1 GENNAIO – MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO

TI BENEDICA IL SIGNORE E TI CUSTODISCA

Nm 6,22-27, Sal 66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21

Senza il Signore che cammini con noi con la sua luce, la sua verità, la sua grazia, la sua misericordia, il suo perdono, non si va da nessuna parte. Questa verità è così profondamente radicata nel cuore di Mosè, frutto anche della sua pluriennale esperienza, da riuscire con la sua preghiera a far retrocedere il signore dal suo proposito di non camminare più con il suo popolo. Senza Dio non c’è cammino.

Mosè disse al Signore: «Vedi, tu mi ordini: “Fa’ salire questo popolo”, ma non mi hai indicato chi manderai con me; eppure hai detto: “Ti ho conosciuto per nome, anzi hai trovato grazia ai miei occhi”. Ora, se davvero ho trovato grazia ai tuoi occhi, indicami la tua via, così che io ti conosca e trovi grazia ai tuoi occhi; considera che questa nazione è il tuo popolo». Rispose: «Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo». Riprese: «Se il tuo volto non camminerà con noi, non farci salire di qui. Come si saprà dunque che ho trovato grazia ai tuoi occhi, io e il tuo popolo, se non nel fatto che tu cammini con noi? Così saremo distinti, io e il tuo popolo, da tutti i popoli che sono sulla faccia della terra».

Disse il Signore a Mosè: «Anche quanto hai detto io farò, perché hai trovato grazia ai miei occhi e ti ho conosciuto per nome». Gli disse: «Mostrami la tua gloria!». Rispose: «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia». Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». Aggiunse il Signore: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere» (Es 33,12-23).

Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione». Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità» (Es 34,5-9).

Gesù sta per salire al cielo. Sa che senza di Lui mai ci potrà essere missione di salvezza. Lui lascia ai suoi discepoli ciò che è l’essenza della sua vita: lo Spirito Santo e la Madre sua. Come Mosè senza Dio sa che non c’è cammino, anche il discepolo deve sapere che senza lo Spirito Santo e senza la Madre di Gesù non c’è missione.

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé (Gv 19.25-27).

Come l’incarnazione del Verbo eterno è insieme il frutto della Vergine Maria e dello Spirito Santo, così la missione cristiana di generare Cristo nei cuori è frutto della Madre di Gesù e dello Spirito Santo. Se il cristiano non cammina con la Madre di Dio e con lo Spirito Santo, come sua vera Madre e come suo Spirito del suo spirito, non c’è alcun dono di vita nuova al mondo. Il cristiano senza la Madre e lo Spirito è albero secco.

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».

Se la Madre di Dio non è vita della vita del cristiano, mai Cristo potrà essere generato nei cuori. Manca la Madre che lo genera nel discepolo. Maria è verità primaria, essenziale per il dono di Cristo. Senza Maria manca al cristiano il grembo purissimo nel quale Cristo viene concepito e dato al mondo dallo Spirito Santo. Il cristiano, Maria, lo Spirito sono una cosa sola in ordine al mistero della generazione di Cristo nei cuori.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, purificate la nostra fede.

2 GENNAIO

NON VENIAMO DA LUI SVERGOGNATI

1 Gv 2,22-28; Sal 97; Gv 1,19-28

In principio è la Parola. Tutto l’universo è dalla Parola, vive per la Parola. Nell’universo creato da Dio, solo due esseri sono differenti: gli Angeli e l’uomo. Sono differenti da qualsiasi altro essere, perché loro sono dalla Parola, vivono per la Parola, vivono nella Parola, che sempre dovrà essere accolta del loro cuore e fatta propria vita dalla loro volontà. L’uomo è dalla Parola, nella Parola, per la Parola. Se l’uomo si priva del contatto con la Parola, esce da essa, non è più l’uomo pensato, voluto, creato da Dio. È questa la quotidiana tentazione di ogni uomo: farsi uomo da se stesso, abbandonando di essere uomo fatto perennemente da Dio. Se si lascia fare da Dio, vivendo nella sua Parola e per essa, diviene uomo per la vita, cresce di vita in vita. Se invece si fa uomo da se stesso, ponendosi fuori dalla Parola, diviene uomo per la morte, progredendo di morte in morte, fino al raggiungimento della morte eterna. La vita dell’uomo è solo nella Parola del Signore, fatta sua propria Parola dall’uomo.

L’Apostolo Giovanni – noi crediamo che la sua è parola di vita eterna, perché proferita nello Spirito Santo per ogni credente in Gesù – lo proclama con divina forza ed energia. Chiunque nega che Gesù è il Cristo, il Messia, il Salvatore, il Redentore, la Luce, la Verità, la Vita, la Risurrezione, la Pace, è un bugiardo. Ogni cristiano è obbligato a chiedersi: Sono anch’io un bugiardo dinanzi al Dio e alla storia, agli uomini e agli Angeli santi, per aver relativizzato, declassato, ridotto Gesù a persona come le altre, avendolo privato della sua più pura essenza di unico e solo Salvatore e Redentore del mondo? Non solo Giovanni dice che colui che nega che Gesù è il Cristo è un bugiardo, aggiunge che è un anticristo chi nega il Padre e il Figlio. Il Figlio e il Padre insieme stanno, insieme cadono. Chi nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre. Chi professa la fede nel Figlio possiede anche il Padre. Con queste semplici affermazioni Giovanni dichiara bugiardi e anticristi quanti professano la teoria del Dio unico, un Dio che è senza il Padre e senza il Figlio.

Chi è il bugiardo se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L’anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio possiede anche il Padre. Quanto a voi, quello che avete udito da principio rimanga in voi. Se rimane in voi quello che avete udito da principio, anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre. E questa è la promessa che egli ci ha fatto: la vita eterna. Questo vi ho scritto riguardo a coloro che cercano di ingannarvi. E quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca. Ma, come la sua unzione vi insegna ogni cosa ed è veritiera e non mentisce, così voi rimanete in lui come essa vi ha istruito. E ora, figlioli, rimanete in lui, perché possiamo avere fiducia quando egli si manifesterà e non veniamo da lui svergognati alla sua venuta.

Non solo si deve credere che Gesù è il Cristo e che il Figlio e il Padre sono una cosa sola, indivisibile in eterno, si deve anche rimanere nel Figlio e nel Padre. Come si rimane nel Figlio e nel Padre? Rimanendo nella sua Parola. In quale Parola? In quella che è stata loro annunziata fin da principio. Non c’è un’altra Parola. Una è la Parola: quella che Giovanni ha fatto risuonare nei loro cuori. Chi cambia la Parola udita con altre parole, non rimane nel Figlio e neanche nel Padre. Si pone fuori del frutto della Parola che è la vita eterna. O il cristiano rimane nella Parola udita fin dal principio, oppure diviene bugiardo, anticristo, perde la promessa della vita eterna.

Oggi il cristiano può anche rinnegare Cristo, venderlo al mando, relativizzarlo, declassificarlo, polverizzarlo, ridurlo a briciole e a frantumi nel suo mistero. Giovanni però lo avvisa. Poni attenzione, cristiano! Domani alla sua venuta sarai svergognato dinanzi al mondo intero. Hai negato la verità del tuo Salvatore, mentre essa è vera per i secoli eterni. Hai detto che Gesù non è il Cristo, mentre lo è per l’eternità. Che figura farai dinanzi a Dio e all’intera creazione, quando Gesù non ti riconoscerà come suo discepolo poiché tu non lo hai conosciuto come il tuo Cristo, il tuo Salvatore?

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a confessare Cristo.

3 GENNAIO

CHIUNQUE PECCA NON L’HA VISTO

1 Gv 2,29-3,6, Sal 97; Gv 1,29-34

Gesù è l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo. San Paolo aggiunge che Dio fece Gesù peccato in nostro favore, lo fece cioè vittima di espiazione per i peccati del mondo. Questa è la verità di Cristo, della sua Persona e del suo corpo. Poiché noi siamo vero corpo di Cristo, la verità di Cristo diviene verità del suo vero corpo. Anche il cristiano deve lasciarsi fare da Dio “Agnello che toglie il peccato e vittima per l’espiazione delle colpe dell’umanità. Un solo corpo, un solo sacrificio.

Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio» (Gv 1,29-34). Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio (1Cor 5,18-21).

Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo. Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza. In lui voi siete stati anche circoncisi non mediante una circoncisione fatta da mano d’uomo con la spogliazione del corpo di carne, ma con la circoncisione di Cristo: con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce. Avendo privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo (Col 1,24-29; 2,9-15).

Dinanzi a questa sublime verità, può il cristiano limitarsi solo a non peccare? Non è sua la vocazione di essere purissimamente santo per divenire vittima di espiazione per i peccati del mondo? Veramente i pensieri dello Spirito non sono i nostri!

Se sapete che egli è giusto, sappiate anche che chiunque opera la giustizia, è stato generato da lui. Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro. Chiunque commette il peccato, commette anche l’iniquità, perché il peccato è l’iniquità. Voi sapete che egli si manifestò per togliere i peccati e che in lui non vi è peccato. Chiunque rimane in lui non pecca; chiunque pecca non l’ha visto né l’ha conosciuto.

Possiamo noi giustificare peccato e grazia, Eucaristia e trasgressione, se il vero corpo di Cristo non solo vive esso senza peccato, ma possiede la missione di espiare il peccato del mondo? Dal peccato non si espia il peccato, ma solo dalla più alta santità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci senza peccato.

4 GENNAIO

CHI COMMETTE IL PECCATO VIENE DAL DIAVOLO

1 Gv 3,7-10; Sal 97; Gv 1,35-42

Chi legge i testi sacri sia del Nuovo che dell’Antico Testamento e sente poi parlare i discepoli di Gesù, non può giungere che ad una sola conclusione: si vive in due mondi. La rivelazione – parlo della Scrittura come Parola che Dio ha rivolto agli uomini – e il cristiano sono distanti l’una dall’altro come è distante la tenebra dalla luce. Ritendo che ormai la misura antica di distanza – oriente dall’occidente – sia superata e anche di morto. Si deve lasciare Isaia e prendere Geremia come misura. La sua è tra verità e menzogna, luce e tenebre. Oggi però anche questa misura è stata abbondantemente superata. Ci troviamo in uno sfacelo veritativo e morale altissimo di odio contro Cristo.

O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri (Cfr. Is 55,1-13).

Tu dirai loro: Così dice il Signore: Forse chi cade non si rialza e chi sbaglia strada non torna indietro? Perché allora questo popolo continua a ribellarsi, persiste nella malafede, e rifiuta di convertirsi? Ho ascoltato attentamente: non parlano come dovrebbero. Nessuno si pente della sua malizia, e si domanda: “Che cosa ho fatto?”. Ognuno prosegue la sua corsa senza voltarsi, come un cavallo lanciato nella battaglia. La cicogna nel cielo conosce il tempo per migrare, la tortora, la rondinella e la gru osservano il tempo del ritorno; il mio popolo, invece, non conosce l’ordine stabilito dal Signore. Come potete dire: “Noi siamo saggi, perché abbiamo la legge del Signore”? A menzogna l’ha ridotta lo stilo menzognero degli scribi! I saggi restano confusi, sconcertati e presi come in un laccio. Ecco, hanno rigettato la parola del Signore: quale sapienza possono avere? (Ger 8,4-9).

L’Apostolo Giovanni dice con chiarezza e luce di Spirito Santo che chi commette il peccato viene dal diavolo. Gesù stesso nel Vangelo rivela che Giuda è un diavolo, a motivo dei propositi malvagi che covava nel suo cuore. Noi invece abbiamo fatto del diavolo un genere letterario. Ma se il diavolo è un genere letterario, anche il peccato è un genere letterario. Se il peccato è un genere letterario, anche Cristo Gesù e Dio sono un genere letterario. Muore ogni punto di riferimento con il soprannaturale e le divine ed eterne verità. L’uomo viene privato di ogni luce di trascendenza. All’istante è senza futuro, salvo ancora a conservare il paradiso come genere letterario per una effimera e vana speranza riservata ad ogni misero, afflitto, povero della terra. La si proietta per lui oggi nella storia per fargli accettare ogni sofferenza e privazione in vista di un futuro eterno che, essendo solo un genere letterario, non possiede alcuna vera consistenza di realtà. Così Cristo Signore è divenuto per molti una pura chimera. Nulla di più.

Figlioli, nessuno v’inganni. Chi pratica la giustizia è giusto come egli è giusto. Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché da principio il diavolo è peccatore. Per questo si manifestò il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo. Chiunque è stato generato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui, e non può peccare perché è stato generato da Dio. In questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, e neppure lo è chi non ama il suo fratello.

Altra nostra grande stoltezza vuole che non si faccia più alcuna distinzione tra bene e male, tra verità e falsità, tra luce e tenebra, tra giustizia e giustizia, tra legge di Dio e legge degli uomini. Lo Spirito Santo invece distingue i figli di Dio dai figli del diavolo. Figlio di Dio è chi pratica la giustizia, cioè compie la volontà del suo Signore e ama i suoi fratelli. Figlio del diavolo e non ama suo fratello mai potrà essere figli di Dio perché Lui è purissimo amore. Mentre il diavolo è odio, astio, superbia, egoismo, invidia.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri figli di Dio.

5 GENNAIO

EGLI HA DATO LA SUA VITA PER NOI

1 Gv 3,11-21; Sal 99; Gv 1,43-51

Un solo corpo, una sola vita, una sola legge. Se facciamo due corpi, due vite, due leggi tra noi e Cristo Gesù, allora siamo fuori del mistero della sua salvezza. Cristo Gesù ha dato la vita per noi. Anche noi dobbiamo farci la vita gli uni per gli altri. Come si dona la vita? La via che suggerisce San Paolo è sempre attuale. Lui ci chiede di mettere ogni nostro carisma a beneficio di tutto il corpo, rispettando il fine di esso, non però con modalità nostre, ma vivendo verso tutti la legge della perfetta carità.

Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? Desiderate invece intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (1Cor 12,3-11.27-13,7).

Questa regola va sempre osservata. Si esce da questa regola, non si è più un solo corpo, una sola vita, una sola legge. Più si cresce nella carità e più si divieni capaci di dare tutto di sé per il bene dei fratelli, non solamente le cose spirituali, ma anche quelle materiali, giungendo fino al dono del sangue, con il martirio per essere di perfetto esempio per la fede dei fratelli. Ma questo può avvenire solo se si cresce in Cristo, fino alla perfetta conformazione con Lui. Finché Cristo rimarrà fuori di noi, saremo sempre due corpi, due vite, due leggi, due essi divisi, distanti, separati, mai in comunione.

Poiché questo è il messaggio che avete udito da principio: che ci amiamo gli uni gli altri. Non come Caino, che era dal Maligno e uccise suo fratello. E per quale motivo l’uccise? Perché le sue opere erano malvagie, mentre quelle di suo fratello erano giuste. Non meravigliatevi, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui. In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio.

Se si è un solo corpo e si vede il proprio corpo in necessità e gli si chiede il proprio cuore, è segno che l’amore di Dio non è in noi. Ma se l’amore di Dio non è in noi, neanche noi siamo nel suo amore. Se non siamo nel suo amore, siamo fuori della vita.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vero corpo di Cristo.

