di Cristo, a diventare figlio di Dio ed è mandato da Cristo nel mondo per essere testimone. Il laico deve dare la sua testimonianza in modo particolare nelle realtà temporali, come sua caratteristica precipua, anche se non esclusiva. Ciò non vuol dire che il laico non debba interessarsi delle realtà della Chiesa; deve interessarsene, però, il suo specifico è quello di interessarsi delle realtà temporali per indirizzarle verso Dio.

Allo stesso modo del sacerdote, dei presbiteri noi diciamo che devono interessarsi, in modo particolare, delle realtà intra-ecclesiali, senza che ciò voglia dire che non debbano interessarsi delle realtà temporali, solo che quell’interesse non è specifico, non è primario, ma è la conseguenza logica di un loro primario interesse per le realtà interne della Chiesa.

L’aspetto importante, precisato dal Concilio, è che nella Chiesa esiste una sola missione. Dio ha affidato una missione alla comunità cristiana; non ha affidato una missione ai preti, un’altra ai laici, un’altra ai religiosi. La missione è unica e ogni membro della Chiesa deve partecipare a quest’unica missione che, poi, è quella di rendere presente l’amore salvifico del Padre, come ha fatto Cristo visibilmente e come dobbiamo fare noi Chiesa. Nel momento in cui Cristo risorto non è più visibile, infatti, tocca a noi Chiesa rendere visibile, con la forza, la presenza e l’aiuto delle Spirito, questo amore salvifico del Padre. Questo è il nostro compito di Chiesa. Per questo, dicevo, ci è data una missione unica: tutti vi partecipiamo; ognuno, però, secondo il proprio Dono, il proprio Carisma, il proprio Ministero.

Il laico cristiano partecipa, quindi, all’unica missione di Cristo ma, interessandosi, in modo particolare, delle realtà temporali per poterle reindirizzare verso il regno di Dio.

Trattando, poi, dei Carismi, dobbiamo evitare l’errore di considerarli come unico appannaggio dei laici o di alcune categorie di persone. Questo equivoco ha portato, spesso, a opporre, lo dicevo all’inizio, la Chiesa istituzione alla Chiesa carismatica. Paolo tratta dei carismi a lungo, fornisce degli elenchi, dà anche la spiegazione e il significato, spiega per quale ragione siano stati dati. Ci dice che il carisma serve per portare avanti questa unica missione della Chiesa, in modo tale che tutti coloro che si mettono al suo servizio possano ricevere e ricevono, di fatto, da Dio Doni, Grazie particolari per poter rispondere a questa missione.

Lo dicevo prima: ciò deve avvenire senza rinunziare alla propria specificità, il laico come laico, il religioso come religioso, il sacerdote come sacerdote, ricordando, però, che tocca alla gerarchia coordinare gli stessi carismi. Il Vaticano II, al numero 12 della “Lumen Gentium”, ci dice con chiarezza, come questi Doni, i Carismi, siano dati in larga misura quasi a tutti i cristiani. Al numero 12 precisa: “il popolo santo di Dio partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo, corrisponde dunque la viva testimonianza di Lui soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità”. Poi, aggiunge: “inoltre lo Spirito Santo non solo per mezzo dei Sacramenti e dei Misteri santifica il popolo di Dio e lo adorna di virtù, ma distribuendo a ciascuno i propri Doni come piace a Lui, dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine Grazie speciali con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere ed uffici utili al rinnovamento della maggiore espansione della Chiesa, secondo quelle parole, a ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio. E questi Carismi straordinari o anche più semplici e più comuni siccome sono soprattutto adattati e utili alla necessità della Chiesa si devono accogliere con gratitudine e consolazione. I Doni straordinari, però, non si devono chiedere impudentemente, né con presunzione. Né con presunzione si devono da essi sperare i frutti dei lavori apostolici, ma il giudizio sulla loro genuinità e ordinato uso appartiene all’autorità ecclesiastica alla quale spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto per ritenere ciò che è buono”.

Ho voluto citare questo passo, perché mi pare che sia in questa citazione della “Lumen Gentium” la risposta al nostro tema; infatti, il Concilio ci dice che lo Spirito Santo dona a tutti i credenti in Cristo, Doni, Carismi vari Straordinari e Ordinari, ma li dona per quali finalità? Per premiare il cristiano, per dire “tu sei stato bravo, ti do questo dono”? No! Li dona perché quell’uomo diventi più Santo? No! Dona questi doni e questi carismi per l’edificazione della Chiesa. Se uno se ne appropria per il proprio vantaggio, per potersi mostrare e dire “io ho questo dono, tu lo devi riconoscere, tu lo devi apprezzare e ti devi inginocchiare davanti a me”, allora quel carisma viene distrutto da questo atteggiamento. Il Carisma è dato per l’edificazione della Chiesa.

