C.S. Lewis (II parte)

Evangelizzatore e difensore dell’autentica fede evangelica

 

Autore: Don Massimo Cardamone

Lewis considerava la sua capacità di tradurre la dottrina cristiana in linguaggio semplice, non tanto come una mera realtà strumentale, bensì come sua particolare vocazione. Scrisse: «Quando cominciai il cristianesimo veniva prima della grande massa degli altri cristiani che non credono o nella forma estremamente emotiva offerta dai revivalisti o nel linguaggio inintelligibile del clero di alta cultura. La maggior parte delle persone non venivano raggiunte né dall’uno né dall’altro. Il mio compito pertanto era semplicemente quello di un traduttore, di una persona che trasformava o portava la dottrina cristiana, o ciò che egli credeva fosse tale, nel vernacolare, in un linguaggio che le persone non istruite potessero ascoltare e potessero comprendere. Almeno una cosa è certa: se i veri teologi avessero affrontato questo difficile lavoro di traduzione circa cento anni fa, quando cominciarono a perdere il contatto con la gente, la gente per la quale Cristo morì, non ci sarebbe stato spazio per me ora».

Si oppose con strenua determinatezza anche alla soggettività della fede, germe che ha infettato tanti singoli credenti, i quali hanno sostituito l’autorità divina, della Sacra Scrittura, della Sacra Tradizione, del Magistero della Chiesa, con un credo privato “fai da te”, sia riguardo alle cose da credere che alla prassi morale da seguire. Nel saggio Il veleno del soggettivismo, all’obiezione che legarsi ad un codice morale e immutabile significa minare le basi del possibile progresso umano, condannandosi ad una quiescente stagnazione, ribatté: «Lo spazio non puzza, perché ha mantenuto le sue tre dimensioni dall’inizio: il quadrato sull’ipotenusa non ha fatto i funghi continuando ad essere uguale alle somme dei quadrati sugli altri due lati; l’amore non è disonorato dalla costanza e quando ci laviamo le mani stiamo cercando la stagnazione e riportando indietro l’orologio, restaurando artificialmente le nostre mani verso lo status quo nel quale avevamo cominciato il giorno e resistendo alla tendenza naturale degli eventi, che porterebbero ad aumentare la loro sporcizia in modo costante dalla nostra nascita alla nostra morte. Per il termine e l’aggettivo “stagnante” utilizziamo un sostituto, il termine descrittivo “permanente”, uno standard morale permanente. Forse una preclusione al progresso? Al contrario se non viene posto uno standard immutabile il progresso è impossibile, se il bene è un punto fisso almeno è possibile avvicinarsi sempre più ad esso, ma se il terminale è tanto mobile quanto il treno, come è possibile che il treno possa avvicinarsi a questo punto terminale? Le nostre idee del bene possono cambiare ma non possono cambiare per il meglio o per il peggio, se non esiste un bene assoluto e immutabile verso il quale possano approssimarsi o dal quale possano recedere. Possiamo continuare ad ottenere una somma sempre più vicina al giusto, soltanto se la risposta perfettamente giusta è stagnante».

Ecco gli altri insegnamenti che Lewis offre: la legge della semplicità che deve caratterizzare la nostra testimonianza evangelica; maturare la coscienza che il soggettivismo è per la fede un dardo velenoso, che neutralizza la carica profetica e veritativa del Vangelo.