6 GENNAIO – EPIFANIA DEL SIGNORE – SOLENNITÀ

CAMMINERANNO LE GENTI ALLA TUA LUCE

Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12

La luce di Gerusalemme è il suo Signore. Quando il suo la illumina, essa è nella luce. Quando il Signore non la illumina, essa precipita nelle tenebre più profonde. Quando il Signore la illumina e quando ritira la sua luce da essa? Il Signore la illumina con la sua presenza, quando essa vive di purissima obbedienza ai suoi Comandamenti, osserva la sua Legge, cammina per i suoi sentieri, segue le sue vie. Quando invece essa si abbandona all’idolatria e all’immoralità precipita in fitte e impenetrabili tenebre. Oggi il Signore annunzia alla città che i popoli cammineranno alla sua luce. Qual è il vero significato di questa profezia? Quale mistero è nascosto in queste parole?

Luce eterna è Dio. Ogni altra luce è partecipazione della sua luce eterna. Se così fosse, la profezia significherebbe che sempre il Signore illuminerà Gerusalemme e sempre tutti i popoli cammineranno illuminati da questa luce partecipata. È una interpretazione che non regge. Il significato della profezia lo possiamo dedurre solo dal suo compimento che è avvenuto molti secoli dopo. Gerusalemme, che è il popolo del Signore, ha “prodotto” un virgulto dalla stirpe di Davide, che nella sua natura e Persona divine è Luce dalla Luce eterna. È Luce consustanziale con la Luce del Padre. Questa luce eterna, che risplende nella carne di Gesù Signore, sarà annunziata a tutti i popoli e chi vuole camminare alla luce di Cristo Gesù, dovrà divenire luce dalla sua Luce e rimanere luce nella sua Luce. Un solo corpo, una sola vita, una sola luce. Questa verità è rivelata dall’Evangelista Giovanni nel Prologo del suo Vangelo.

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità (Gv 1,1-14).

Anche Gerusalemme, se vuole camminare nella luce, deve accogliere la luce che il Padre le dona nel suo Figlio Gesù, convertendosi e divenendo luce dalla Luce, luce nella Luce. Se l’antico popolo del Signore non si converte a questa unica Luce e non diviene e rimane luce in essa, non vi sarà per esso alcun’altra luce. Solo il Verbo Incarnato è la Luce vera che viene per illuminare ogni uomo. Cristo Gesù è la verità di ogni luce. Si è in Lui, si è vera luce. Si è fuori o senza Lui, non si è luce vera.

Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.

Stolto oltre ogni misura è il discepolo di Gesù quando abbandona la sua vera Luce, per lasciarsi illuminare da cerini spenti. A Lui si può applicare la profezia di Geremia:

Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua (Ger 2,13).

Il discepolo abbandona Cristo Luce eterna per un cerino spento che dona solo fumo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci luce nella Luce di Gesù.

7 GENNAIO – BATTESIMO DEL SIGNORE – B

IO STABILIRÒ PER VOI UN’ALLEANZA ETERNA

Is 55,1-11; C Is 12,2.4-6; 1 Gv 5,1-9; Mc 1,7-11

L’acqua che l’uomo deve comprare senza denaro è quella che scaturisce dal nuovo tempo di Dio, che è Cristo Gesù. Anche le cose buone da mangiare sono quelle che ci offre Gesù. Sono il suo corpo e il suo sangue. È suo sangue la l’alleanza eterna stabilita per noi da Dio. L’invito del Padre è luminoso: dobbiamo comprare Cristo Gesù. Dobbiamo mangiare Lui, l’Agnello del nostro riscatto, della nostra liberazione.

Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19,31-37).

Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio». Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi» (Lc 22,14-20).

La nostra alleanza eterna è Cristo. Si entra in questa nuova alleanza divenendo con Cristo una sola vita, un solo corpo, una sola obbedienza, nutrendoci di Lui e dissetandoci di Lui. Mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue nella fede più pura, noi in Lui diveniamo Nuova Alleanza. Alleanza Eterna con il Padre, nello Spirito Santo. Essa consiste nell’essere fatti in Cristo suoi veri figli di adozione e partecipi della sua divina natura. Questo decreto del Padre è per ogni uomo che viene in questo mondo. È per i Giudei e per i Greci. È per i cristiani e per i pagani. È per ogni uomo di qualsiasi cultura e religione. Non c’è Alleanza Eterna con Dio se non in Cristo Gesù.

O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide. Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo d’Israele, che ti onora. Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri. Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.

Se Cristo è l’Alleanza Eterna tra ogni uomo e Dio, vi è peccato più grande del cristiano della cancellazione, negazione, alterazione di questo decreto eterno del Padre che è costata la morte in croce del suo Figlio Unigenito? Un cristiano, chiunque esso sia, che sostituisce Cristo, con qualsiasi altro Dio, vero o anche falso, è reo di morte eterna. Priva l’umanità della sua vera salvezza e redenzione, della sua luce e vita. Abolire e distruggere Cristo dalla via della vita è l’opera diabolica per eccellenza.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci confessare Cristo Gesù.

8 GENNAIO

NON SONO FORSE IO PER TE MEGLIO DI DIECI FIGLI?

1 Sam 1,1-8; Sal 115; Mc 1,14-20

La natura ha delle leggi che nessuno potrà mai cancellare. L’uomo può anche pensare di modificarle, mai vi riuscirà. Non è nei suoi poteri. Può, per satanica tentazione, alterarle, capovolgerle, non rispettarle, distruggerle, ma la natura sempre reclamerà ciò che è suo. Abbiamo mai considerato o riflettuto sulla verità dell’inferno? Ci siamo mai chiesto il perché della sofferenza eterna? Essa è la sofferenza della natura che alterata dal peccato dell’uomo non potrà mai più essere nella sua verità. In eterno la natura piangerà la perdita di se stessa. Chiamata ad essere natura da Dio per il suo Signore, si trova ad essere natura per se stessa, da se stessa, senza più alcuna possibilità di essere per il suo Creatore, il suo Dio, il suo Salvatore e Redentore. Da natura creata per essere dagli altri e per gli altri, è divenuta natura prigioniero di se stessa. Manca della sua verità. Le conseguenze della distruzione della verità della natura sono eterne.

Oggi vi è un attacco contro la natura umana per la sua totale e completa devastazione. La si vuole pilotare, orientare, dirigere vero una sua piena indeterminazione. Si vuole che il maschio non sia più maschio e anche la femmina non più femmina. Si vuole la natura umana senza alcuna sua verità. Ad ognuno l’obbligo, se non vuole piangere per l’eternità il suo non compimento, di non permettere che questo avvenga. Quando si trasgredisce, c’è l’orgoglio della trasgressione, poi viene il pianto eterno della disobbedienza alla Legge del Creatore. Il prima di peccato è sempre gustoso, il dopo di morte è tristemente doloroso. Quanto si sta operando con il gender lo possiamo paragonare alla droga. Quando si assume la droga, vi è il momento dell’euforia. Finita l’euforia inizia la tristezza infinita della devastazione avvenuta nella natura. A volte una sola pillola può anche provocare la morte. Il dopo è sempre frutto del prima. Se quanti si stanno adoperando per la devastazione della natura sapessero quali tristi frutti essi stanno facendo maturare, vestirebbero il sacco e si rotolerebbe in eterno nella cenere. Ma il dopo lo si vede solo nella fede nella Parola del Signore. Il dopo lo si può solo evitare se crediamo nel nostro Creatore. Senza fede nel Creatore la mente è di rame, l’intelligenza di bronzo, il cuore di pietra. Nulla interessa del dopo.

C’era un uomo di Ramatàim, un Sufita delle montagne di Èfraim, chiamato Elkanà, figlio di Ierocàm, figlio di Eliu, figlio di Tocu, figlio di Suf, l’Efraimita. Aveva due mogli, l’una chiamata Anna, l’altra Peninnà. Peninnà aveva figli, mentre Anna non ne aveva. Quest’uomo saliva ogni anno dalla sua città per prostrarsi e sacrificare al Signore degli eserciti a Silo, dove erano i due figli di Eli, Ofni e Fineès, sacerdoti del Signore. Venne il giorno in cui Elkanà offrì il sacrificio. Ora egli soleva dare alla moglie Peninnà e a tutti i figli e le figlie di lei le loro parti. Ad Anna invece dava una parte speciale, poiché egli amava Anna, sebbene il Signore ne avesse reso sterile il grembo. La sua rivale per giunta l’affliggeva con durezza a causa della sua umiliazione, perché il Signore aveva reso sterile il suo grembo. Così avveniva ogni anno: mentre saliva alla casa del Signore, quella la mortificava; allora Anna si metteva a piangere e non voleva mangiare. Elkanà, suo marito, le diceva: «Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?».

Anna è donna e moglie. La maternità è essenza della donna. Lei è stata creata per essere madre della vita. Essere madre è desiderio della sua stessa natura. Non solo soffre per la sua sterilità, ma anche perché umiliata dall’altro moglie del merito, alla quale era stato concesso di partorire figli. Se è “comprensibile” l’insulto della rivale, frutto della sua cattiveria e malvagità, non è comprensibile il marito che le dice: “Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?”. Parola di consolazione più stolta e insipiente non esiste. Il marito è essenza per una donna, ma non è tutta la sua essenza. Le manca la maternità, che è sempre un dono del Signore. Quando vi è una carenza di essenza, non vi sono vie umane di consolazione. La consolazione può venire solo dalla fede, che si trasforma in preghiera accorata al Signore. Ognuno deve sapere ciò che può fare la terra e ciò che necessariamente potrà fare il cielo. Ad ognuno va chiesto il suo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la verità della natura.

 

9 GENNAIO

IO LO OFFRIRÒ AL SIGNORE

1 Sam 1,9-20; C 1 Sam 2,1.4-8; Mc 1,21b-28

La regola di Gesù Signore è eterna e immodificabile: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Questa regola può essere così applicata: “Date alla scienza quello che è della scienza e a Dio quello che è di Dio”; “Date alla natura umana ciò che è della natura umana e alla natura divina ciò che è della natura divina”; “Date alla grazia ciò che è della grazia e alla preghiera ciò che è della preghiera”; “Date alla Chiesa ciò che è della Chiesa e a Cristo Signore ciò che è di Cristo Signore”. Vi sono mille altre modalità e forme per la traduzione e applicazione di questa verità eterna di Gesù Signore. Tutti i danni del mondo sono sempre quando si toglie a Dio ciò che è di Dio per darlo a Satana o all’uomo. Mai questo deve avvenire. Se avviene si introduce nel mondo un principio di morte che sarà di distruzione dell’umanità.

Anna dona a Dio ciò che è di Dio. Ella sa che il dono della maternità è un frutto della sua benedizione. Finora lei non ha goduto della divina benedizione. Ora si reca nella tenda del Dio vivente, del suo Signore e chiede a Dio di essere Dio anche per lei. Glielo chiede in una forma o modalità unica, che non esiste nel resto della Scrittura Santa, né prima e né dopo. E come se Anna dicesse al Signore: “Signore, tu sei il mio Dio, l’Onnipotente. Da te non si può venire da sgarbati, arroganti, prepotenti, superbi. Queste forme non le gradisci. Tu ami solo i cuori umili che si consegnano al tuo volere. Ebbene, io sono pronta ad accogliere ogni tua decisione. Se però tu mi vorrai rendere vera donna, concedendomi il dono di un figlio, io ti renderà vero mio Dio e Signore. Come io ti chiedo il figlio così io lascerò che ti me lo richieda per tutti i giorni della sua vita. Il figlio che mi darai lo consacrerò a te. Lo darò a te, così tutti potranno sapere che solo tu sei il Dio che dona la vita, ogni vita, fin dal grembo materno”. Anno non cerca alla terra ci che deve cercare al Cielo. Dona alla terra cioè che è della terra, ma anche dona a Dio ciò che è di Dio. Ogni frutto del grembo è per benedizione del Signore.

Anna si alzò, dopo aver mangiato e bevuto a Silo; in quel momento il sacerdote Eli stava seduto sul suo seggio davanti a uno stipite del tempio del Signore. Ella aveva l’animo amareggiato e si mise a pregare il Signore, piangendo dirottamente. Poi fece questo voto: «Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita e il rasoio non passerà sul suo capo». Mentre ella prolungava la preghiera davanti al Signore, Eli stava osservando la sua bocca. Anna pregava in cuor suo e si muovevano soltanto le labbra, ma la voce non si udiva; perciò Eli la ritenne ubriaca. Le disse Eli: «Fino a quando rimarrai ubriaca? Smaltisci il tuo vino!». Anna rispose: «No, mio signore; io sono una donna affranta e non ho bevuto né vino né altra bevanda inebriante, ma sto solo sfogando il mio cuore davanti al Signore. Non considerare la tua schiava una donna perversa, poiché finora mi ha fatto parlare l’eccesso del mio dolore e della mia angoscia». Allora Eli le rispose: «Va’ in pace e il Dio d’Israele ti conceda quello che gli hai chiesto». Ella replicò: «Possa la tua serva trovare grazia ai tuoi occhi». Poi la donna se ne andò per la sua via, mangiò e il suo volto non fu più come prima. Il mattino dopo si alzarono e dopo essersi prostrati davanti al Signore, tornarono a casa a Rama. Elkanà si unì a sua moglie e il Signore si ricordò di lei. Così al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto».

Eli, sacerdote custode della tenda, vede Anna che piange dinanzi al Signore e pensa che sia ubriaca. Anna spiega al sacerdote che Lei sta solo manifestando il suo dolore al suo Dio, il solo che possa consolarla. Eli comprende e la conceda con un augurio di grazia. Dopo la preghiera elevata a Dio in pienezza di fede, sempre il cuore trova la sua pace. Ora Anna sa che tutto è dal suo Dio. Se Lui non l’ascolterà avrà i suoi buoni motivi, che non spetta a lei conoscere. La fede non solo è vita secondo la Parola, non solo è richiesta nella preghiera, ma è anche consegna alla sapienza imperscrutabile del Signore. La fede è sempre dare alla volontà dell’uomo ciò che è dalla volontà dell’uomo e alla volontà di Dio ciò che è della volontà di Dio. È la pace vera.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci dalla volontà di Dio.

 

10 GENNAIO

SAMUELE, SAMUELE!

1 Sam 3,1-10.19-20; Sal 39; Mc 1,29-39

La verità annunciata da Cristo Gesù: “Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”, vale anche per Samuele. Lui dalla madre, per un voto prima del suo concepimento, è stato consacrato al Signore e a Lui consegnato per il servizio nella tenda, alle dipendenze del sacerdote Eli. Anna ha adempiuto il suo voto. Essendo ora Samuele del Signore, spetta a Lui farne ciò che vuole. Lo può lasciare nel suo servizio oppure chiamarlo a svolgere altre attività dipendenti direttamente dalla manifestazione della sua divina volontà. Ciò che è di Dio, spetta solo a Lui deciderlo e manifestarlo. Questa verità vale per ogni vocazione. Spetta al chiamato consegnarsi al Signore. Spetta sempre al suo Dio guidare i suoi passi in ogni cosa. Questa verità appare con ogni evidenza in tutti coloro che il Signore ha chiamato, in modo del tutto singolare si manifesta in Cristo Gesù. Sappiamo che Gesù mai è stato dalla sua volontà. Sempre ha dato a Dio ciò che è di Dio. Lui è dal Padre nell’eternità e nel tempo, sempre.