Ma addirittura questo documento continua dicendo che non bisogna chiedere i carismi straordinari; se il Signore li dà, li accettiamo, ma non bisogna chiederli. Infine ci dice ancora che spetta alla gerarchia dare il giudizio finale sulla esistenza o meno di determinati Doni, di determinati Carismi. Uno non può dire “io ho questo carisma, tu vescovo devi accettare per forza”; un momento, esaminiamo, vediamo, poi accettiamo.

Infine il documento conclude dicendo che il Vescovo, cioè chi deve esaminare questi carismi, non ha il compito di spegnerli. Sarebbe molto grave, per la gerarchia, per il Vescovo, per il parroco, nella parrocchia, dire: “io non ti voglio, non mi interessa; tu hai il carisma oppure non lo so se ce l’hai o non ce l’hai, ma non puoi stare nella mia parrocchia”. Questo sarebbe spegnere i carismi, andare contro i Doni dello Spirito Santo.

Occorre, però, esaminarli, verificando se tali Carismi esistono o non esistono veramente. Pertanto, è necessario un periodo di discernimento, un periodo che, evidentemente, non può durare tutta la vita perché, allora, non ci sarebbe più discernimento. Tale periodo deve essere di durata sufficiente perché l’autorità ecclesiastica, chiamiamola ancora così, (anche se il termine autorità potrebbe impressionare, tuttavia non ne abbiamo altri), il responsabile, il Pastore della Chiesa possa dare, con chiarezza, il suo giudizio.

Con questi Doni e Carismi dati per l’edificazione della Chiesa, tutti coloro che li ricevono, laici, religiosi e presbiteri, sono chiamati a lavorare per la Chiesa, a contribuire alla sua unica missione: quella di annunziare Cristo, di testimoniare, di rendere visibile l’amore salvifico del Padre. Questa testimonianza, ce lo ricorda il Concilio, deve essere donata, prima di tutto, personalmente, singolarmente. Questo aspetto è importante: nessuno è escluso dal bisogno di dare una testimonianza cristiana, una testimonianza di fede.

San Pietro, nella sua lettera prima al capitolo quinto, dice: “sappiate, dovete dar ragione a chiunque ve lo chieda della Speranza che è in voi”. Si rivolgeva così ai singoli cristiani che si trovavano in situazioni di persecuzione. Tutti, a qualunque categoria di cristiani si appartenga, siamo chiamati singolarmente a dare la nostra testimonianza. Tuttavia, non basta questa testimonianza donata singolarmente. Perché? Non ho potuto parlare del capitolo secondo della “Lumen Gentium”, sul popolo di Dio, che comincia con una frase interessantissima sulla quale io credo che pochi abbiamo riflettuto seriamente. In base a questo assunto, Dio non ci ha voluto salvare individualmente e senza alcun legame tra di noi, ma si è scelto un popolo che lo amasse fedelmente, lo servisse.

Quindi Egli si è scelto un popolo. Noi, come popolo, come comunità, come comunione, dobbiamo dare testimonianza a Cristo, dobbiamo assolvere al mandato, a questa missione che il Signore ci ha affidato non solo singolarmente, ripeto, ma soprattutto comunitariamente. La difficoltà maggiore che trovo, oggi, nella Chiesa è proprio questa: magari, singolarmente, siamo molto bravi, ma quando ci mettiamo insieme, lo diventiamo di meno.

Molte volte non siamo capaci di lavorare insieme per il bene della Chiesa. Se io affido un compito specifico a quel tale, quello lo porta avanti bene e da solo. Ma se lo affido a un gruppo, a una comunità, le cose vanno alla lunga e non si sa come andranno a finire. Noi soffriamo, l’ho detto tante volte anche in alcune omelie, nel Meridione specialmente, quindi anche nella nostra Calabria, di un esagerato, esasperato individualismo che non ci permette, molto spesso, di fare autentica comunione di Chiesa, di rispondere a questo dono della comunione che la Trinità fa a noi, proprio perché impediti da un estremo individualismo.

