Avarizia e povertà

Le risposte alle domande sono a cura del teologo Mons. Costantino Di Bruno, Assistente Centrale del Movimento Apostolico.

D. Come si acquisiscono le virtù?

R. La virtù non si conquista in un giorno. I maestri di ascesi dicono che se uno acquisisce una virtù in dieci anni si fa un grande santo. La virtù è dono dello Spirito Santo, dono del Padre celeste, ed è poi esercizio nostro. Tu punti una virtù, quella che vuoi, le virtù sono tante e sono tutte riconducibili alle virtù teologali e cardinali. Per esempio la povertà è riconducibile alla fede, alla speranza e alla carità. Alla fede perché tu ti fidi della parola del Signore. Alla carità perché tu fai un dono della tua vita ai fratelli. Alla speranza perché tu vivi la vita presente sotto la forma dell’eternità, perché tu sai che devi andare nella vita eterna. Tu punti una virtù, e per questo parli con il tuo padre spirituale, ne parli con il tuo confessore o con qualcuno dei tuoi amici che ti possa illuminare su quale virtù ti è più necessaria per condurre bene la tua vita. Una volta che hai puntato la virtù non devi mai smettere di esercitarti in essa. Oggi tu puoi anche cadere, domani puoi anche cadere, ma se tu preghi con intensità di amore e di fede e chiedi al Signore la virtù, quella virtù che ti serve, il Signore a poco a poco ti trasformerà, ti condurrà ad acquisire quella virtù che ti serve per essere a lui gradito. La preghiera è importantissima, è vitale. Salomone era re ed era giovane, e una notte gli apparve in sogno il Signore che gli disse: “Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò”. E Salomone disse: “Io sono giovane, non so governare questo popolo, sono inesperto, mi manca la sapienza, mi manca il discernimento, mi mancano tutte quelle virtù necessarie per governare”. Allora il Signore gli disse: “Poiché tu hai chiesto questo, e non hai chiesto ricchezza, io ti dò una sapienza tale che nessun uomo sulla terra è stato sapiente fino adesso e nessun altro lo sarà come te”. Si parla infatti della sapienza di Salomone, famosa in tutto l’Antico Testamento. Leggete il capitolo sesto del libro della Sapienza e vedrete che Salomone fa una bella preghiera al Signore quando chiede il dono della sapienza. Nei capitoli che seguono poi, vi è la descrizione della sapienza, cioè delle quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.

D. Nel capitolo 18 del Siracide si dice che l’uomo che vive alla ricerca dei piaceri, della lussuria, dell’ingordigia e altro, ha come conseguenza diretta di vivere doppiamente nel vizio, di peccare doppiamente e di essere povero doppiamente. Ci vuole esplicitare meglio questa povertà doppia?

R. Quando tu vivi nel vizio, il vizio ha un costo molto elevato. Il vizio richiede la cosa che tu desideri, il che ha un prezzo. Se tu fumi, il semplice fumo ti costa ogni giorno una certa somma. Se poi al fumo tu aggiungi l’alcool ti costa ancora di più, e così via. Un giorno ho fatto il calcolo ad una persona che si diceva povera, e ho concluso che spendeva per i suoi vizi, che si coltivava ogni giorno, 460 mila lire al mese, e solo per quei vizi innocenti. Perché si parla di una doppia povertà? Perché hai la povertà sulla terra e poi ce l’hai anche nei cieli. Perché se tu non hai fatto della tua vita un dono al Signore, non hai servito il Signore nei miseri, nei poveri, nei piccoli, come fa il Signore a darti il suo regno? Non te lo può dare. Vivi di miseria sulla terra e vivi di miseria nei cieli. E questo non conviene a nessuno. La virtù ci guadagna sempre, sulla terra e nei cieli. Per poter fare il bene bisogna essere virtuosi. Se io non ho vizi posso fare il bene, ma se ho vizi il bene non lo posso fare, perché niente mi basta. Mettiamo questo principio nel cuore, e vedrete quanto bene riusciamo a fare tutti, indistintamente. Anche il più povero può fare il bene. Pensate alla vedova del vangelo che versò nel tesoro del tempio quei due spiccioli. Perché ha potuto versare quei due spiccioli ed essere lodata da Cristo? Perché quella donna viveva di perfetta fede, di perfetta temperanza, di perfetto amore. Se noi facciamo questo il Signore ci benedice.