Questa verità va posta nella Chiesa come suo unico e solo cuore. In ogni chiamato o al battesimo, o alla cresima, o al presbitero e anche all’episcopato di essere da se stessi, togliendo a Dio ciò che è di Dio e cioè la sua sovrana volontà su di noi. Se non si dona allo Spirito Santo il governo della mente, del cuore, degli orecchi, della bocca, delle mani, dei piedi, ci si appropria di ciò che è di Dio e mai si potrà donare a Cesare ciò che è di Cesare. All’uomo si può donare ciò che è dell’uomo, solo se si dona a Dio ciò che è di Dio. Gesù ha dato al Padre ciò che era del Padre, tutta la sua vita, ed ha potuto dare all’uomo lo Spirito Santo, la grazia, la verità, ogni altro dono, la vita eterna. Paolo dona allo Spirito i suoi giorni e lo Spirito lo spinge per dare all’uomo il Vangelo della vita. La storia ci attesta che hanno dato all’uomo ciò che è che è dell’uomo: Cristo, il Padre, lo Spirito Santo, la Chiesa, il mistero della salvezza e della redenzione, solo coloro che hanno consegnato tutto di sé a Cristo Signore.

Il giovane Samuele serviva il Signore alla presenza di Eli. La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti. E quel giorno avvenne che Eli stava dormendo al suo posto, i suoi occhi cominciavano a indebolirsi e non riusciva più a vedere. La lampada di Dio non era ancora spenta e Samuele dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio. Allora il Signore chiamò: «Samuele!» ed egli rispose: «Eccomi», poi corse da Eli e gli disse: «Mi hai chiamato, eccomi!». Egli rispose: «Non ti ho chiamato, torna a dormire!». Tornò e si mise a dormire. Ma il Signore chiamò di nuovo: «Samuele!»; Samuele si alzò e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Ma quello rispose di nuovo: «Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!». In realtà Samuele fino ad allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Il Signore tornò a chiamare: «Samuele!» per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuele: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”». Samuele andò a dormire al suo posto. Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: «Samuele, Samuele!». Samuele rispose subito: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta». Samuele crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole. Perciò tutto Israele, da Dan fino a Bersabea, seppe che Samuele era stato costituito profeta del Signore. Il Signore continuò ad apparire a Silo, perché il Signore si rivelava a Samuele a Silo con la sua parola.

Samuele dorme nel tempio. Il Signore lo chiama. Lui non sa che è il Signore e corre da Eli. Questo non lo ha chiamato e lo manda nuovamente a dormire. Solo dopo la terza volta Eli comprende che era il Signore che lo chiamava e gli disse: Torna a dormire. Se ti chiamerà un’altra volta, rispondi: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”. Samuele viene costituito profeta del suo Dio. Il profeta non è colui che è stato dalla Parola del Signore, ma colui che è sempre dalla Parola di Dio. Ora tutto Israele sa che un profeta è in mezzo ad esso. Da parte sua Samuele non fece cadere a vuoto nessuna parola ascoltata. La sua è stata sempre obbedienza perfetta ad ogni comando ricevuto. Chi si dona a Dio, deve essere sempre un dono nelle sue mani.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci dalla divina volontà.

 

11 GENNAIO

L’ARCA DI DIO FU PRESA

1 Sam 4,1-11; Sal 43; Mc 1,40-45

La benedizione non viene al popolo di Dio dalla presenza dell’arca. Viene invece dall’obbedienza e dalla fedeltà al patto dell’alleanza. La vita è dalla Parola, nella Parola. Questa verità è essenza, fondamento della relazione del popolo con il Signore. Ecco come sia il Primo Libro dei Re che il Secondo Libro dei Maccabei ricordano ai figli di Israele questa essenziale, primaria, sostanziale verità. La vita è nell’obbedienza.

Ma se voi e i vostri figli vi ritirerete dal seguirmi, se non osserverete i miei comandi e le mie leggi che io vi ho proposto, se andrete a servire altri dèi e a prostrarvi davanti ad essi, allora eliminerò Israele dalla terra che ho dato loro, rigetterò da me il tempio che ho consacrato al mio nome; Israele diventerà la favola e lo zimbello di tutti i popoli. Questo tempio sarà una rovina; chiunque vi passerà accanto resterà sbigottito, fischierà di scherno e si domanderà: “Perché il Signore ha agito così con questa terra e con questo tempio?”. Si risponderà: “Perché hanno abbandonato il Signore, loro Dio, che aveva fatto uscire i loro padri dalla terra d’Egitto, e si sono legati a dèi stranieri, prostrandosi davanti a loro e servendoli. Per questo il Signore ha fatto venire su di loro tutta questa sciagura”» (1Re 9,6-9).

Antioco si inorgoglì, non comprendendo che il Signore si era sdegnato per breve tempo a causa dei peccati degli abitanti della città e perciò quel luogo era stato abbandonato. Se essi non si fossero trovati implicati in molti peccati, come era avvenuto per Eliodoro, mandato dal re Seleuco a ispezionare la camera del tesoro, anche egli, appena giunto, sarebbe stato subito flagellato e distolto dalla sua audacia. Ma il Signore aveva eletto non già il popolo a causa di quel luogo, ma quel luogo a causa del popolo. Perciò anche il luogo, dopo essere stato coinvolto nelle sventure piombate sul popolo, da ultimo ne condivise i benefici; esso, che per l’ira dell’Onnipotente aveva sperimentato l’abbandono, per la riconciliazione del grande Sovrano fu ripristinato in tutta la sua gloria (2Mac 5,17-20).

Israele viene sconfitto dai Filistei. È segno evidente dell’alleanza infranta, del patto violato. Gli anziani non invitano il popolo a convertirsi. Pensano invece che la presenza dell’arca avrebbe dato loro una grande vittoria. Non solo il popolo non sconfisse i Filistei. In più l’arca fu sottratta e catturata. Israele ora è senza Dio e senza l’arca.

La parola di Samuele giunse a tutto Israele. In quei giorni i Filistei si radunarono per combattere contro Israele. Allora Israele scese in campo contro i Filistei. Essi si accamparono presso Eben‑Ezer mentre i Filistei s’erano accampati ad Afek. I Filistei si schierarono contro Israele e la battaglia divampò, ma Israele fu sconfitto di fronte ai Filistei, e caddero sul campo, delle loro schiere, circa quattromila uomini. Quando il popolo fu rientrato nell’accampamento, gli anziani d’Israele si chiesero: «Perché ci ha sconfitti oggi il Signore di fronte ai Filistei? Andiamo a prenderci l’arca dell’alleanza del Signore a Silo, perché venga in mezzo a noi e ci liberi dalle mani dei nostri nemici». Il popolo mandò subito alcuni uomini a Silo, a prelevare l’arca dell’alleanza del Signore degli eserciti, che siede sui cherubini: c’erano con l’arca dell’alleanza di Dio i due figli di Eli, Ofni e Fineès. Non appena l’arca dell’alleanza del Signore giunse all’accampamento, gli Israeliti elevarono un urlo così forte che ne tremò la terra.

Anche i Filistei udirono l’eco di quell’urlo e dissero: «Che significa quest’urlo così forte nell’accampamento degli Ebrei?». Poi vennero a sapere che era arrivata nel loro campo l’arca del Signore. I Filistei ne ebbero timore e si dicevano: «È venuto Dio nell’accampamento!», ed esclamavano: «Guai a noi, perché non è stato così né ieri né prima. Guai a noi! Chi ci libererà dalle mani di queste divinità così potenti? Queste divinità hanno colpito con ogni piaga l’Egitto nel deserto. Siate forti e siate uomini, o Filistei, altrimenti sarete schiavi degli Ebrei, come essi sono stati vostri schiavi. Siate uomini, dunque, e combattete!». Quindi i Filistei attaccarono battaglia, Israele fu sconfitto e ciascuno fuggì alla sua tenda. La strage fu molto grande: dalla parte d’Israele caddero trentamila fanti. In più l’arca di Dio fu presa e i due figli di Eli, Ofni e Fineès, morirono.

Per noi è facile ridurre Gesù, la Vergine Maria, i Santi, le cose sacre, persino i sacramenti ad amuleti o a oggetti di superstizione. Anche dei ministri sacri e della benedizione si può fare un amuleto o un oggetto di superstizione. La benedizione non è dalla ritualità, ma dall’obbedienza alla Parola. Vive chi ascolta, chi obbedisce.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi fateci obbedienti e fedeli.

12 GENNAIO

HANNO RIGETTATO ME

1 Sam 8,4-7.10-22a; Sal 88; Mc 2,1-12

La santità del nostro Dio si manifesta tutte nelle relazioni con l’uomo, da Lui fatto a sua immagine e somiglianza. La nostra vita è nella volontà di Dio e da essa. Essendo anche noi dotati di volontà, è necessario che diamo a Lui la nostra volontà per essere nella vita. Sempre il Signore ci ha avvisato dei gravissimi danni che si abbattono su di noi, nel caso in cui noi decidessimo di essere dalla nostra volontà e non dalla sua. Anche Gesù ci avverte. Se non siamo dalla sua Parola, Lui non ci conosce né sulla terra e né nell’eternità. Siamo avvisati non dopo, ma prima che le cose accadano.

Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire» (Gen 2,16-17).

Se, nonostante tutto questo, non vorrete darmi ascolto, ma vi opporrete a me, anch’io mi opporrò a voi con furore e vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati. Mangerete perfino la carne dei vostri figli e mangerete la carne delle vostre figlie. Devasterò le vostre alture, distruggerò i vostri altari per l’incenso, butterò i vostri cadaveri sui cadaveri dei vostri idoli e vi detesterò. Ridurrò le vostre città a deserti, devasterò i vostri santuari e non aspirerò più il profumo dei vostri incensi. Devasterò io stesso la terra, e i vostri nemici, che vi prenderanno dimora, ne saranno stupefatti. Quanto a voi, vi disperderò fra le nazioni e sguainerò la spada dietro di voi; la vostra terra sarà desolata e le vostre città saranno deserte (Lev 26,27-33).

Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!” (Mt 7,21-23).

Il popolo decide che vuole essere governato da un re come tutti gli altri popoli. Il Signore non può rifiutarsi di accogliere questa volontà. Avvisa però delle conseguenze nefaste di questa scelta. La storia e l’eternità sempre attestano la purissima verità di ogni parola di Dio. I dannati dell’inferno lo grideranno senza alcuna interruzione.

Si radunarono allora tutti gli anziani d’Israele e vennero da Samuele a Rama. Gli dissero: «Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non camminano sulle tue orme. Stabilisci quindi per noi un re che sia nostro giudice, come avviene per tutti i popoli». Agli occhi di Samuele la proposta dispiacque, perché avevano detto: «Dacci un re che sia nostro giudice». Perciò Samuele pregò il Signore. Il Signore disse a Samuele: «Ascolta la voce del popolo, qualunque cosa ti dicano, perché non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di loro. Samuele riferì tutte le parole del Signore al popolo che gli aveva chiesto un re. Disse: «Questo sarà il diritto del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre davanti al suo cocchio, li farà capi di migliaia e capi di cinquantine, li costringerà ad arare i suoi campi, mietere le sue messi e apprestargli armi per le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri.

Prenderà anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. Prenderà pure i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li darà ai suoi ministri. Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi cortigiani e ai suoi ministri. Vi prenderà i servi e le serve, i vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori. Metterà la decima sulle vostre greggi e voi stessi diventerete suoi servi. Allora griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà». Il popolo rifiutò di ascoltare la voce di Samuele e disse: «No! Ci sia un re su di noi. Saremo anche noi come tutti i popoli; il nostro re ci farà da giudice, uscirà alla nostra testa e combatterà le nostre battaglie». Samuele ascoltò tutti i discorsi del popolo e li riferì all’orecchio del Signore. Il Signore disse a Samuele: «Ascoltali: lascia regnare un re su di loro».

Il popolo non ascolta il suo Dio. Esso vuole un re. Il re è dato loro. Le conseguenze di questa scelta saranno un vero disastro. Ogni parola proferita dal Signore si è compiuta. Purtroppo Dio può solo dire cosa avverrà se si esce dalla sua volontà. Non può però privare l’uomo della sua volontà. Se lo facesse, l’uomo non sarebbe più uomo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci dalla volontà di Dio.

13 GENNAIO

GLIELA VERSÒ SULLA TESTA

1 Sam 9,1-4.17-19; 10,1a; Sal 20; Mc 2,13-17

Il Signore governa la storia non solo per via diretta, ma anche per via indiretta, attraverso gli eventi della storia. Samuele deve scegliere un re per il suo popolo. Chi scegliere? Dove sceglierlo? Da quale tribù prenderlo? Non lo sa. Il Signore non glielo ha rivelato. La storia viene in suo aiuto attraverso delle asine che si smarriscono. Le asine sono di Kis. Questi manda il figlio Saul a cercarle. Saul è persona prestante e bello. Nessuno è più bello di lui tra gli Israeliti. Supera dalla spalla un sui ogni altro del popolo. Il Signore lo sceglie come suo primo re da porre al governo del popolo.

Volendo Saul trovare le asine del padre, giunge fino alla casa dove abitava Samuele. Questi subito fu avvisato dal Signore che dinanzi ai suoi occhi vi era il futuro re d’Israele: “Ecco l’uomo di cui ti ho parlato; costui reggerà il mio popolo”. Quando Saul gli si accostò per chiedere di indicargli la casa del veggente, Samuele rispose: “Sono io il veggente. Precedimi su, all’altura. Oggi voi due mangerete con me. Ti congederò domani e ti darò indicazioni su tutto ciò che hai mente. Samuele prese allora l’ampolla dell’olio e gliela versò sulla testa”. Così Saul venne consacrato re d’Israele.

Come si può constatare, nonostante Israele avesse rigettato il Signore come suo re, il Signore non rigetta il suo popolo. Non lo abbandona a se stesso. Agisce nei suoi confronti sempre da Signore, Dio, Padre misericordioso e pietoso. Vuole il bene migliore per esso. È verità eterna e indistruttibile. Mai Dio smetterà di agire da vero Dio verso l’umanità. Mai cambierà la sua natura di amore e di santità. Mai opererà come opere l’uomo, che spesso si dimette dal suo essere uomo per assumere l’essere del diavolo. Il limite di Dio è solo la volontà ostinata, superba, ribelle dell’uomo che rifiuta l’amore di Dio e si imprigiona nella durezza di cuore e di mente, condannandosi alla morte eterna. Ma fino all’ultimo istante, prima della morte, sempre il Signore si rivela come Padre di misericordia e di bontà e chiede all’uomo di volersi riconciliare con Lui.

C’era un uomo della tribù di Beniamino, chiamato Kis, figlio di Abièl, figlio di Seror, figlio di Becoràt, figlio di Afìach, un Beniaminita, uomo di valore. Costui aveva un figlio chiamato Saul, prestante e bello: non c’era nessuno più bello di lui tra gli Israeliti; superava dalla spalla in su chiunque altro del popolo. Ora le asine di Kis, padre di Saul, si smarrirono, e Kis disse al figlio Saul: «Su, prendi con te uno dei domestici e parti subito in cerca delle asine». Attraversarono le montagne di Èfraim, passarono al territorio di Salisà, ma non le trovarono. Si recarono allora nel territorio di Saalìm, ma non c’erano; poi percorsero il territorio di Beniamino e non le trovarono. Quando Samuele vide Saul, il Signore gli confermò: «Ecco l’uomo di cui ti ho parlato: costui reggerà il mio popolo». Saul si accostò a Samuele in mezzo alla porta e gli chiese: «Indicami per favore la casa del veggente». Samuele rispose a Saul: «Sono io il veggente. Precedimi su, all’altura. Oggi voi due mangerete con me. Ti congederò domani mattina e ti darò indicazioni su tutto ciò che hai in mente. Samuele prese allora l’ampolla dell’olio e gliela versò sulla testa,

È giusto che ogni uomo impari dal suo Dio come relazionarsi con i suoi fratelli. Gli altri potranno rigettare noi, offenderci, rifiutarci, rinnegarci, anche ucciderci. Noi invece dobbiamo rimanere sempre nella nostra più perfetta umanità di amore, verità, misericordia, pietà, perdono, riconciliazione. A noi spetta rispondere sempre al male con il più grande bene. Mai dobbiamo cadere alla nostra vera umanità, perché mai Dio cade dalla sua vera divinità. Sempre dobbiamo essere a sua immagine e somiglianza.