Allora è necessario comprendere che Dio non ci ha salvati e non ci salva individualmente, ma ci salva come popolo e, come popolo, ci manda nel mondo. È vero che ognuno di noi deve dare testimonianza, ma non serve a molto se noi facciamo numerosi passi, andiamo avanti, lasciando indietro tutta la comunità. Dobbiamo andare avanti tutti insieme. Perciò, è necessario, ce lo dice Paolo, sapere anche attendere i più ritardatari, magari rinunziando a fare delle cose meravigliose; così non le facciamo per non distruggere la Chiesa, per impedire che si crei una divisione tra quelli che vanno avanti e quelli che restano indietro. Infatti, è meglio, per la vita della Chiesa, che alcune cose non vengano portate a compimento, purché quelle che si realizzano, si realizzino insieme, come comunità parrocchiale, diocesana, ecc.

E qui sorge il problema dei movimenti, dei gruppi, delle associazioni nella Chiesa. Certo, dopo il Concilio Vaticano II, c’è stata una fioritura, nella Chiesa, di tali realtà; non che essa non ci sia stata precedentemente. Ecco, io vi vorrei suggerire, perché è giusto, anche se forse quello che dirò non convincerà o sarà poca cosa, di leggere questo volumetto, pubblicato molto di recente, nel 2006, del cardinale Ratzinger allora, oggi Papa Benedetto XVI Nuove intuizioni dello Spirito: i movimenti nella Chiesa, edizioni Paoline. Esso raccoglie due testi o, meglio, una conferenza e un incontro che il cardinale Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha realizzato con un gruppo di vescovi; nel 1999, ha pubblicato questa relazione che è la prima parte di questo volume. Nel 2000, i vescovi che avevano letto quella relazione del cardinal Ratzinger, hanno chiesto un incontro con lui proprio sul problema dei movimenti, dei gruppi, delle associazioni e il cardinale, nel 2000, ha fatto questo incontro con tali vescovi; fra gli italiani, era presente colui che ospiterete domani sera qui: il cardinale Scola che, allora, era il Preside della Università Lateranense; egli, chiamato a questo incontro, vi partecipò, facendo anche una domanda al cardinal Ratzinger.

Quindi, il secondo testo risponde alle difficoltà, ai problemi che i vescovi avevano, specialmente in America latina, nell’attività pastorale quotidiana riguardo ai movimenti che andavano sorgendo, soprattutto in questa area geografica. Il primo documento, invece, è un articolo che egli ha pubblicato; ora le edizioni Paoline, hanno messo insieme i due articoli che erano stati pubblicati uno nel 1999 e uno nel 2000; quindi, la consultazione, grazie a Dio, è più facile. Io suggerirei di leggere questo volumetto, perché soprattutto nel primo documento, che riguarda proprio la nostra tematica, Ratzinger, come sa fare lui, da grande teologo, ha saputo dare tutte le spiegazioni teologiche sulla natura, la funzione, la missione, la presenza di questi movimenti e gruppi nella Chiesa. Io, purtroppo, ho avuto questo libro tre giorni fa, quindi ve lo suggerisco proprio per dovere di coscienza, anche se non ho potuto considerarlo in modo approfondito per la preparazione del mio intervento. Posso, però, citarvi questo passo: “all’interno della Chiesa si presentano vari tipi di servizi, funzioni, ministeri e forme di animazione della vita cristiana. Ricordo, quale novità emersa in non poche Chiese, nei tempi recenti, il grande sviluppo dei movimenti ecclesiali, dotati di dinamismo missionario; quando si inseriscono con umiltà nella vita delle Chiese locali e sono accolti cordialmente dai vescovi e sacerdoti nelle strutture diocesane e parrocchiali, i movimenti rappresentano un vero dono di Dio per la nuova Evangelizzazione e l’attività missionaria propriamente detta. Raccomando quindi di diffonderli e di avvalersene per ridare vigore soprattutto fra i giovani, alla vita cristiana e alla Evangelizzazione, in una visione pluralistica dei modi di associarsi e di esprimersi”.

Mi pare che, qui, sia indicato in modo positivo il significato autentico della presenza dei movimenti e dei gruppi ecclesiali nella Chiesa. Trattando del rapporto, poi, tra questi movimenti e le Chiese locali, egli afferma: “ le Chiese locali e i movimenti non sono in contrasto tra loro, ma costituiscono la struttura viva della Chiesa”. Voi sapete che, dopo il Concilio Vaticano II, la fioritura di movimenti e gruppi non è stata sempre vista di buon occhio da parte di parroci, di vescovi ecc. Perché? Evidentemente, e questo dobbiamo riconoscerlo, come precisa in questo libro anche Ratzinger, un movimento che nasce, molte volte, soffre di ingenuità, soffre di quello zelo, talora, sproporzionato che lo spinge a fare cose non apprezzabili, non accettabili; non per questo, però, tali movimenti devono essere disprezzati, non accolti, allontanati.