D. A volte mi viene posta una domanda a cui non so rispondere: “La Chiesa predica sempre di operare nella povertà, però constatando i fatti sembra che effettivamente operi nello sfarzo”. Come rispondere a questo genere di domande?

R. Nella nostra morale ognuno è responsabile delle sue azioni. La Chiesa non c’entra. Perché nella Chiesa ci sono persone che vivono di povertà santa e ci sono persone che vivono di opulenza. Ma non è la Chiesa che vive, è l’uomo. In mezzo a voi c’è qualcuno che può vivere di vizio e qualcuno che vive di virtù. Ma non per questo io devo dire che la gioventù vive di vizio o che la gioventù vive di fede, o d’amore, o di carità. Devo dire: questa persona non dona una testimonianza santa e quest’altra la dona. Dobbiamo avere quella perspicacia, quella saggezza di vedere il bene e vedere il male, vedere il vizio e vedere anche la virtù. La virtù vista ti dona speranza, perché se il fratello è riuscito a viverla ce la posso fare anche io. Ci sono tanti preti che vivono male, ma ci sono anche tanti preti che vivono il tenore del popolo, che non vanno oltre quello che è consentito. E’ importante che questo noi lo sappiamo discernere sempre. Le azioni sono della persona, di ogni singola persona. Abituiamoci a vedere le cose con più garbo, con più santità, con più amore. Che il regno dei cieli è simile a una rete che prende ogni genere di pesci, questo è vero. Ci sono i pesci buoni, ci sono i pesci cattivi. Nella Chiesa ci sono i santi e ci sono i peccatori. Ci sono i grandi santi e ci sono anche i grandi peccatori. Però la santità della Chiesa, di questi uomini santi, molte volte non viene neanche messa in rilievo. Noi dobbiamo dire che ci sono santi che hanno dato lustro alla Chiesa, e ogni giorno danno lustro al mondo intero. La santità esiste nella Chiesa ed è vera, è una cosa reale, è visibile. Anche in mezzo a noi c’è tanta santità. Ci può essere tanto vizio. Ma il nostro cammino è sempre verso la santità e dobbiamo avere pazienza, misericordia, e lavorare. Se noi tutti questa sera ci impegniamo a desiderare le virtù, le virtù verranno, e noi capovolgeremo la visione che si ha della Chiesa, perché c’è un gruppo di giovani che vogliono vivere le sante virtù. E questi giovani sono Chiesa.

D. Che differenza c’è fra avarizia e parsimonia?

R. L’avarizia è l’accaparramento di tutto ciò che non è tuo. L’avaro non si sazia mai di volere. Ma l’avaro non dona mai niente. Da un lato prende e dall’altro non dona. L’avarizia è una brutta malattia, perché qualsiasi cosa che è del prossimo l’avaro la vorrebbe possedere. Per esempio l’usura, nasce dall’avarizia insaziabile. San Giacomo nel capitolo quarto e quinto, quando parla dell’avarizia, dice che gli operai sono maltrattati, sono fatti morire di fame per un’avarizia insaziabile. Ogni vizio produce altri vizi. Tu diventi ingiusto perché hai questo vizio dell’avarizia. La parsimonia invece ti governa la vita ad usare bene le cose che possiedi, in modo che non vengano consumate, sciupate, disperse, usate male. Il parsimonioso però non chiude i suoi beni nel suo cuore, ma li usa con saggezza e apre la sua mano ai miseri. La parsimonia è necessaria per poter fare il bene. Così con una cosa ne fai due: una parte la tieni per te e l’altra la dai all’altro. Oggi la parsimonia ci manca, perché noi siamo abituati a sciupare il bene di Dio. Se usiamo bene il dono di Dio possiamo fare del bene al fratello. Se tu risparmi qualcosa con la parsimonia, il risparmio lo puoi dare ai fratelli che ne hanno bisogno. San Paolo quando fa la colletta per i poveri di Gerusalemme raccomanda: “Ogni settimana mettete da parte qualcosa, rinunciate a qualcosa, siate parsimoniosi e poi il ricavato datelo per questa colletta a beneficio dei vostri fratelli che sono in Gerusalemme, e che soffrono fame, nudità, persecuzione”. Io rinuncio a qualcosa perché tu abbia qualcosa. Ecco cos’è la povertà. La povertà non è chiudersi nella propria vita, è fare un dono. La parsimonia non è virtù se tu badi solo a risparmiare. Diventa virtù nel momento in cui tu doni, se fai qualcosa di buono. Molti di voi fanno l’adozione a distanza. Per mantenere l’adozione a distanza occorre un poco di parsimonia, un poco di risparmio e alla fine dell’anno hai la possibilità di fare un’adozione a distanza.