La tua forza infatti è il principio della giustizia, e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti. Mostri la tua forza quando non si crede nella pienezza del tuo potere, e rigetti l’insolenza di coloro che pur la conoscono. Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere. Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento (Sap 12,16-19).

Quest’altissimo insegnamento della Sapienza sempre deve essere vissuto da ogni uomo. L’uomo manifesta la sua verità nel perdono, nella riconciliazione, nell’amore.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri nella nostra umanità.

14 GENNAIO – II DOMENICA T.O. – B

SAMUELE CREBBE E IL SIGNORE FU CON LUI

1 Sam 3,3b-10.19; Sal. 39; 1 Cor 6,13c-15a.17-20; Gv 1,35-42

Possiamo dire che gli eventi sono la “matita” con la quale il Signore scrive Lui poi direttamente la sua storia. Ogni uomo di Dio deve porre ogni attenzione a non sciupare nessun evento, neanche il più banale ai suoi occhi. Ogni momento della sua vita deve essere colmo di saggezza, intelligenza, luce di Spirito Santo, amore, verità, preghiera. Anna è donna sterile. Lei vive questo evento nella sofferenza. Se fosse rimasta chiusa nel suo dolore, sarebbe rimasta sterile in eterno. La sua storia si sarebbe consumata nel suo dolore. Invece lei vive questo evento nella grandissima fede. Sa che il suo Dio è Onnipotente e che il frutto del grembo, ogni frutto, è dono della sua benedizione. Con umile preghiera glielo chiede. Lui può. Se vuole, può farla divenire madre.

Anna avrebbe potuto imprigionare l’evento della sua maternità nel suo egoismo. Sono divenuta madre, ho raggiunto il fine della mia vita. Posso trascorrere i miei giorni nella pace. Invece anche questa evento, vitale per lei, lo vive nella fede più santa. Promette al Signore che a Lui avrebbe consacrato il frutto del suo grembo. Così l’evento nasce dalla fede, rimane nella fede, vive nella fede. Un solo evento vissuto senza fede, non consegnato alla fede, priva il Signore della “matita” e Lui non potrà più scrivere la storia della salvezza e della redenzione per mezzo di lui. Per questo è chiesto ad ogni uomo di porre somma attenzione perché ogni evento da quello colmo di indicibile sofferenza a quello pieno di grandissima gioia, sempre sia vissuto nella fede e consegnato alla fede. San Paolo ci avvisa che quanto non viene dalla fede è peccato. Ogni evento, anche il più semplice, sempre va vissuto in pienezza di fede.

D’ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri; piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo o di scandalo per il fratello. Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è impuro in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come impuro, per lui è impuro. Ora se per un cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo carità. Non mandare in rovina con il tuo cibo colui per il quale Cristo è morto! Non divenga motivo di rimprovero il bene di cui godete! Il regno di Dio infatti non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi si fa servitore di Cristo in queste cose è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. Cerchiamo dunque ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole. Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo! Tutte le cose sono pure; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. Perciò è bene non mangiare carne né bere vino né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi. La convinzione che tu hai, conservala per te stesso davanti a Dio. Beato chi non condanna se stesso a causa di ciò che approva. Ma chi è nel dubbio, mangiando si condanna, perché non agisce secondo coscienza; tutto ciò, infatti, che non viene dalla coscienza è peccato (Rm 14,13-23).

Samuele è chiamato dal Signore. La chiamata da sola non basta per essere lui perfetta persona di fede. È necessario che ogni Parola di Dio sia da lui trasformata in fede. La rivelazione ci attesta che Lui non fece cadere a vuoto nessuna parola del suo Dio.

Samuele dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio. Allora il Signore chiamò: «Samuele!» ed egli rispose: «Eccomi», poi corse da Eli e gli disse: «Mi hai chiamato, eccomi!». Egli rispose: «Non ti ho chiamato, torna a dormire!». Tornò e si mise a dormire. Ma il Signore chiamò di nuovo: «Samuele!»; Samuele si alzò e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Ma quello rispose di nuovo: «Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!». In realtà Samuele fino ad allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Il Signore tornò a chiamare: «Samuele!» per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuele: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”». Samuele andò a dormire al suo posto. Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: «Samuele, Samuele!». Samuele rispose subito: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta». Samuele crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole.

Gli uomini di Dio questo sanno fare: trasformare in fede e obbedienza ogni Parola del loro Signore. Nessun evento, nessuna relazione da essi è posta fuori della Parola.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci persone di obbedienza.

15 GENNAIO

ECCO, OBBEDIRE È MEGLIO DEL SACRIFICIO

1 Sam 15,16-23; Sal 49; Mc 2,18-22

Dio è il Creatore dell’uomo non solamente agli inizi della sua origine. È il Creatore sempre. Vi è una sola definizione vera sull’uomo, tutte le altre sono false: “L’uomo è la perenne, ininterrotta, sempre attuale creazione di Dio”. In tal senso va completata la parola del Salmo con quella del profeta. Il Salmo parla al passato: “Egli ci ha fatti e noi siamo suoi”. Il profeta invece parola al presenta: “Noi siamo argilla e Tu colui che ci dai forma”. Il Signore ci da forma, creandoci oggi, formandoci oggi, modellandoci oggi.

Acclamate il Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza. Riconoscete che solo il Signore è Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo. Varcate le sue porte con inni di grazie, i suoi atri con canti di lode, lodatelo, benedite il suo nome; perché buono è il Signore, il suo amore è per sempre, la sua fedeltà di generazione in generazione (Sal 100 (99) 1-5).

Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità. Perché gli empi hanno calpestato il tuo santuario, i nostri avversari hanno profanato il tuo luogo santo? Siamo diventati da tempo gente su cui non comandi più, su cui il tuo nome non è stato mai invocato. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti, come il fuoco incendia le stoppie e fa bollire l’acqua, perché si conosca il tuo nome fra i tuoi nemici, e le genti tremino davanti a te. Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani (Is 63,17-64,7).

Saul vuole avere il governo della storia. Vuole lui fare il suo popolo. Questo non appartiene a lui. Un re deve sempre sapere ciò che è da lui e ciò che è dal Signore. Poiché lui ha escluso il Signore dalla sua vita, il Signore rigetta lui come suo re.

Rispose Samuele a Saul: «Lascia che ti annunci ciò che il Signore mi ha detto questa notte». E Saul gli disse: «Parla!». Samuele continuò: «Non sei tu capo delle tribù d’Israele, benché piccolo ai tuoi stessi occhi? Il Signore non ti ha forse unto re d’Israele? Il Signore ti aveva mandato per una spedizione e aveva detto: “Va’, vota allo sterminio quei peccatori di Amaleciti, combattili finché non li avrai distrutti”. Perché dunque non hai ascoltato la voce del Signore e ti sei attaccato al bottino e hai fatto il male agli occhi del Signore?». Saul insisté con Samuele: «Ma io ho obbedito alla parola del Signore, ho fatto la spedizione che il Signore mi ha ordinato, ho condotto Agag, re di Amalèk, e ho sterminato gli Amaleciti. Il popolo poi ha preso dal bottino bestiame minuto e grosso, primizie di ciò che è votato allo sterminio, per sacrificare al Signore, tuo Dio, a Gàlgala». Samuele esclamò: «Il Signore gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l’obbedienza alla voce del Signore? Ecco, obbedire è meglio del sacrificio, essere docili è meglio del grasso degli arieti. Sì, peccato di divinazione è la ribellione, e colpa e terafìm l’ostinazione. Poiché hai rigettato la parola del Signore, egli ti ha rigettato come re».

Saul non è argilla nelle mani del Signore. Non si lascia plasmare dal suo Dio. Lui prende il posto di Dio e vuole plasmare il popolo che non è suo, perché è del Signore. Viene rigettato come re per la sua ribellione e insubordinazione. Chi vuole plasmare, come strumento di Dio, il popolo a lui affidato, senza alcuna interruzione dovrà lui per primo lasciarsi plasmare, formare dal suo Signore. Lui potrà formare nella misura in cui si lascia formare. Saul non obbedisce a Dio. Si plasma da se stesso, forma gli altri secondo il suo cuore. Questa politica non appartiene a Dio, perché forma un popolo senza alcun riferimento al suo Creatore e Signore. Senza obbedienza a Samuele, che è il solo punto di riferimento tra il re e Dio, il fallimento nel governo è totale, pieno.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci per ogni obbedienza.

16 GENNAIO

UNGERAI PER ME COLUI CHE IO TI DIRÒ

1 Sam 16,1-13; Sal 88; Mc 2,23-28

Samuele riceve un ordine ben preciso, perfetto, dal suo Signore. Prima di ogni cosa lui mai dovrà essere dal cuore più misericordioso di quello del suo Dio. Se a Dio una cosa non piace, neanche a Lui dovrà piacere. Se Dio una cosa la ripudia, anche lui dovrà ripudiarla. Come Mosè potrà pregare Dio perché “si penta della sua decisione” e ritorni sui suoi passi. Ma se il Signore “non si pente”, ogni sua decisione dovrà divenire legge per ogni cuore. Su ogni decisione storica del Signore, il profeta potrà solo pregare. Poi però quando viene l’ora dell’obbedienza, si deve solo obbedire. Il profeta è da Dio.

“Signore Dio, tu hai cominciato a mostrare al tuo servo la tua grandezza e la tua mano potente; quale altro Dio, infatti, in cielo o sulla terra, può fare opere e prodigi come i tuoi? Permetti che io passi al di là e veda la bella terra che è oltre il Giordano e questi bei monti e il Libano”. Ma il Signore si adirò contro di me, per causa vostra, e non mi esaudì. Il Signore mi disse: “Basta, non aggiungere più una parola su questo argomento. Sali sulla cima del Pisga, volgi lo sguardo a occidente, a settentrione, a mezzogiorno e a oriente, e contempla con gli occhi; perché tu non attraverserai questo Giordano. Trasmetti i tuoi ordini a Giosuè, rendilo intrepido e incoraggialo, perché lui lo attraverserà alla testa di questo popolo e metterà Israele in possesso della terra che vedrai” (Dt 3,23-28).

Ora è giunta l’ora dell’ascolto e lui dovrà ascoltare. Dovrà recarsi nella casa di Iesse, in Betlemme, per urgere come re la persona che Lui, il Signore, gli avrebbe indicato. Il Signore non permette che Samuele sia tentato dai suoi occhi e gli fa scartare tutti e sei i figli che il padre gli ha presentato. Su nessuno di quei giovani era caduta la scelta del Signore. Eppure la parola era stata chiara: “Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re”. Poiché la Parola di Dio è sempre purissima verità, di sicuro vi sarà qualche altro figlio non presente. È quanto viene chiesto al padre: “Sono qui tutti i giovani?”. La risposta conferma la verità della parola di Dio: “Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge”. Agli occhi del padre Davide era solo un ragazzo. Agli occhi di Dio era il re del suo popolo. Differenza di visione tra gli occhi di Dio e quelli degli uomini. Veramente Dio vede il cuore. Mai guarda le apparenza e mai sceglie da esse. Dovrebbe valere anche per noi. Ma chi possiede gli occhi di Dio?

Il Signore disse a Samuele: «Fino a quando piangerai su Saul, mentre io l’ho ripudiato perché non regni su Israele? Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re». Samuele rispose: «Come posso andare? Saul lo verrà a sapere e mi ucciderà». Il Signore soggiunse: «Prenderai con te una giovenca e dirai: “Sono venuto per sacrificare al Signore”. Inviterai quindi Iesse al sacrificio. Allora io ti farò conoscere quello che dovrai fare e ungerai per me colui che io ti dirò». Samuele fece quello che il Signore gli aveva comandato e venne a Betlemme; gli anziani della città gli vennero incontro trepidanti e gli chiesero: «È pacifica la tua venuta?». Rispose: «È pacifica. Sono venuto per sacrificare al Signore. Santificatevi, poi venite con me al sacrificio». Fece santificare anche Iesse e i suoi figli e li invitò al sacrificio. Quando furono entrati, egli vide Eliàb e disse: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore». Iesse chiamò Abinadàb e lo presentò a Samuele, ma questi disse: «Nemmeno costui il Signore ha scelto». Iesse fece passare Sammà e quegli disse: «Nemmeno costui il Signore ha scelto». Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto nessuno di questi». Samuele chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose Iesse: «Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge». Samuele disse a Iesse: «Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto. Disse il Signore: «Àlzati e ungilo: è lui!». Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi. Samuele si alzò e andò a Rama.

Appena Davide entra in casa, il Signore neanche dona a Samuele il tempo di concepire un solo pensiero. Il suo ordine è immediato: “Àlzati e ungilo: è lui”.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci occhi limpidi e puri.

17 GENNAIO

IO VENGO A TE NEL NOME DEL SIGNORE

1 Sam 17,32-33.37.40-51; Sal 143; Mc 3,1-6

Ogni evento degli uomini di Dio nasce dalla fede, è realizzato nella fede, è concluso nella fede. Per fede Davide chiede di essere mandato a combattere contro il gigante Golia. Per fede lo abbatte. Dopo la vittoria, rimane ancora nella fede, poiché sa che non è stata opera sua, ma solo del suo Signore. Quando un solo momento di ogni nostra azione non è frutto di una purissima fede, sempre si pecca di orgoglio, superbia, vanità, stoltezza. Si cade anche nel peccato di idolatria, dal momento che si attribuisce alla carne ciò che invece è dalla grazia. Il mondo intero deve sapere che non è Davide che abbatte il gigante, ma solo il Signore. Lo potrà sapere esaminando le forme storiche degli eventi. Davide non si presenta dinanzi a Golia armato come un soldato, ma come un umile pastore. Porta con sé una fionda, cinque pietre, un bastone.

Le forme storiche sono essenziali perché possa salire a Dio ogni gloria. Non è per umane capacità che si abbatte un gigante che incute terrore e presso il quale neanche ci si può avvicinare. Che solo il Signore, anche se si è servito della fionda di Davide, abbia ucciso Golia lo attesta l’altro evento: la pietra è scagliata dalla fionda, ma è guidata invisibilmente dal Signore perché colpisca il gigante nell’unica parte del corpo che è letale per ogni uomo: “la fronte”. La pietra si infisse in essa più che proiettile. Ogni uomo di Dio in ogni momento del suo agire deve poter sempre manifestare che è solo Dio che opera, perché solo a Lui salga ogni onore e ogni merito. Solo Lui risulti operatori di prodigi. Solo a Lui ci si converta. L’uomo deve restarne fuori.

Davide disse a Saul: «Nessuno si perda d’animo a causa di costui. Il tuo servo andrà a combattere con questo Filisteo». Saul rispose a Davide: «Tu non puoi andare contro questo Filisteo a combattere con lui: tu sei un ragazzo e costui è uomo d’armi fin dalla sua adolescenza». Davide aggiunse: «Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell’orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo». Saul rispose a Davide: «Ebbene va’ e il Signore sia con te». Poi prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nella sua sacca da pastore, nella bisaccia; prese ancora in mano la fionda e si avvicinò al Filisteo.