Infatti, il compito del vescovo, come abbiamo visto, non è quello di spegnere il carisma, ma di aiutare i movimenti a liberarsi da certe ghettizzazioni, da certi totalitarismi che, molte volte, si presentano come vera Chiesa, affermando magari: “solo chi appartiene al nostro movimento è Chiesa, gli altri sono di secondo ordine non sanno bene, non vivono bene”. Tanti movimenti hanno cominciato il loro percorso con queste espressioni, certamente inaccettabili. Allora, è necessario, da parte della Chiesa, da parte del vescovo, del parroco, cercare di far comprendere che i movimenti non sono la Chiesa, ma sono nella Chiesa, sono una parte della Chiesa, non sono tutto. È necessario che ogni movimento accetti anche gli altri gruppi, perché tutta la vita della Chiesa non può essere ridotta alla vita di un solo movimento. Tale vita arricchisce la vita della Chiesa, ma ha bisogno di mettersi insieme agli altri gruppi e movimenti, ma anche insieme ai ministeri, ai sacerdoti, ai vescovi per formare l’unico popolo di Dio.

Certo, e questo è chiarito, in questo libro, anche da Ratzinger, la presenza di questi movimenti, nella Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II, costituisce una ricchezza e una vitalità per la Chiesa. La potremmo considerare come lo Spirito Santo che, sempre, da duemila anni, ha guidato la Chiesa e ancora oggi continua a guidarla, suscitando in ogni tempo e, quindi, anche nel nostro, dopo il Concilio Vaticano II, quei movimenti e quei gruppi che sono necessari a dare uno stimolo di progresso, di vitalità, di impegno sempre nuovo alla Chiesa che, spesso, tende a sclerotizzarsi, a diventare un fatto archeologico.

Questi movimenti, allora, diventano uno strumento dello Spirito Santo per aiutare la crescita, il cammino, la presenza della Chiesa nel mondo attuale. In questo senso sono, certamente, una grande benedizione. Nella Chiesa ci sono stati sempre vari momenti di difficoltà e se li esaminiamo come fa Ratzinger in questo libro, vediamo che sempre lo Spirito Santo ha dato una risposta a tali difficoltà. Che cosa è stato Francesco d’Assisi se non un carisma, un Dono dello Spirito Santo in una Chiesa medioevale che si era un po’ chiusa, un po’ troppo identificata con il regime politico del tempo perdendo molta vitalità? Francesco non si è posto fuori o contro la Chiesa. Si è posto dentro la Chiesa, come un Carisma, un Dono delle Spirito che aveva il compito di animare, di aiutare la crescita della comunità cristiana. La stessa finalità hanno o dovrebbero avere i movimenti e i gruppi nati dopo il Concilio Vaticano II. Non dobbiamo preoccuparci di certe forme esorbitanti o non accettabili. Bisogna, piuttosto, cogliere l’essenziale e aiutare queste realtà a liberarsi da ciò che diventa limitativo del loro impegno.

Vi faccio un esempio. Io accetto sempre, quando sono libero evidentemente, di partecipare a incontri dei neocatecumeni. L’incontro dura molte ore, quindi io devo essere libero per poter partecipare serenamente. Quando intervengo, partecipo, dimostro già di apprezzare quel movimento o quel gruppo ma, poi, quando devo parlare, spiego sempre la necessità della comunità con la Chiesa, il bisogno di essere d’accordo con il Vescovo, di essere in comunione con gli altri gruppi e movimenti. Dico sempre queste parole e credo che questo possa essere un aiuto: non si spegne lo Spirito, ma lo si aiuta a crescere, lo si aiuta nel modo giusto, liberandosi da quelle escrescenze, chiamiamole così, che potrebbero deturpare o impedire la presenza valida di quel gruppo, di quel movimento nella Chiesa.