D. Nel libro di Tobia c’è scritto che, se incontri per la strada un povero dal cuore fedele devi invitarlo a pranzare con te. Che differenza c’è fra i poveri? Perché un povero può essere dal cuore fedele e un altro no? Il nostro atteggiamento in questo senso quale deve essere? Noi dobbiamo fare una differenziazione fra i poveri?

R. Il nostro caro Tobi vive in esilio in una situazione difficile. Qui gli Ebrei erano anche perseguitati, erano come schiavi. Allora chi è il più povero? Tobi pensa ad una carità saggia, e per lui il più povero è il suo fratello che è in disgrazia, che non ha da mangiare, non ha da bere, non ha da vestirsi. Tu devi trovare sempre chi è il più povero. Tu trovi chi è il più povero e fai la tua offerta, la tua elemosina. Tu devi fare la tua elemosina, devi dare il tuo dono al vero povero. Non puoi servire il falso povero, altrimenti quello che è vero povero non ha nulla di cui vivere. Tobi vive in ambito veterotestamentario, e nell’Antico Testamento il primo prossimo era il fratello di sangue, il fratello di carne, e poi veniva ogni altro uomo. Noi, nel Nuovo Testamento, non abbiamo più questa legge. Cristo ha dichiarato nel Capitolo decimo di S. Luca che prossimo è chiunque tu incontri per la strada, e ha bisogno in quel momento di te. Se vedi una persona bisognosa non guardi se è tuo fratello o non lo è, lo aiuti e basta. Fra l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento c’è un completamento, una perfezione nella carità. Nell’Antico Testamento manca la pienezza della grazia. Senza la pienezza della grazia tu non puoi vivere la pienezza della carità. Per dare la tua vita sulla Croce occorre la pienezza della grazia altrimenti non ce la fai.

D. Cos’è l’ingordigia?

R. L’ingordo è colui che non si sazia mai. L’ingordigia ti porta a fare qualcosa che nuoce anche alla tua stessa vita. L’avarizia con l’ingordigia, raggiunge il sommo della cecità spirituale. Pensate al ricco epulone. Questo uomo vive di cibo e di vestito e non vede nessuno. Vede solo se stesso e non si sazia mai. Passa da un banchetto all’altro, passa da un vestito all’altro e non si sazia mai. Quel povero che è alla porta lui neanche lo vede. E’ questo che gli merita la condanna eterna, il fatto di aver chiuso la sua vita in se stesso. Non è stato capace di aprirsi al fratello.