Il Filisteo avanzava passo passo, avvicinandosi a Davide, mentre il suo scudiero lo precedeva. Il Filisteo scrutava Davide e, quando lo vide bene, ne ebbe disprezzo, perché era un ragazzo, fulvo di capelli e di bell’aspetto. Il Filisteo disse a Davide: «Sono io forse un cane, perché tu venga a me con un bastone?». E quel Filisteo maledisse Davide in nome dei suoi dèi. Poi il Filisteo disse a Davide: «Fatti avanti e darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche». Davide rispose al Filisteo: «Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d’Israele, che tu hai sfidato. In questo stesso giorno, il Signore ti farà cadere nelle mie mani. Io ti abbatterò e ti staccherò la testa e getterò i cadaveri dell’esercito filisteo agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche; tutta la terra saprà che vi è un Dio in Israele.

Tutta questa moltitudine saprà che il Signore non salva per mezzo della spada o della lancia, perché del Signore è la guerra ed egli vi metterà certo nelle nostre mani». Appena il Filisteo si mosse avvicinandosi incontro a Davide, questi corse a prendere posizione in fretta contro il Filisteo. Davide cacciò la mano nella sacca, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo in fronte. La pietra s’infisse nella fronte di lui che cadde con la faccia a terra. Così Davide ebbe il sopravvento sul Filisteo con la fionda e con la pietra, colpì il Filisteo e l’uccise, benché Davide non avesse spada. Davide fece un salto e fu sopra il Filisteo, prese la sua spada, la sguainò e lo uccise, poi con quella gli tagliò la testa. I Filistei videro che il loro eroe era morto e si diedero alla fuga.

I cristiani oggi hanno dinanzi ai loro occhi il gigante mondo che li sta sfidando. Come i figli di Israele, compreso il loro re, hanno paura. Non accolgono la sfida. Urge che il Signore mandi loro un nuovo Davide forte della sua fede. Questa basta per abbattere il gigante mondo. Al nostro Dio serve solo una pietra e una fionda e colui che sa usare la fionda. Ogni altra cosa sarà Lui a farla. La fionda necessaria è lo Spirito Santo. La Pietra è Cristo Gesù e la sua Parola. La mano però è l’uomo ricco di fede.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci mano del Signore.

 

18 GENNAIO

PERCHÉ PECCHI CONTRO UN INNOCENTE

1 Sam 18,6-9; 19,1-7; Sal 55; Mc 3,7-12

Saul è posseduto da uno spirito sovrumano cattivo che si manifesta in lui come spirito di gelosia e di omicidio. Vedendo Saul come un nemico, vuole ad ogni costo la sua morte. Lui troverà pace solo quando Davide sarà stato eliminato.

Lo spirito del Signore si era ritirato da Saul ed egli veniva atterrito da uno spirito cattivo, da parte del Signore (1Sam 16, 14). Allora i servi di Saul gli dissero: “Vedi, un cattivo spirito sovrumano ti turba (1Sam 16, 15). Comandi il signor nostro ai ministri che gli stanno intorno e noi cercheremo un uomo abile a suonare la cetra. Quando il sovrumano spirito cattivo ti investirà, quegli metterà mano alla cetra e ti sentirai meglio” (1Sam 16, 16). Quando dunque lo spirito sovrumano investiva Saul, Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui (1Sam 16, 23). Il giorno dopo, un cattivo spirito sovrumano s’impossessò di Saul, il quale si mise a delirare in casa. Davide suonava la cetra come i giorni precedenti e Saul teneva in mano la lancia (1Sam 18, 10). Ma un sovrumano spirito cattivo si impadronì di Saul. Egli stava in casa e teneva in mano la lancia, mentre Davide suonava la cetra (1Sam 19, 9).

È cosa buona che noi comprendiamo le modalità di azione di questo spirito cattivo sovrumano. In un primo tempo lasciava a Saul spazi di serenità e in questi momenti era ben disposto verso Davide. Poi s’impossessava del re e questi voleva, desiderava, cercava la morte di Davide. Perché lo spirito cattivo lasciava questi spazi senza azione diretta? Per riuscire nella sua satanica volontà di uccidere Davide. Infatti se lo spirito cattivo si fosse manifestato senza alcuna interruzione, Davide si sarebbe allontanato e sarebbe stato difficile ucciderlo. Invece lo spirito cattivo abbandonava Saul per qualche istante. Si lascava convincere che non era giusto uccidere colui che aveva fatto del bene a tutto Israele. Davide si avvicinava al re, lo spirito cattivo subito agiva in Saul e Davide era esposto continuamente alla morte. Se il Signore non lo avesse protetto e custodito, la sua morte sarebbe avvenuta in modo fulmineo, senza alcuna possibilità di scampo. Queste sono le astuzie del diavolo. Si ritira per farti pensare che lui non esista o che non ci sia più, poi in un istante ti manda in perdizione. È la sua astuzia.

Al loro rientrare, mentre Davide tornava dall’uccisione del Filisteo, uscirono le donne da tutte le città d’Israele a cantare e a danzare incontro al re Saul, accompagnandosi con i tamburelli, con grida di gioia e con sistri. Le donne cantavano danzando e dicevano: «Ha ucciso Saul i suoi mille e Davide i suoi diecimila». Saul ne fu molto irritato e gli parvero cattive quelle parole. Diceva: «Hanno dato a Davide diecimila, a me ne hanno dati mille. Non gli manca altro che il regno». Così da quel giorno in poi Saul guardava sospettoso Davide. Saul comunicò a Giònata, suo figlio, e ai suoi ministri di voler uccidere Davide. Ma Giònata, figlio di Saul, nutriva grande affetto per Davide. Giònata informò Davide dicendo: «Saul, mio padre, cerca di ucciderti. Sta’ in guardia domani, sta’ al riparo e nasconditi. Io uscirò e starò al fianco di mio padre nella campagna dove sarai tu e parlerò in tuo favore a mio padre. Ciò che vedrò te lo farò sapere». Giònata parlò dunque a Saul, suo padre, in favore di Davide e gli disse: «Non pecchi il re contro il suo servo, contro Davide, che non ha peccato contro di te, che anzi ha fatto cose belle per te. Egli ha esposto la vita, quando abbatté il Filisteo, e il Signore ha concesso una grande salvezza a tutto Israele. Hai visto e hai gioito. Dunque, perché pecchi contro un innocente, uccidendo Davide senza motivo?». Saul ascoltò la voce di Giònata e giurò: «Per la vita del Signore, non morirà!». Giònata chiamò Davide e gli riferì questo colloquio. Poi Giònata introdusse presso Saul Davide, che rimase alla sua presenza come prima.

Giònata convince il padre perché non pecchi contro una persona innocente. Poiché in questo momento Saul non è sotto azione dello spirito sovrumano cattivo, si convince e promette che non farà nessun male a Davide. Poiché né Giònata né Davide hanno ancora compreso le astuzie dello spirito del male, Davide rimane alla presenza di Saul. È come se si mettesse nella bocca del leone. Da un istante all’altro il leone potrebbe serrare le mascelle e sarebbe la morte. Quando Davide comprende che non ci si può fidare del re, decide si allontanarsi dalla sua presenza. Sappiamo che per non essere ucciso si rifugia presso i nemici di Israele che sono i Filistei.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, custoditeci da ogni male.

 

19 GENNAIO

PERCHÉ È IL CONSACRATO DEL SIGNORE

1 Sam 24,3-21; Sal 56; Mc 3,13-19

Saul con il suo esercito cerca Davide per ucciderlo. Davide ha l’occasione propizia per uccidere Saul, ma si guarda bene dallo stendere la mano sul consacrato del Signore. Così agendo rivela al mondo intero che ogni uomo può sempre mettere in salvo la sua vita, anche con la fuga dai pericoli che la sovrastano, mai però può togliere la vita al nemico, specie se il nemico è il re, l’unto del suo Dio. Urge possedere per questo una visione altissima di fede per astenersi dal fare il male. II soldati che sono con lui non hanno questa visione alta e vorrebbero uccidere il re e finirla con la fuga una volta per sempre. Essi sanno che Saul mai si sarebbe svestito della sua cattiveria.

Che forse vi è un solo uomo che si sveste della cattiveria? Spetta ad ognuno di noi trovare quelle giuste e sante vie perché l’altro non ci faccia del male. La prima via è senz’altro quella di non fare noi mai il male. Rimanendo nel bene saremo sempre protetti e custoditi sotto la potente mano del Signore Dio nostro. Via essenziale è anche la preghiera. Nulla è più potente dal chiedere al Signore che ci liberi dal male. Ci liberi cioè dal fare noi il male agli altri, ma anche dal male che altri potrebbero volerci fare. Via sempre efficace è l’elemosina. Le opere di carità sono una corazza sicuro che ci custodisce dal male. Noi facciamo il bene. Dio ci fa il bene.

Saul scelse tremila uomini valorosi in tutto Israele e partì alla ricerca di Davide e dei suoi uomini di fronte alle Rocce dei Caprioli. Arrivò ai recinti delle greggi lungo la strada, ove c’era una caverna. Saul vi entrò per coprire i suoi piedi, mentre Davide e i suoi uomini se ne stavano in fondo alla caverna. Gli uomini di Davide gli dissero: «Ecco il giorno in cui il Signore ti dice: “Vedi, pongo nelle tue mani il tuo nemico: trattalo come vuoi”». Davide si alzò e tagliò un lembo del mantello di Saul, senza farsene accorgere. Ma ecco, dopo aver fatto questo, Davide si sentì battere il cuore per aver tagliato un lembo del mantello di Saul. Poi disse ai suoi uomini: «Mi guardi il Signore dal fare simile cosa al mio signore, al consacrato del Signore, dallo stendere la mano su di lui, perché è il consacrato del Signore». Davide a stento dissuase con le parole i suoi uomini e non permise loro che si avventassero contro Saul. Saul uscì dalla caverna e tornò sulla via. Dopo questo fatto, Davide si alzò, uscì dalla grotta e gridò a Saul: «O re, mio signore!». Saul si voltò indietro e Davide si inginocchiò con la faccia a terra e si prostrò. Davide disse a Saul: «Perché ascolti la voce di chi dice: “Ecco, Davide cerca il tuo male”? Ecco, in questo giorno i tuoi occhi hanno visto che il Signore ti aveva messo oggi nelle mie mani nella caverna; mi si diceva di ucciderti, ma ho avuto pietà di te e ho detto: “Non stenderò le mani sul mio signore, perché egli è il consacrato del Signore”.

Guarda, padre mio, guarda il lembo del tuo mantello nella mia mano: quando ho staccato questo lembo dal tuo mantello nella caverna, non ti ho ucciso. Riconosci dunque e vedi che non c’è in me alcun male né ribellione, né ho peccato contro di te; invece tu vai insidiando la mia vita per sopprimerla. Sia giudice il Signore tra me e te e mi faccia giustizia il Signore nei tuoi confronti; ma la mia mano non sarà mai contro di te. Come dice il proverbio antico: “Dai malvagi esce il male, ma la mia mano non sarà contro di te”. Contro chi è uscito il re d’Israele? Chi insegui? Un cane morto, una pulce. Il Signore sia arbitro e giudice tra me e te, veda e difenda la mia causa e mi liberi dalla tua mano». Quando Davide ebbe finito di rivolgere a Saul queste parole, Saul disse: «È questa la tua voce, Davide, figlio mio?». Saul alzò la voce e pianse. Poi continuò rivolto a Davide: «Tu sei più giusto di me, perché mi hai reso il bene, mentre io ti ho reso il male. Oggi mi hai dimostrato che agisci bene con me e che il Signore mi aveva abbandonato nelle tue mani e tu non mi hai ucciso. Quando mai uno trova il suo nemico e lo lascia andare sulla buona strada? Il Signore ti ricompensi per quanto hai fatto a me oggi. Ora, ecco, sono persuaso che certamente regnerai e che sarà saldo nelle tue mani il regno d’Israele.

Dopo che Davide ha manifestato a Saul che avrebbe potuto ucciderle e non lo ha fatto, vi è nel re un momento di convincimento del suo comportamento non retto. Ma è solo un momento. Attualmente è senza lo spirito sovrumano cattivo. Non appena lo spirito tornerà a tormentarlo con la gelosia, di nuovo comincerà l’inseguimento nella volontà di sopprimere Davide. Mai ci si deve fidare di chi cade sotto il potere di Satana. La volontà di bene dura solo un istante. Poi governa e impera la volontà di male.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, liberateci da ogni ingiustizia.

 

20 GENNAIO

COME SONO CADUTI GLI EROI?

2 Sam 1,1-4.11-12.19.23-27; Sal 79; Mc 3,20-21

Davide in ogni circostanza attesta e rivela la nobiltà del suo cuore. Il re assieme a Giònata sono moti sul monte Gelboe, combattendo contro i Filistei. Lui non gioisce della morte di colui che lo perseguitava. Neanche pensa che ormai è lui il re d’Israele. Lui vede la morte di due persone che erano nel suo cuore, in modo del tutto speciale Giònata e intona un lamento su di loro. Celebra le loro gesta. Li proclama eroi. Vuole che così vengano sempre ricordati. È come se Saul fosse inglobato e divenuto una cosa sola con Giònata, il suo grande amico che lo ha salvato da sicura morte.

Davide comincia a introdurre un pensiero nuovo in Israele. Con lui comincia a farsi strada la legge dell’amore dei nemici, o almeno dal trattenersi dal fare loro del male. Lui capovolge sia la legge di Lamec che quella del taglione. Nel cuore dell’uomo sempre deve esserci spazio per la misericordia, la pietà, la compassione, il rispetto.

Lamec disse alle mogli: «Ada e Silla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamec, porgete l’orecchio al mio dire. Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette» (Gen 4,23-24).

Quando alcuni uomini litigano e urtano una donna incinta, così da farla abortire, se non vi è altra disgrazia, si esigerà un’ammenda, secondo quanto imporrà il marito della donna, e il colpevole pagherà attraverso un arbitrato. Ma se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido (Es 21,22-25).

La grandezza di un uomo è solo una: elevare l’umanità nella più grande legge del bene, secondo purissimo rispetto della verità del solo suo vero Dio, Creatore e Signore. Possiamo dire che con Davide il popolo fa un passaggi sostanziale dall’antica rozzezza di una giustizia umana senza vera e perfetta giustizia divina, ad un amore divino che supera ogni legge di umana giustizia. Sappiamo che quando verrà Cristo Signore eleverà l’umanità al sommo della sua verità e carità, perché mostrerà ad ogni uomo in cosa consiste la verità e la carità di un uomo: non solamente dare la vita per i suoi amici, ma dare la vita per gli empi per il riscatto e il perdono di tutti i loro peccati. Gesù diede la sua vita per noi, quando eravamo empi, perché il nostro peccato fosse espiato, cancellato, tolto. Oltre questa verità e carità non si può pervenire. Per questo – e anche per questo – Gesù è il sommo Maestro dell’umanità. È il sommo maestro non solo per insegnamento, ma perché vero Redentore e vero Salvatore dell’uomo.