Certo, prima, ho detto che, inizialmente, questi movimenti, per esuberanza o per inesperienza, corrono il rischio di fondamentalismo, di assolutismo, di una assolutizzazione. Ma non per questo, lo ripeto ancora, deve essere spento lo Spirito che è in loro. Devono essere, invece, aiutati a esprimere sempre meglio questo Spirito. Molti si sono opposti a tali movimenti e gruppi, partendo da una distinzione, citata diverse volte, tra la Chiesa istituzione e la Chiesa carismatica e, alcuni anni fa, subito dopo il Concilio (chi era presente, allora, lo ricorderà bene), a un certo punto, gruppi e movimenti avevano pronunciato l’affermazione: “noi siamo per la Chiesa carismatica, non ci interessa più la Chiesa istituzionale”. Giustamente, dirà qui Ratzinger nel suo libro, questa posizione è teologicamente errata, perché non c’è da una parte il carisma e dall’altra l’istituzione. Lo dimostra anche il ministero presbiterale che è un ministero carismatico, che si riceve attraverso un Sacramento; perciò, lo Spirito dona al presbitero quell’impegno, quel servizio nella Chiesa attraverso un Sacramento. Nel Sacramento c’è sempre il carisma, la presenza, cioè, dello Spirito Santo, di un Dono dello Spirito. Quindi, non si può mettere in opposizione la Chiesa Carismatica e la Chiesa istituzionale, perché il carisma, ripeto, è in tutti i membri della Chiesa.

Un’altra difficoltà, emersa dopo il Concilio Vaticano II, è quella di mettere in opposizione la Cristologia con la Pneumatologia. Da un lato, la Cristologia che vuole mettere al centro Cristo, come dicevano questi tali, dimenticando lo Spirito Santo; dall’altro lato, alcuni movimenti e gruppi di spiritualisti che volevano rifarsi, in modo particolare, allo Spirito Santo e intendevano, io dico giustamente in questo caso, far recuperare alla comunità cristiana la presenza viva dello Spirito Santo nella Chiesa che noi, molto spesso, abbiamo dimenticato.

Ma anche questa è un’opposizione teologicamente errata, inaccettabile. Perché? Dove è lo Spirito, là è Cristo, il Signore: non c’è opposizione tra Cristo e lo Spirito Santo. Ho detto che la Chiesa è comunione voluta dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo; il Padre l’ha pensata, il Figlio l’ha realizzata con la sua Incarnazione, lo Spirito Santo, mandato dal Padre e dal Figlio, l’ha vivificata. Quindi lo Spirito Santo non agisce contro Cristo o senza considerare quello che Cristo ha realizzato, ma agisce con Cristo, addirittura potremmo dire che la presenza del Cristo nella Chiesa è tenuta forte dallo Spirito Santo; in altre parole, lo Spirito Santo fa sì che la Chiesa di oggi possa essere collegata e possa dirsi sempre la Chiesa di Cristo, perché connessa al suo fondatore: Cristo.

Questa, però, è opera dello Spirito Santo, non è opera nostra, opera degli uomini. Allora, tra Cristo e lo Spirito Santo non c’è opposizione. Allora non si può parlare di una Chiesa Cristologica e di una Chiesa Pneumatologica, ma bisogna parlare di una Chiesa del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ecco, io credo di poter terminare, adesso, di tediarvi, dicendo che dobbiamo guardare, con amore e con riconoscenza, al Dono che lo Spirito Santo ha fatto alla Chiesa: quello di tanti gruppi e movimenti che sono sorti per il bene della Chiesa.

Occorre ringraziare il Signore, ringraziare lo Spirito Santo, ma ringraziare anche questi movimenti e questi gruppi, ritenendoli parte viva della Chiesa, ritenendoli movimenti che ci permettono di crescere nella comunione e, soprattutto, di essere più pronti e adatti per quella Evangelizzazione, per quella testimonianza del Risorto da dare in un mondo in continuo cambiamento. Noi, spesso, non vogliamo cambiare; io mi rivolgo anche ai preti e a me stesso come prete: nessun sacerdote dica che non bisogna rinnovare la parrocchia. In questi decenni, abbiamo parlato, infatti, del rinnovamento della Parrocchia. Chi, però, ha posto mano realmente e concretamente a questo rinnovamento? Quasi nessuno nella mia Diocesi. Perché? Io credo che prevalga quel detto dialettale: “cu lassa a via vecchia pà nova, sapa chi lassa e non sapa chi trova”. Evidentemente questa paura impedisce di mettere in atto la novità; le condizioni ci sono, però, per mettere in atto questa capacità di rinnovarsi.

Io ritengo che sia una Grazia di Dio, dello Spirito Santo la presenza di questi movimenti e gruppi che costringono, in certo senso, al rinnovamento delle nostre comunità parrocchiali, delle nostre diocesi per renderle sempre più presenti e più capaci di annunziare Cristo in questo mondo che cambia.

Auguro al Movimento Apostolico, che vuole veramente Evangelizzare e annunziare Cristo, di essere questo strumento di rinnovamento in questa Chiesa particolare di Catanzaro, dove è già presente e dove so che è apprezzato dall’Arcivescovo, ma anche in altre Chiese della nostra regione, dell’Italia e del mondo intero.