D. Ci parlate della provvidenza? La provvidenza è solo delle persone che fanno la volontà di Dio?

R. La provvidenza è il disegno che Dio ha sulla tua vita. Dio questo disegno lo aiuta sempre, perché tu lo porti a compimento. La provvidenza non è solo nella materia, ma è per ogni dimensione della vita. Il Signore quando ti ha creato, lo ha fatto perché tu raggiunga un fine, uno scopo, che lui ha deciso dall’eternità. Tutto quello che è necessario perché tu raggiunga il fine Dio te lo dona sempre. Perché tu possa raggiungere il fine occorre la tua buona volontà. Occorre poi la preghiera, perché il Signore intervenga nella tua vita e ti assista, ti protegga, ti illumini, ti sorregga, ti guidi. Questo occorre perché tu possa raggiungere il fine. Dio stabilisce, ma non determina senza la tua volontà. Stabilisce senza la tua volontà, perché lui è il Signore, ma perché tu possa raggiungere il fine occorre la tua volontà. Tu ti metti nella volontà di Dio e Lui ogni giorno spiana per te la strada. Questa è la provvidenza. Perché la provvidenza venga esercitata occorre il tuo desiderio. Nel capitolo sesto di Matteo, quando Gesù parla della provvidenza del Padre dice: “Guardate i gigli dei campi non seminano, non filano, non mietono, non fanno nulla, non hanno telaio, eppure Salomone mai fu vestito come uno di loro… Guardate gli uccelli del cielo, neanche loro seminano, mietono, raccolgono, ammassano, eppure nessuno di loro muore di fame, perché il Padre mio ogni giorno veste i gigli e nutre gli uccelli… Cercate il regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato in aggiunta”. Dobbiamo avere questa fede nella provvidenza, credere che Dio non mi abbandona. Ma quando Dio non mi abbandona? Quando io non abbandono Lui. E’ una reciprocità. Dio vuole fare tutto per te, ma tu vuoi che Lui faccia tutto per te? Se tu lo vuoi lui ti aiuta, se tu non lo vuoi, non ti può aiutare. Senza la tua volontà Dio non può entrare nella tua vita. La volontà dell’uomo è necessaria perché Dio possa entrare, governare, dirigere. Tu gli dai la volontà e il Signore interviene e ti governa. Se noi credessimo un poco di più nella provvidenza, la nostra vita sarebbe diversa. Essa riceverebbe un significato nuovo, perché io non sono solo, Dio è con me, Dio mi protegge, Dio mi guida, Dio mi nutre, Dio mi sostiene. Questo non significa che tu non debba fare la volontà di Dio ogni giorno. Tu la fai, e Dio mette il resto in aggiunta.

D. Nel Siracide è fatto presente che la ricchezza è buona se è senza peccato e la povertà è cattiva a detta dell’empio. Nel vangelo di Marco troviamo: “Una cosa sola ti manca, va’ vendi tutto quello che hai e il ricavato dallo ai poveri, avrai un tesoro in cielo, poi vieni e seguimi… è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio”. Sembra che in questo ci sia una certa imposizione?