Dopo la morte di Saul, Davide tornò dalla strage degli Amaleciti e rimase a Siklag due giorni. Al terzo giorno ecco arrivare un uomo dal campo di Saul con la veste stracciata e col capo cosparso di polvere. Appena giunto presso Davide, cadde a terra e si prostrò. Davide gli chiese: «Da dove vieni?». Rispose: «Sono fuggito dal campo d’Israele». Davide gli domandò: «Come sono andate le cose? Su, dammi notizie!». Rispose: «È successo che il popolo è fuggito nel corso della battaglia, molti del popolo sono caduti e sono morti; anche Saul e suo figlio Giònata sono morti». Davide afferrò le sue vesti e le stracciò; così fecero tutti gli uomini che erano con lui. Essi alzarono lamenti, piansero e digiunarono fino a sera per Saul e Giònata, suo figlio, per il popolo del Signore e per la casa d’Israele, perché erano caduti di spada. «Il tuo vanto, Israele, sulle tue alture giace trafitto! Come sono caduti gli eroi? O Saul e Giònata, amabili e gentili, né in vita né in morte furono divisi; erano più veloci delle aquile, più forti dei leoni. Figlie d’Israele, piangete su Saul, che con delizia vi rivestiva di porpora, che appendeva gioielli d’oro sulle vostre vesti. Come son caduti gli eroi in mezzo alla battaglia? Giònata, sulle tue alture trafitto! Una grande pena ho per te, fratello mio, Giònata! Tu mi eri molto caro; la tua amicizia era per me preziosa, più che amore di donna. Come sono caduti gli eroi, sono perite le armi?».

Con il suo canto Davide cancella e perdona tutte le colpe di Saul. Chiede che sia ricordato per il bene che ha fatto al suo popolo e non per il male. Così facendo, dona a Israele una nuova legge di vita: di ogni uomo, anche quando è in vita, si deve ricordare il bene, mai il male. Il male spinge il cuore al male. Il bene lo spinge al bene. Davide a Saul ha fatto solo del bene. Anche nella morte gli ha fatto del bene. Lo ha esaltato.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci uomini nuovi nell’amore.

 

21 GENNAIO – III DOMENICA T.O. – B

I CITTADINI DI NINIVE CREDETTERO A DIO

Gio 3,1-5.10; Sal 24; 1 Cor 7,29-31; Mc 1,14-20

Giona è l’uomo che crede che la divina Parola, quando giunge all’orecchio dell’uomo, se proferita così come è uscita dalla bocca di Dio, è capace di convertire non solo un uomo, ma una intera città. Poiché lui vuole che Ninive non si converta, ma venga distrutta, si rifiuta di obbedire al comando ricevuto di recarsi a Ninive e per fuggire lontano dal Signore si imbarca su una nave diretta a Tarsis. Attraverso vie misteriose e arcane che sono proprie di Dio, prima è gettato in mare, un grosso pesce lo ingoia e lo riporta a riva, rigettandolo. Su questa decisione di Giona si deve riflettere attentamente. Ci serviremo di una frase proferita da Mosè ad Aronne dopo la costruzione del vitello d’oro e la caduta dei figli di Israele nell’idolatria e in una grande immoralità.

Mosè disse ad Aronne: «Che cosa ti ha fatto questo popolo, perché tu l’abbia gravato di un peccato così grande?». Aronne rispose: «Non si accenda l’ira del mio signore; tu stesso sai che questo popolo è incline al male. Mi dissero: “Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa, perché a Mosè, quell’uomo che ci ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto”. Allora io dissi: “Chi ha dell’oro? Toglietevelo!”. Essi me lo hanno dato; io l’ho gettato nel fuoco e ne è uscito questo vitello». Mosè vide che il popolo non aveva più freno, perché Aronne gli aveva tolto ogni freno, così da farne oggetto di derisione per i loro avversari. Mosè si pose alla porta dell’accampamento e disse: «Chi sta con il Signore, venga da me!». Gli si raccolsero intorno tutti i figli di Levi. Disse loro: «Dice il Signore, il Dio d’Israele: “Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell’accampamento da una porta all’altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio vicino”». I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e in quel giorno perirono circa tremila uomini del popolo. Allora Mosè disse: «Ricevete oggi l’investitura dal Signore; ciascuno di voi è stato contro suo figlio e contro suo fratello, perché oggi egli vi accordasse benedizione» (Es 32,21-29).

Se un sacerdote, un ministro della Parola, un Apostolo del Signore, anche un battezzato vuole male ad una città, ad un popolo, ad una nazione, al mondo intero, è sufficiente che non ricordi e non annunzi la Parola del Signore. Senza Parola non c’è conversione, non c’è salvezza. Ci sono le tenebre eterne, la perdizione per sempre. Nella Scrittura responsabili di tutti i mali sociali e non solo religiosi del popolo di Dio sono i sacerdoti che non hanno predicato, annunziato, insegnato la Parola. Senza l’annunzio della vera Parola di Dio un popolo cade in ogni idolatria e immoralità. La salvezza è dalla Parola annunzia nella sua purezza e integrità, senza nulla aggiungere e nulla togliere. Come è stata consegnata così deve essere predicata e annunziata.

Costretto e malvolentieri, Giona si reca a Ninive. Percorre la città in lungo e in largo dicendo solo pochissime parole: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”. Né una parola in più né una in meno. All’udire queste parole tutta la città si mette in agitazione. Grandi e piccoli credono a Dio, bandiscono un digiuno, vestono il sacco, abbandonano la via del male, si danno alle opere buone. Dio vede e perdono. La città si è convertita dalla sua condotta malvagia e non viene più distrutta.

Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Ninive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta». I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

L’insegnamento che viene a noi da questo racconto è di altissimo valore teologico con ogni risvolto spirituale e sociale. Ama l’uomo chi gli annunzia la Parola di Dio nella sua purezza e integrità. Chi altera la parola o la riduce a menzogna non ama l’uomo. Oggi l’uomo non è amato. Non gli si dona più la Parola. Se gliela si dona, essa è tutta alterata, modificata, cambiata, stravolta. Aronne non diede la Parola e fu l’idolatria generale. Giona dona la Parola ed è la conversione di una intera città.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci datori della Parola.

 

22 GENNAIO

IL SIGNORE, DIO DEGLI ESERCITI, ERA CON LUI

2 Sam 5,1-7.10; Sal 88; Mc 3,22-30

Saul è morto. Israele è senza alcun re. Davide pur essendo stato consacrato re da Samuele, si era ritirato in Ebron. Il Signore che guida la storia del suo popolo suscita nei capi delle tribù d’Israele il desiderio e la volontà di sceglierlo come loro condottiero. Non una sola tribù, ma tutte, vengono e gli chiedono di essere lui il loro capo supremo. Fondano la loro richiesta sulla scelta già operata da Dio: “Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: Tu pascerai il mio popolo, Israele, tu sarai capo d’Israele”. Le tribù manifestano due essenziali verità: Davide è loro carne e loro sangue. Non è un estraneo. Il popolo del Signore è uno e lui è popolo del Signore. Il loro Dio lo ha scelto per essere loro re ed essi vogliono obbedire alla sua decisione. Si lasciano governare da Davide perché questa è volontà di Dio. Essi eleggono la decisione di Dio come loro propria decisione. Scelgono Davide come Dio lo ha scelto. La loro volontà e quella di Dio non sono due volontà, ma una sola. Non sono due scelte, ma una sola scelta.

Questa è la vera obbedienza. Questa perfezione di obbedienza la troviamo in Cristo Gesù. La volontà del Padre governata dallo Spirito Santo è scelta da Cristo Signore come sua volontà, volontà della persona divina e volontà della sua natura umana, anch’esse governate dallo Spirito Santo. Un solo Spirito governa il Padre e il Figlio. Nello Spirito Santo le volontà di Cristo sono volontà del Padre e la volontà del Padre è volontà di Gesù Signore. Questa perfezione deve essere anche di ogni discepolo di Gesù. Questi è chiamato a fare del Vangelo la sua stessa natura, la sua vita, il suo spirito, la sua anima, il suo corpo. Il cristiano non deve dire: “Io obbedisco al Vangelo”, ma: “Obbedisco alla mia vita che è il Vangelo. Ascolto la mia anima che è il Vangelo”. In fondo è questo il vero significato di essere l’uomo creato ad immagine e a somiglianza di Dio. Dio si è posto in Lui come sua vera vita. La sua natura deve essere vita di Dio. Lui obbedisce a Dio, obbedendo alla sua natura. La legge esterna è solo la luce che illumina e rivela la verità della natura. Così come il Vangelo è legge esterna che illumina e rivela il nuovo essere creato in noi dallo Spirito Santo nei sacramenti.

Vennero allora tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”». Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele. Davide aveva trent’anni quando fu fatto re e regnò quarant’anni. A Ebron regnò su Giuda sette anni e sei mesi e a Gerusalemme regnò trentatré anni su tutto Israele e su Giuda. Il re e i suoi uomini andarono a Gerusalemme contro i Gebusei che abitavano in quella regione. Costoro dissero a Davide: «Tu qui non entrerai: i ciechi e gli zoppi ti respingeranno», per dire: «Davide non potrà entrare qui». Ma Davide espugnò la rocca di Sion, cioè la Città di Davide. Davide andava sempre più crescendo in potenza e il Signore, Dio degli eserciti, era con lui.

Davide accetta di essere loro re e conclude con le tribù un’alleanza. L’alleanza è patto o unilaterale o bilaterale. È unilaterale quando la persona si impegna, senza nessuna controparte. Il Signore si è impegnato unilateralmente con vera alleanza, cioè con parola eterna, di non distruggere mai più l’umanità con le acque e anche di benedire nella discendenza di Abramo tutte le tribù della terra. Si è anche impegnato unilateralmente a creare una nuova alleanza e anche di togliere dal petto dell’uomo il cuore di pietra e al suo posto mettere un cuore di carne. Si è impegnato unilateralmente di dare il suo Figlio unigenito per la redenzione eterna. Dio questi doni li offrirà sempre all’uomo. Mai verrà meno. Li offre però stringendo con lui un’alleanza bilaterale. L’uomo deve impegnarsi ad ascoltare la sua voce e vivere di obbedienza.

Essendo l’alleanza di Davide con le tribù bilaterale, le due parti si sono impegnati a rispettare alcuni obbligo. Davide a governare il popolo, ma anche il popolo a lasciarsi governare da lui. L’accoglienza deve essere reciproca, altri non c’è alleanza.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci fedeli all’alleanza.

 

23 GENNAIO

DAVIDE DANZAVA CON TUTTE LE FORZE

2 Sam 6,12b-15.17-19; Sal 23; Mc 3,31-35

Nelle esperienza mistiche e specie nelle estasi è come se l’uomo si liberasse dal suo corpo, dalla sua storia, dal sua passato, dai suoi pensieri, dalla sua stessa razionalità, insomma da tutto ciò che appartiene alla terra, per immersi in un altro mondo come se questo mondo fosse assente, inesistente. Davide dinanzi all’arca del Signore vive una intensa esperienza estatica. Si spoglia delle sue vesti, rimani quasi nudi dinanzi al suo popolo, e si mette a danzare con tutte le sue forze davanti al Signore, cioè davanti all’arca dell’alleanza. Lui in questo momento di estasi o di rapimento vede solo il suo Dio e dinanzi al suo Dio non c’è grandezza, non c’è onore, né gloria, né rispetto umano, né altre cose che appartengono alla terra. È come se la terra e le sue convenzioni neanche più esistessero. È questo vero momento estatico.

Se Davide non fosse stato rapito in Dio con il suo spirito, le convenzioni umane lo avrebbero trattenuto dal danzare nudo davanti all’arca dell’alleanza. Questa legge vale anche per noi. O viviamo il Vangelo sempre con atteggiamento estatico, o le leggi della storia e le sue convenienza, sempre ci impediranno di camminare nella volontà del nostro Dio. Atteggiamento estatico nella grandissima sofferenza dinanzi a Dio lo ha vissuto Gesù sulla croce. Gesù danzò tutto nudo davanti all’umanità il suo amore per il Padre suo, non però come Davide, libero nel corpo. Lui danzò inchiodato su una croce. L’atteggiamento estatico è differente nella sostanza. In Davide fu di gioia indicibile. In Cristo fu di sofferenza indicibile. Come Davide rispose alla moglie: “Mi umilierò più di così dinanzi al Signore”, anche Gesù risponde alla sua posa che è la Chiesa: “Mi umilierò più di così per amore del Padre mio”. È questa la vera estasi di amore: dimenticare se stessi per dare a Dio la più grande gloria sia nella gioia che nella sofferenza, sia da liberi che da inchiodati sulla croce.

Allora Davide andò e fece salire l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom alla Città di Davide, con gioia. Quando quelli che portavano l’arca del Signore ebbero fatto sei passi, egli immolò un giovenco e un ariete grasso. Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Davide era cinto di un efod di lino. Così Davide e tutta la casa d’Israele facevano salire l’arca del Signore con grida e al suono del corno. Introdussero dunque l’arca del Signore e la collocarono al suo posto, al centro della tenda che Davide aveva piantato per essa; Davide offrì olocausti e sacrifici di comunione davanti al Signore. Quando ebbe finito di offrire gli olocausti e i sacrifici di comunione, Davide benedisse il popolo nel nome del Signore degli eserciti e distribuì a tutto il popolo, a tutta la moltitudine d’Israele, uomini e donne, una focaccia di pane per ognuno, una porzione di carne arrostita e una schiacciata di uva passa. Poi tutto il popolo se ne andò, ciascuno a casa sua.

Esperienza estatica non è quella che si vive fuori del corpo, così come è avvenuto per Paolo che fu rapito al terzo cielo e gli fu concesso di vedere l’invisibile e di ascoltare l’inascoltabile. Questa esperienza serve a rafforzare la nostra fede e la nostra fedeltà.

Se bisogna vantarsi – ma non conviene – verrò tuttavia alle visioni e alle rivelazioni del Signore. So che un uomo, in Cristo, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare. Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò, fuorché delle mie debolezze. Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato: direi solo la verità. Ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi più di quello che vede o sente da me e per la straordinaria grandezza delle rivelazioni (2Cor 12,1-7).

L’esperienza estati vissuta nel corpo, sia nella più grande gioia che nell’indicibile sofferenza, è una vera grazia di Dio perché ci disponiamo, senza alcun timore dell’uomo, a rendere al Signore la più grande gloria. Davide è come se fosse solo con il suo Dio. Anche Gesù sulla croce è come se fosse solo con il suo Dio. Questa grazia va sempre chiesta da colui che vuole vivere il Vangelo nella forma più alta e solenne, sia nella gioia che nel dolore. Senza questa grazia, si è preda delle convenienze umane.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci obbedienti alla Parola.

 

24 GENNAIO

IL TUO TRONO SARÀ RESO STABILE PER SEMPRE

2 Sam 7,4-17; Sal 88; Mc 4,1-20

Saul è stata persona che con la sua disobbedienza si è reso non gradito al Signore ed è scartato come re mentre ancora è in vita. La sentenza è di fine del suo regno.

Rispose Samuele a Saul: «Hai agito da stolto, non osservando il comando che il Signore, tuo Dio, ti aveva dato, perché in questa occasione il Signore avrebbe reso stabile il tuo regno su Israele per sempre. Ora invece il tuo regno non durerà. Il Signore si è già scelto un uomo secondo il suo cuore e gli comanderà di essere capo del suo popolo, perché tu non hai osservato quanto ti aveva comandato il Signore». Samuele poi si alzò e salì da Gàlgala a Gàbaa di Beniamino; Saul contò la gente che si trovava con lui: erano seicento uomini (1Sam 13,13-15). Saul disse allora a Samuele: «Ho peccato per avere trasgredito il comando del Signore e i tuoi ordini, mentre ho temuto il popolo e ho ascoltato la sua voce. Ma ora, perdona il mio peccato e ritorna con me, perché possa prostrarmi al Signore». 6Ma Samuele rispose a Saul: «Non posso ritornare con te, perché tu stesso hai rigettato la parola del Signore e il Signore ti ha rigettato, perché tu non sia più re sopra Israele». Samuele si voltò per andarsene, ma Saul gli afferrò un lembo del mantello, che si strappò. Samuele gli disse: «Oggi il Signore ha strappato da te il regno d’Israele e l’ha dato a un altro migliore di te. D’altra parte colui che è la gloria d’Israele non mentisce né può pentirsi, perché egli non è uomo per pentirsi». Saul disse: «Ho peccato, ma onorami ora davanti agli anziani del mio popolo e davanti a Israele; ritorna con me perché mi possa prostrare al Signore, tuo Dio». Samuele ritornò con Saul e questi si prostrò al Signore (1Sam 15,24-31).

