Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita

Il figlio minore si prese la libertà dal Padre, uscì dalla casa della vita, se ne andò nel paese della morte. Si è compiuta per lui la Parola che è la sola ed unica legge eterna dell’umanità: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire» (Gen 2,16-17). Una sola è la casa della vita: la Parola del Signore. Si abbandona la Parola del Signore, si va nel paese della morte, della miseria, della perdita della nostra umanità. Nella terra e nel paese della morte, i porci hanno di che saziarsi, l’uomo muore di fame. Noi sappiamo che sempre il Signore concede all’uomo la possibilità di tornare in vita, cioè di fare ritorno nella casa della Parola. Essendo la possibilità del ritorno la seconda legge eterna stabilita dal Padre per l’uomo: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gen 3,15), sempre Dio apre la porta del suo cuore, della sua casa, della vita eterna a quanti, sempre per sua grazia, fanno ritorno a Lui. È la sua Legge. Lui ad ogni sua Legge rimane fedele in eterno. Lui è fedele alla prima Legge eterna – quella della morte – ed è fedele alla secondo Legge eterna – quella della vita. Infatti non appena il figlio decide di tornare dal Padre, questi subito lo accoglie. Non può non accoglierlo, perché Lui lo ha stabilito con decreto eterno. Se però l’uomo non ritorna, nonostante i molteplici inviti e le premure del Padre, questi dovrà abbandonarlo alla morte eterna, perché deve essere fedele alla sua Parola. Per fedeltà accoglie, per fedeltà lascia nella morte per sempre.

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”» (Lc 15,1-32).

La legge della fedeltà di Dio alla sua Parola deve essere anche Legge per l’uomo. Una sola Legge eterna: quella di Dio che deve essere Legge dell’uomo. Non vi possono essere due Leggi: una eterna di Dio e l’altra momentanea, passeggera, istintiva, passionale, vendicativa dell’uomo. La fedeltà del Padre deve essere fedeltà del figlio. Non vi può essere discrepanza né grande né piccola. Il figlio maggiore, vera figura di scribi e farisei del tempo di Gesù. Questi arbitrariamente, visceralmente, passionalmente, escludevano e accoglievano secondo l’istinto del momento. Tutto era dal loro capriccio. I peccatori non avevano più alcuna possibilità né di redenzione e né di salvezza. Chi viola la seconda Legge eterna di Dio, quella dell’accoglienza di chi ritorna, ha sicuramente violato anche la prima Legge eterna, quella che stabilisce le regole della morte e della vita. Non era più la Parola di Dio la legge della vita e l’abbandono di essa la legge della morte, bensì la loro parola. Farisei e scribi ritenevano giusti e santi chi agiva secondo i loro precetti che erano imparaticcio di parole umane, mentre rifiutavano e allontanavano come peccatori quanti cercavano il Signore, ma non secondo il loro pensiero. Anche Gesù fu vittima di questa loro legge satanica. Fin da subito scribi e farisei tennero consiglio per eliminare Gesù, perché non osservante della loro religione. Ma Gesù non è venuto per osservare la religione degli uomini, ma per portare sula terra la vera religione del Padre e questa si fonda sulle sue due Leggi eterne: Legge della morte e Legge della vita.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci le Leggi eterna del Padre.