R. C’è l’Antico Testamento e c’è il Nuovo Testamento. Nell’Antico Testamento la ricchezza era considerata una benedizione di Dio. Però dice l’Antico Testamento di stare attento, che è una benedizione di Dio se la ricchezza è senza peccato. Significa, una ricchezza conquistata attraverso la tua obbedienza ai comandamenti. Tu non hai detto falsa testimonianza per acquisirla, non hai rubato per acquisirla, non hai adulterato per acquisirla. Tu ti puoi anche prendere in sposo/a qualcuno o qualcuna che sai che è possedente per avere un poco di ricchezza, trasgredendo così il comandamento di Dio. Puoi anche uccidere per la ricchezza. Puoi disonorare tuo padre e tua madre per la ricchezza. Questa è una ricchezza con peccato, e non è buona dinanzi a Dio. E’ una ricchezza malvagia. Ma quando la ricchezza è senza peccato? Quando tu osservi la legge della carità. Se leggi l’Antico Testamento ti accorgi che per ognuno di noi vi è un obbligo di carità: verso il fratello, verso il vicino, verso l’amico, verso il conoscente. Tu hai l’obbligo di non chiudere la tua ricchezza in te stesso, perché altrimenti questa ricchezza è peccaminosa. Tu ne fai uno strumento a tuo solo uso e consumo. Il Signore ti fa sempre il bene perché tu faccia anche il bene. Se io chiudo la ricchezza in me stesso, anche quella spirituale, io commetto peccato. La mia ricchezza non è santa. Nell’acquisizione e nel possesso, la ricchezza dev’essere senza peccato. Nel libro di Tobia, al capitolo quarto, quando Tobi dà l’insegnamento al figlio gli dice: “Se hai molto dai molto, se hai poco non esitare a dare secondo quel poco che hai, perché l’elemosina ti preserva dai pericoli”. Per quanto riguarda l’acquisizione della ricchezza al capitolo dodici dello stesso libro, Tobia torna dal suo viaggio carico di doni e di beni. Viene con la moglie e viene con tutta la somma recuperata. Il padre dice al figlio: “Figlio mio a questo uomo che ti ha accompagnato non è giusto che diamo solo il salario pattuito. Poiché ti ha fatto un grandissimo bene è giusto che almeno la metà di quello che hai recuperato la diamo a lui. E’ giusto perchè ha messo a rischio la sua vita per te”. Tu doni a colui che ti ha permesso di acquisire la ricchezza, perché è stato uno strumento di arricchimento. Poi, però, sappiamo che l’Angelo Raffaele rinunciò al denaro, rivelò la sua identità, e disse a Tobia che non aveva bisogno di denaro perché Lui era uno dei sette angeli sempre pronto ad entrare alla presenza di Dio. Nel Nuovo Testamento la prima beatitudine è la povertà in spirito: “Beati coloro che sono capaci mettere la loro vita nella mani del Signore e consegnarla a Lui”. Cristo, nel vangelo di Marco, chiede a questo uomo: “Donami la tua vita?”. Poteva anche non avere dei beni materiali, ma la vita non gliel’ha data. Ha avuto paura per i molti beni che possedeva, e ha chiuso la sua vita nelle ricchezze. Ora, se chiudo la mia vita nelle ricchezze, il Signore non mi può salvare. La mia vita la devo mettere nelle mani di Dio, con tutte le ricchezze. La ricchezza è passeggera, il dono di Dio invece è perenne, santo, giusto. Ma siamo in due ambiti diversi. Nel Nuovo Testamento abbiamo la pienezza della grazia e della verità che ancora non abbiamo nell’Antico Testamento. Cristo non ha fatto nel Nuovo Testamento un prolungamento dell’Antico Testamento, ma ha portato qualcosa di infinitamente più grande, infinitamente superiore. Ha portato se stesso. Dio viene in mezzo a noi nella sua carne.

D. Una persona che dice di praticare la carità, l’elemosina, la parsimonia, e ogni altra virtù, ma non vive la perfetta obbedienza al vangelo, che tipo di carità pratica nei fatti?

R. Si comincia. La vita cristiana da qualche parte deve iniziare. Si può iniziare dalla carità, si può iniziare dalla speranza. Se tu incominci dalla carità, non ti chiedere se vivi bene o vivi male ma, pratica bene la carità. Cristo Gesù vedendoti donna di carità penserà lui a portanti nella pienezza della vita cristiana. Cornelio era un pagano – lo troviamo in Atti 10 – che faceva opere di carità. Aveva questo spirito di aiutare i poveri. Il Signore si serve di Pietro per salvarlo, per dare la pienezza della grazia e della verità a Cornelio. Sempre negli Atti Pietro, in modo eclatante, risuscita Tabità perché le donne piangevano dinanzi a lui la morte di questa anima bella. Le donne si lamentavano perché senza di lei nessuno avrebbe più cucito per loro un vestito, o avrebbe fatto un mantello o una tunica. Pietro per amore di quelle donne risuscita “Gazzella”. Da una virtù il Signore si muove per dartene un’altra. Chi ha praticato l’elemosina non è mai rimasto senza la grazia di Dio. Il Signore vede il tuo cuore e ti aiuta a raggiungere la perfezione. La carità è l’anima di tutte le virtù. Quando una persona è caritatevole il Signore apre il tuo cuore e ti elargisce le virtù che ancora ti mancano. Tu soccorri i poveri, e Lui soccorre te che sei povero. La carità non è solo quella materiale è anche quella spirituale. Molti non riescono a fare la carità materiale, ma se ci decidessimo stasera di fare la carità spirituale, noi rinnoveremmo il mondo perché ciò che non puoi fare tu lo può fare il Signore. Tanto bene possiamo fare con la preghiera, oppure nel dare un buon consiglio a una persona, o ancora nel perdonare i peccatori. Se ne possono fare di opere buone. Facciamole.