A Davide invece, a motivo della sua fedeltà e del suo cuore retto, il Signore fa una promessa inaudita, che non è mai stata vissuta e mai lo sarà in nessun regno della terra. La dinastia di Davide sarà per sempre. Passano i secoli, finisce il tempo, il regno di Davide resterà per sempre dinanzi a Dio: “La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”. Come sarà possibile questo? Sarà possibile a motivo del re che verrà che sarà eterno. Re eterno, regno eterno. Re immortale, regni immortale. Tutto è dal re che verrà.

Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: Così dice il Signore: “Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io infatti non ho abitato in una casa da quando ho fatto salire Israele dall’Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione. Durante tutto il tempo in cui ho camminato insieme con tutti gli Israeliti, ho forse mai detto ad alcuno dei giudici d’Israele, a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele: Perché non mi avete edificato una casa di cedro?”. Ora dunque dirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: “Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. Se farà il male, lo colpirò con verga d’uomo e con percosse di figli d’uomo, ma non ritirerò da lui il mio amore, come l’ho ritirato da Saul, che ho rimosso di fronte a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”». Natan parlò a Davide secondo tutte queste parole e secondo tutta questa visione.

La rivelazione successiva che accompagnerà tutta la vita del popolo del Signore manifesterà ogni più piccolo dettaglio sul re che verrà. Tutto di Lui sarà scritto nella Legge, nei profeti, nei Salmi. Ma solo nel Nuovo Testamento sapremo che ogni parola di Dio sul suo Re, si compie in Cristo Gesù, che è il Figlio Eterno del Padre che si è fatto carne e nella carne è stato costituito Messia e Cristo da Dio. Questa prima parola della promessa complessa di Dio dice una verità chiara: Davide non sarà scalzato da suo trono. Dopo di Lui sempre regnerà un suo figlio fino all’avvento del Re Eterno.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la vera fede in Cristo.

 

25 GENNAIO

SAULO, SAULO, PERCHÉ MI PERSÉGUITI?

At 22,3-16 opp. At 9,1-22; Sal 116; Mc 16,15-18

Il Signore vuole offrire al suo popolo l’ultima grazia, perché si converta e Gerusalemme non venga distrutta. Il Dio di Abramo non gode della morte di chi muore, né gioisce per le distruzioni e devastazioni che consumano il suo popolo nella morte o in un esilio senza ritorno. Lui è il Dio che gioisce per la conversione dei suoi figli e per questo manda loro profeti e messaggeri senza interruzione con grande premura e amore.

Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Allora il Signore fece salire contro di loro il re dei Caldei, che uccise di spada i loro uomini migliori nel santuario, senza pietà per i giovani, per le fanciulle, per i vecchi e i decrepiti. Il Signore consegnò ogni cosa nelle sue mani. Portò a Babilonia tutti gli oggetti del tempio di Dio, grandi e piccoli, i tesori del tempio del Signore e i tesori del re e dei suoi ufficiali. Quindi incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi. Il re deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremia: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni» (2Cro 36,15-21).

Paolo, oggi, nel sinedrio è l’ultima grazia di salvezza. Non è un estraneo che racconta quanto è avvenuto sulla via di Damasco, ma uno di loro, anzi uno che viveva da fariseo più rigidamente di tutti loro. Lui attesta che il suo cambiamento, l’abbandono della vita di un tempo è frutto di Cristo Signore, del Risorto, che ha avuto pietà di lui e che oggi, per suo tramite, vuole avere pietà di tutti loro, chiamandoli a conversione e salvezza.

«Io sono un Giudeo, nato a Tarso in Cilìcia, ma educato in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. Io perseguitai a morte questa Via, incatenando e mettendo in carcere uomini e donne, come può darmi testimonianza anche il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro avevo anche ricevuto lettere per i fratelli e mi recai a Damasco per condurre prigionieri a Gerusalemme anche quelli che stanno là, perché fossero puniti. Mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?”. Io risposi: “Chi sei, o Signore?”. Mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perséguiti”. Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava. Io dissi allora: “Che devo fare, Signore?”. E il Signore mi disse: “Àlzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia”. E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco. Un certo Anania, devoto osservante della Legge e stimato da tutti i Giudei là residenti, venne da me, mi si accostò e disse: “Saulo, fratello, torna a vedere!”. E in quell’istante lo vidi. Egli soggiunse: “Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. E ora, perché aspetti? Àlzati, fatti battezzare e purificare dai tuoi peccati, invocando il suo nome”.

Paolo nel sinedrio è vero testimone di Gesù Signore. È testimone che Gesù è veramente risorto. Veramente gli è apparso. Veramente ha trasformato la sua vita. La sua è testimonianza provata con mille persecuzioni e mille condanne. È una testimonianza che non si fonda sull’entusiasmo di un secondo, ma sulla perseveranza e sulla crescita giorno dopo giorno nella conoscenza di Cristo e del suo mistero. Se essi si fideranno di lui e crederanno alle sue parole, se si convertiranno a Cristo Gesù, il Signore di certo non attuerà quanto ha promesso e Gerusalemme non sarà distrutta. Se essi invece si rifiuteranno di credere e non presteranno attenzione alle sue parole, ogni parola di Cristo Gesù proferita su Gerusalemme si realizzerà. Il tempio sarà distrutto e il popolo deportato. Dio la grazia la dona sempre. L’accoglienza è dell’uomo. Dio in nulla si risparmia. Sacrifica ogni suo figlio per la salvezza degli altri figli.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci accogliere ogni grazia.

 

26 GENNAIO

SOFFRI CON ME PER IL VANGELO

2 Tm 1,1-8 opp. Tt 1,1-5; Sal 95; Lc 10,1-9

Per Paolo la fede deve essere come il proprio sangue. I genitori la devono trasmettere ai figli come loro patrimonio genetico spirituale. Come si trasmette il patrimonio fisico, così anche va trasmesso il patrimonio genetico spirituale che sono la fede in Cristo Gesù, la speranza, la carità. Se padre e madre sono senza fede, anche i loro figli cresceranno senza fede nel loro sangue. È questa la povertà delle povertà. Nessuna povertà è più grande di questa: generare un figlio, ma senza trasmettere loro il patrimonio genetico spirituale della fede in Cristo Signore, della speranza in Lui e della carità vissuta con il suo cuore. Oggi questa povertà è visibile. Ed è questa la causa della scarsa o addirittura inesistente nostra elevazione spirituale, morale, culturale. Paolo “rende grazia a Dio che lui serve, come i suoi antenati, con coscienza, pura”. Da essi lui ha ricevuto questa altissima ricchezza genetica spirituale. Ma anche di Timoteo “ricorda la sua schiatta fede, che ebbero anche sua nonna Lòide e sua madre Eunìce, e ne è certo, è anche in lui”. Sublime verità che mai deve essere dimenticata.

A questa trasmissione “per sangue spirituale quasi per generazione”, deve seguire la trasmissione della fede attraverso gli atti storici della propria vita. Se la fede è la nostra stessa vita, è cioè il nostro stesso spirito e la nostra stessa anima, ogni cosa che facciamo rispecchia il nostro essere spirituale e anche fisico. Se invece la fede è solo una verità appresa su qualche libro o ci è stata insegnata perché costretti a frequentare un corso di catechismo, per poter accedere ai sacramenti, allora vi sarà sempre quel distacco insanabile tra quanto diciamo di credere e quanto si opera. La fede rimane solo come nozione, mai diverrà vita in noi. Manca sia la trasmissione “per generazione”, il nostro sangue non è sangue di fede e neanche la nostra vita è vita di fede perché l’ambiente familiare nel quale siamo vissuti e viviamo non è la casa della vita secondo la fede. Quando una famiglia non nasce dalla fede, perché nasce contro la fede, quale fede potrà trasmettere? Nessuna. Quando una famiglia, anche se è nata secondo la fede, perde la fede ed esce da essa, quale fede potrà trasmettere? Nessuna. Non parliamo poi di quelle “famiglie anomale”, cioè prive della stessa legge della natura. Quale fede esse potranno consegnare a quanti vivono nella loro case e che neanche sono figli, cioè sangue e carne del proprio sangue e della propria carne? Il problema della fede va risolto a monte, mai a valle. Se la sorgente della fede, che è il sangue spirituale del padre e della madre, non fa scaturire più fede perché si è esaurita, cercare l’acqua a valle è da stolti. Il fiume non sorge e l’acqua non scorre.

Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio e secondo la promessa della vita che è in Cristo Gesù, a Timòteo, figlio carissimo: grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro. Rendo grazie a Dio che io servo, come i miei antenati, con coscienza pura, ricordandomi di te nelle mie preghiere sempre, notte e giorno. Mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia. Mi ricordo infatti della tua schietta fede, che ebbero anche tua nonna Lòide e tua madre Eunìce, e che ora, ne sono certo, è anche in te. Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo.

Timoteo è stato costituito sorgente di vera fede nella sorgente eterna di Cristo Gesù, attraverso l’imposizione delle mani di Paolo. Deve mettere ogni cura perché la sorgente non solo non si esaurisca, ma diventi ogni giorno più ricca di acque di salvezza. Per questo deve sempre far agire in lui lo spirito di forza, di carità, di prudenza. Se farà questo mai si vergognerà di rendere purissima testimonianza a Cristo Gesù. Con la forza che viene da Dio saprà anche soffrire per il Vangelo con Paolo, che è in carcere a motivo della Parola. Sapendo che Paolo è nella grande sofferenza anche Timoteo avrà la forza di non tirarsi indietro dinanzi alle sofferenze che necessariamente sempre si abbattono su coloro che predicano Cristo Crocifisso.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci forti per il Vangelo.

 

27 GENNAIO

TU SEI QUELL’UOMO!

2 Sam 12,1-7a.10-17; Sal 50; Mc 4,35-41

Davide ha commesso due orrendi peccati. Ha commesso adulterio con la moglie di Uria e poi per nascondere il suo misfatto – la donna era rimasta incinta – con uno stratagemma militare aveva fatto sì che non solo Uria rimanesse ucciso, ma molti altri uomini del suo esercito. Morto il marito, il re ha pensato bene di rimuovere le sue colpe dal suo cuore, dalla sua memoria, dal suo spirito, dalla sua mente. Viveva come se nulla fosse accaduto. Nessuno mai avrebbe potuto conoscere quanto lui aveva fatto. Si era dimenticato che noi possiamo nascondere il male agli occhi degli uomini, mai lo potremo nascondere agli occhi di Dio. L’uomo non ha visto le intenzioni perverse. Il Signore ha visto ed è intervenuto tempestivamente, mandandogli il profeta Natan. Questi viene da re e gli racconta un fatto come se fosse realmente accaduto: “Un uomo ricco aveva molte pecore. Un uomo povero aveva una sola pecora che lui amava come la sua stessa vita. Un giorno venne a far visita all’uomo ricco un uomo e lui per onorarlo ordinò che si prendesse la pecora dell’uomo povero, la si uccidesse e con essa si preparasse un banchetto”. Davide non capì che l’uomo ricco era lui e che il povero era invece Urìa l’Ittita. Non comprendendo il racconto, pronunzia una sentenza pesante su se stesso. Lui si giudica degno di morte. Il Signore aveva deciso di risparmiargli la vita, però le conseguenze del suo peccato sono amarissime.

Il Signore mandò il profeta Natan a Davide, e Natan andò da lui e gli disse: «Due uomini erano nella stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero, mentre il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina, che egli aveva comprato. Essa era vissuta e cresciuta insieme con lui e con i figli, mangiando del suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Era per lui come una figlia. Un viandante arrivò dall’uomo ricco e questi, evitando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso quanto era da servire al viaggiatore che era venuto da lui, prese la pecorella di quell’uomo povero e la servì all’uomo che era venuto da lui». Davide si adirò contro quell’uomo e disse a Natan: «Per la vita del Signore, chi ha fatto questo è degno di morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non averla evitata». Allora Natan disse a Davide: «Tu sei quell’uomo!». Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Uria l’Ittita”.

Così dice il Signore: “Ecco, io sto per suscitare contro di te il male dalla tua stessa casa; prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un altro, che giacerà con loro alla luce di questo sole. Poiché tu l’hai fatto in segreto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e alla luce del sole”». Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai. Tuttavia, poiché con quest’azione tu hai insultato il Signore, il figlio che ti è nato dovrà morire». Natan tornò a casa. Il Signore dunque colpì il bambino che la moglie di Uria aveva partorito a Davide e il bambino si ammalò gravemente. Davide allora fece suppliche a Dio per il bambino, si mise a digiunare e, quando rientrava per passare la notte, dormiva per terra. Gli anziani della sua casa insistevano presso di lui perché si alzasse da terra, ma egli non volle e non prese cibo con loro.

Eva disobbedì. Le conseguenze del suo peccato sono di morte per l’intera umanità. Queste conseguenza hanno oltrepassato gli stessi confini della creazione e hanno raggiunto il Creatore. Gesù Dio per espiare quel peccato è stato crocifisso. Ogni uomo deve sempre separare colpa e conseguenze dei suoi gesti. Le colpe possono essere perdonate, le conseguenze sono amarissime, non solo per chi commette il peccato, ma per l’intera umanità. Un uomo decide di drogarsi con materiale pesante. Un solo gesto produce conseguenze che saranno amarissime per tutta la vita. Non solo per sé ma per tutta la società civile. Un uomo decide di spargere stragi in nome di Dio o in nome della sua stoltezza. Le colpe possono essere perdonate nel pentimento. Le conseguenze sono vite spezzate e lacrime che non possono essere asciugate. Una coppia decide di rompere la famiglia. Ci si può anche pentire in seguito. Le conseguenze sui figli sono di vero disastro spirituale, morale, fisico. Purtroppo oggi nessuno pesa le conseguenze dei suoi atti. Essi durano per i secoli dei secoli.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a non peccare mai.

 

28 GENNAIO – IV DOMENICA T.O. – B

GLI PORRÒ IN BOCCA LE MIE PAROLE

Dt 18,15-20; Sal 94; 1 Cor 7,32-35; Mc 1,21-28

A volte un po’ di chiarezza è più che necessaria, quando si legge la Parola del Signore e si cerca di comprendere quanto il Signore ha voluto rivelarci per il nostro più grande bene. Leggiamo: “Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dà loro quanto io gli comanderò”. Gesù così testimonia di sé nel Vangelo secondo Giovanni. Lui da molti era stato conosciuto vero profeta.

Gesù allora esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me» (Gv 12,44-50). Quando ormai si era a metà della festa, Gesù salì al tempio e si mise a insegnare. I Giudei ne erano meravigliati e dicevano: «Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?». Gesù rispose loro: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. Chi vuol fare la sua volontà, riconoscerà se questa dottrina viene da Dio, o se io parlo da me stesso. Chi parla da se stesso, cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che lo ha mandato è veritiero, e in lui non c’è ingiustizia. Non giudicate secondo le apparenze; giudicate con giusto giudizio!». Intanto alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia». Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato» (Gv 7,14-29).