D. Se un fratello mi chiede un prestito ma io so che non ha bisogno di questo prestito, oppure che lo userà male. E’ giusto che io faccia questa elemosina, oppure no?

R. Non c’è una legge nella carità. La carità non ha legge. La carità è mossa dallo Spirito Santo dentro di te. Tu devi pregare lo Spirito Santo perchè ti illumini a capire quale carità devi fare in quel preciso momento, e la quantità di essa, e le forme. Occorre che tu viva in intima comunione con lo Spirito e lo devi pregare bene, perché non c’è una legge che previene e ti orienta. Caso per caso tu devi valutare ciò che è opportuno, ciò che è giusto, ciò che è meglio, ciò che è ottimo, ciò che è santo. Tu valuti e il Signore nella preghiera ti aiuterà. San Paolo dice che il cristiano è l’uomo del discernimento: ascolta discerne, risponde. Nella bibbia c’è un uomo che si chiama Neemia. Era deportato in Babilonia ed era coppiere del re. Un giorno andò a versare il vino nel bicchiere del re che lo vide triste e gli chiese cosa avesse. Neemia gli disse che si trovava in terra d’esilio lui e i suoi fratelli, e il re gli chiese cosa voleva che facesse per lui. Allora la scrittura dice che prima di rispondere, Esdra, pregò. Tu ascolti, preghi e rispondi. Devi avere questa grande saggezza di pregare sempre, perché la preghiera và premessa ad ogni azione dell’uomo.

D. Accumulare del denaro non è bene, è bene fare la carità. Se io fossi un direttore d’impresa che ha molti beni e molti soldi e decidessi di aiutare la gente dando loro del lavoro. Ma il lavoro che io do è sempre minore rispetto ai miei effettivi guadagni. La maggior parte dei miei guadagni io li voglio investire sulla mia famiglia, ai miei figli, per dare loro un futuro brillante. Do tantissimo alla mia famiglia e do quello che è giusto ai miei operai. Anche se questo limita di molto il lavoro che si potrebbe dare a tante altre persone. In questo caso non si cade nell’avarizia perché comunque si fa la carità?

R. Bisogna distinguere ciò che è giustizia e ciò che è carità. E’giustizia tutto ciò che io devo dare a te che lavori per me. Io ti devo pagare secondo giustizia, come è giustizia da parte tua lavorare secondo il salario che io ti do. La giustizia è il rispetto del contratto stipulato tra datore di lavoro e operaio. La solidarietà che cos’è? Non chiudere la tua vita in te stesso, o in ciò che ti appartiene. Tu puoi anche desiderare un futuro buono o brillante per tuo figlio. Ciò, però, non ti dispensa dal fare la carità, perché la carità ti libera dalla morte, ti libera dall’inferno eterno e ti apre le porte del paradiso. Solo per carità si và in paradiso. Il giudizio finale è chiaro in Matteo Capitolo 25. Ma anche Luca ne parla quando racconta la parabola del buon samaritano. La domanda iniziale: “Maestro cosa devo fare di bene per avere la vita eterna?”, trova risposta nella parabola stessa, e cioè: “Ama il tuo prossimo. Fai il bene”. Nella mia ricchezza quanto spazio ha il prossimo? Lo devo trovare se voglio andare in Paradiso. Siamo tutti obbligati a trovare questo spazio, e se non lo troviamo in paradiso non ci possiamo andare. La strada è questa. E’ la strada del dono, perché Dio è dono e vuole che i suoi figli si facciano dono. Nella scrittura il Signore a poco a poco educa i suoi figli a farsi dono per l’altro. Nella carità c’è spazio per l’altro. Se noi creiamo questi spazi la nostra vita và di certo in paradiso. Se noi questi spazi non li creiamo la nostra vita diventa egoistica. La povertà è fare della vita un dono.

Indicazioni fornite da Mons. Costantino Di Bruno per la preparazione dell’incontro:

Citazioni tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento
La povertà nel Nuovo Testamento secondo il discorso della Montagna