Sappiamo da tutti gli eventi storici che ogni parola di Dio si è compiuta in Gesù e che anche ogni parola di Gesù riguardante la sua vita sulla terra si realizzata. Quali sono le conseguenze di questo duplice compimento? Il dovere, anzi l’obbligo di ogni uomo di ascoltarlo: “Se qualcuno non ascolterà le sue parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto”. Possiamo anche non ascoltare Cristo, ma Dio domanderò conto del non ascolto. Poiché la salvezza è dalla sua Parola, la prima conseguenza è quella di restare noi esclusi dalla sua vita eterna. Non abbiamo accolto la Parola della vita, data a noi da Dio per mezzo del suo vero profeta. È responsabilità eterna!.

Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull’Oreb, il giorno dell’assemblea, dicendo: “Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia”. Il Signore mi rispose: “Quello che hanno detto, va bene. Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire”.

Anche il falso profeta deve prestare molta attenzione alle parole che lui proferisce. Mai dovrà parlare in nome di Dio per dire cose che il Signore non gli ha comandato di dire. Né mai dovrà parlare nel nome di altri dèi, che sono solo opera delle mani dell’uomo. Ogni profeta è obbligato a parlare solo nel nome del vero Dio, se il vero Dio gli parla. Altrimenti deve tacere. Parlare in suo nome o nel nome di altri dèi sempre lo rende reo di morte eterna. Ha ingannato i suoi fratelli. Li ha illuso con le sue falsità e menzogna e per di più o servendosi del nome del vero Dio o del nome di dèi falsi perché inesistenti. La verità che ne viene fuori è una sola: siamo tutti responsabili di ogni parola che esce dalla nostra bocca. Da noi mai devono uscire parole di morte, ma sempre di vita.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci parola di solo Vangelo.

 

29 GENNAIO

POICHÉ GLIELO HA ORDINATO IL SIGNORE

2 Sam 15,13-14.30; 16,5-13a; Sal 3; Mc 5,1-20

Davide è in fuga da Gerusalemme. Il figlio Assalonne ha deciso di impossessarsi del regno e anche di uccidere il padre. Lungo il cammino in cerca di un rifugio sicuro, un uomo della famiglia della casa di Saul, chiamato Simei, imprecava e gettava sassi contro Davide e i suoi servi: «Vattene, vattene, sanguinario, malvagio! Il Signore ha fatto ricadere sul tuo capo tutto il sangue della casa di Saul, al posto del quale regni; il Signore ha messo il regno nelle mani di Assalonne, tuo figlio, ed eccoti nella tua rovina, perché sei un sanguinario». I servi del re, chiedono il permesso di uccidere quell’uomo che osava insultare e maledire. Ma Davide rispose loro: «Che ho io in comune con voi, figli di Seruià? Se maledice, è perché il Signore gli ha detto: “Maledici Davide!”. E chi potrà dire: “Perché fai così?”». Poi Davide disse ad Abisài e a tutti i suoi servi: «Ecco, il figlio uscito dalle mie viscere cerca di togliermi la vita: e allora, questo Beniaminita, lasciatelo maledire, poiché glielo ha ordinato il Signore. Forse il Signore guarderà la mia afflizione e mi renderà il bene in cambio della maledizione di oggi». Questa parole di Davide innalzano l’umanità di anni luce in pazienza. Moralità, fede, misericordia, carità. Il male non è visto come direttamente proveniente dall’uomo, ma permesso dal Signore per l’espiazione dei peccati e la trasformazione in bene di ogni parola cattiva che viene a noi rivolta. Questa altissima visione di fede oggi è persa, perché Dio si è perso nella nostra vita. O ritroviamo Dio o precipiteremo nella più grande barbarie.

Arrivò un informatore da Davide e disse: «Il cuore degli Israeliti è con Assalonne». Allora Davide disse a tutti i suoi servi che erano con lui a Gerusalemme: «Alzatevi, fuggiamo; altrimenti nessuno di noi scamperà dalle mani di Assalonne. Partite in fretta, perché non si affretti lui a raggiungerci e faccia cadere su di noi la rovina e passi la città a fil di spada». Davide saliva l’erta degli Ulivi, saliva piangendo e camminava con il capo coperto e a piedi scalzi; tutta la gente che era con lui aveva il capo coperto e, salendo, piangeva. Quando poi il re Davide fu giunto a Bacurìm, ecco uscire di là un uomo della famiglia della casa di Saul, chiamato Simei, figlio di Ghera. Egli usciva imprecando e gettava sassi contro Davide e contro tutti i servi del re Davide, mentre tutto il popolo e tutti i prodi stavano alla sua destra e alla sua sinistra. Così diceva Simei, maledicendo Davide: «Vattene, vattene, sanguinario, malvagio! Il Signore ha fatto ricadere sul tuo capo tutto il sangue della casa di Saul, al posto del quale regni; il Signore ha messo il regno nelle mani di Assalonne, tuo figlio, ed eccoti nella tua rovina, perché sei un sanguinario». Allora Abisài, figlio di Seruià, disse al re: «Perché questo cane morto dovrà maledire il re, mio signore? Lascia che io vada e gli tagli la testa!». Ma il re rispose: «Che ho io in comune con voi, figli di Seruià? Se maledice, è perché il Signore gli ha detto: “Maledici Davide!”. E chi potrà dire: “Perché fai così?”». Poi Davide disse ad Abisài e a tutti i suoi servi: «Ecco, il figlio uscito dalle mie viscere cerca di togliermi la vita: e allora, questo Beniaminita, lasciatelo maledire, poiché glielo ha ordinato il Signore. Forse il Signore guarderà la mia afflizione e mi renderà il bene in cambio della maledizione di oggi». Davide e la sua gente continuarono il cammino e Simei camminava sul fianco del monte.

Ad ogni uomo è chiesto di fare la differenza in fede, misericordia, pazienza, verità, luce, giustizia, santità, perdono. Senza differenza non ci sarà mai elevazione dell’umanità. Essa sarà condannata a sprofondare nell’abisso delle sue abitudini di peccato. Abisài è l’uomo dell’abitudine di peccato, male per male, morte per parola di maledizione e di ingiuria. Sempre più un figlio di Lamec che di Abramo. Davide invece è vero figlio di Abramo, l’uomo che sacrificò il bene più caro al suo Signore. Oggi Davide sacrifica a Dio tutta la sua umanità di peccato, perché vuole elevarsi e vivere in quell’altra umanità che è il frutto del cuore nuovo chiesto a Dio nella sua preghiera di pentimento e di invocazione di perdono. Il cuore nuovo non è creato in un istante dal Signore. Dio lo crea per mezzo della nostra sofferenza e del nostro dolore. Oggi il Signore, tramite Simei, ha mostra al mondo intero che già in Davide vive un pezzo di cuore nuovo, da Lui creato su richiesta fatta con preghiera intrisa di lacrime e di pentimento. Oggi due cuori si scontrano. Il cuore vecchio vorrebbe vincere sul cuore nuovo e imporre la sua legge di morte. Vince il cuore nuovo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci dal cuore nuovo sempre.

 

30 GENNAIO

FIGLIO MIO, FIGLIO MIO ASSALONNE!

2 Sam 18,9-10.14b.21a.24-25a.30-32; 19,1-3 Sal 85; Mc 5,21-43

Davide è stato un eccellente re. Ha dato splendore al suo popolo, liberandolo da tutti i suoi nemici all’esterno e creando l’unità delle dodici tribù, che veramente si sentivano un solo popolo sotto il suo governo. Quest’uomo forte e valoroso nutriva per i suoi figli un grandissimo amore. I figli lo sapevano e alcuni approfittavano di lui. Anche se mostrava con essi forte, irremovibile, alla fine poi perdonava le loro colpe. Assalonne fu un vero approfittatore, giungendo a desiderare di essere lui re al posto del padre e lavorando per più anni con i figli di Israele per portarli dalla sua parte, contro il re. La sua arte subdola, scaltra, sapeva come servirsi delle lamentele della gente.

Ma dopo questo, Assalonne si procurò un carro, cavalli e cinquanta uomini che correvano innanzi a lui. Assalonne si alzava la mattina presto e si metteva da un lato della via di accesso alla porta della città. Quando qualcuno aveva una lite e veniva dal re per il giudizio, Assalonne lo chiamava e gli diceva: «Di quale città sei?». L’altro gli rispondeva: «Il tuo servo è di tale e tale tribù d’Israele». Allora Assalonne gli diceva: «Vedi, le tue ragioni sono buone e giuste, ma nessuno ti ascolta per conto del re». Assalonne aggiungeva: «Se facessero me giudice del paese! Chiunque avesse una lite o un giudizio verrebbe da me e io gli farei giustizia». Quando uno gli si accostava per prostrarsi davanti a lui, gli porgeva la mano, l’abbracciava e lo baciava. Assalonne faceva così con tutti gli Israeliti che venivano dal re per il giudizio; in questo modo Assalonne si accattivò il cuore degli Israeliti. Ora, dopo quattro anni, Assalonne disse al re: «Vorrei andare a Ebron a sciogliere un voto che ho fatto al Signore. Perché durante la sua dimora a Ghesur, in Aram, il tuo servo ha fatto questo voto: “Se il Signore mi riconduce a Gerusalemme, io servirò il Signore!”». Il re gli disse: «Va’ in pace!». Egli si alzò e andò a Ebron. Allora Assalonne mandò corrieri per tutte le tribù d’Israele a dire: «Quando sentirete il suono del corno, allora direte: “Assalonne è divenuto re a Ebron”». Con Assalonne erano partiti da Gerusalemme duecento uomini, i quali, invitati, partirono con semplicità, senza saper nulla. Assalonne convocò Achitòfel il Ghilonita, consigliere di Davide, perché venisse dalla sua città di Ghilo all’offerta dei sacrifici. La congiura divenne potente e il popolo andava aumentando intorno ad Assalonne (2Sam 15,1-12).

Ioab vede Assalonne impigliato con la testa in una quercia, prende tre dardi e lo colpisce al cuore, uccidendolo. Davide viene informato della sua morte e scoppia in un pianto senza fine, mostrando a tutto il popolo il suo grande amore per il figlio. Ancora una volta lui manifesta la differenza di cuore. Lui vede il figlio morto e piange. Non può gioire. È suo figlio. Gesù vede Gerusalemme morta e piange. È il suo popolo.

Ora Assalonne s’imbatté nei servi di Davide. Assalonne cavalcava il mulo; il mulo entrò sotto il groviglio di una grande quercia e la testa di Assalonne rimase impigliata nella quercia e così egli restò sospeso fra cielo e terra, mentre il mulo che era sotto di lui passò oltre. Un uomo lo vide e venne a riferire a Ioab: «Ho visto Assalonne appeso a una quercia». Prese in mano tre dardi e li ficcò nel cuore di Assalonne, che era ancora vivo nel folto della quercia. Poi Ioab disse all’Etiope: «Va’ e riferisci al re quello che hai visto». Davide stava seduto fra le due porte; la sentinella salì sul tetto della porta sopra le mura, alzò gli occhi, guardò, ed ecco vide un uomo correre tutto solo. La sentinella gridò e l’annunciò al re. Il re disse: «Se è solo, ha in bocca una bella notizia». Il re gli disse: «Mettiti là, da parte». Quegli si mise da parte e aspettò. Ed ecco arrivare l’Etiope che disse: «Si rallegri per la notizia il re, mio signore! Il Signore ti ha liberato oggi da quanti erano insorti contro di te». Il re disse all’Etiope: «Il giovane Assalonne sta bene?». L’Etiope rispose: «Diventino come quel giovane i nemici del re, mio signore, e quanti insorgono contro di te per farti del male!». Allora il re fu scosso da un tremito, salì al piano di sopra della porta e pianse; diceva andandosene: «Figlio mio Assalonne! Figlio mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio!». Fu riferito a Ioab: «Ecco, il re piange e fa lutto per Assalonne». La vittoria in quel giorno si cambiò in lutto per tutto il popolo, perché il popolo sentì dire in quel giorno: «Il re è desolato a causa del figlio».

La differenza nelle relazioni la fa il cuore. Con il cuore nuovo, il cuore di Cristo in noi, vediamo e agiamo come Lui. Consacriamo la vita solo ad amare. L’altro può anche approfittare dell’amore, ma è sua responsabilità, non nostra. Gesù sulla croce muore per “il figlio” che lo sta crocifiggendo. Muore per chiedere al Padre il perdono.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci il vero amore.

 

31 GENNAIO

MA QUESTE PECORE CHE HANNO FATTO?

2 Sam 24,2.9-17; Sal 31; Mc 6,1-6

Il peccato dell’uomo non rimane circoscritto nella persona che lo commette. Esso valica i limiti del suo corpo, della sua anima, del suo spirito, raggiunge l’intera umanità, fino ad arrivare al cuore di Dio. Le sue conseguenze sono universali ed eterne. Il peccato è sempre un veleno di morte che l’uomo inietta nel sangue dei popoli e delle nazioni. Più in alto si è posti da Dio e più il peccato produce effetti nefasti per tutti coloro che sono sotto il nostro governo o la nostra influenza di responsabilità. Un papa pecca nell’esercizio del suo ministero, tutta la Chiesa subisce la sua colpa. Così dicasi per un vescovo, un parroco, un padre e una madre di famiglia. Pecca il capo di uno stato, tutti i suoi sudditi subiscono le conseguenze della sua trasgressione. Ogni uomo di responsabilità, ad ogni livello, in ogni ambito, piccolo o grande, universale o locale, generale o particolare, deve mettere ogni attenzione a vivere di perfetta giustizia. I mali dei suoi peccati, anche di omissione, produrranno sempre frutti nefasti generali. Finché non ci convinceremo che anche il peccato passivo genera disastri, continueremo ad essere omissivi in ogni cosa. Il peccato passivo spesso produce più danni di quello attivo. Una sola omissione e potrebbe avvenire una catastrofe planetaria. Davide commette un peccato di superbia contro Dio. Pensa che i suoi successi sono il frutto della forza del suo popolo, del numero dei suoi abitanti. Non riconosce che quanto lui ha fatto è stato solo perché il Signore Dio era con Lui. Lui era solo un pastore di pecore. Il Signore lo ha preso e lo ha innalzato a tanta gloria e potenza.

Il re disse a Ioab, capo dell’esercito a lui affidato: «Percorri tutte le tribù d’Israele, da Dan fino a Bersabea, e fate il censimento del popolo, perché io conosca il numero della popolazione». Ioab consegnò al re il totale del censimento del popolo: c’erano in Israele ottocentomila uomini abili in grado di maneggiare la spada; in Giuda cinquecentomila. Ma dopo che ebbe contato il popolo, il cuore di Davide gli fece sentire il rimorso ed egli disse al Signore: «Ho peccato molto per quanto ho fatto; ti prego, Signore, togli la colpa del tuo servo, poiché io ho commesso una grande stoltezza». Al mattino, quando Davide si alzò, fu rivolta questa parola del Signore al profeta Gad, veggente di Davide: «Va’ a riferire a Davide: Così dice il Signore: “Io ti propongo tre cose: scegline una e quella ti farò”». Gad venne dunque a Davide, gli riferì questo e disse: «Vuoi che vengano sette anni di carestia nella tua terra o tre mesi di fuga davanti al nemico che ti insegue o tre giorni di peste nella tua terra? Ora rifletti e vedi che cosa io debba riferire a chi mi ha mandato». Davide rispose a Gad: «Sono in grande angustia! Ebbene, cadiamo nelle mani del Signore, perché la sua misericordia è grande, ma che io non cada nelle mani degli uomini!». Così il Signore mandò la peste in Israele, da quella mattina fino al tempo fissato; da Dan a Bersabea morirono tra il popolo settantamila persone. E quando l’angelo ebbe stesa la mano su Gerusalemme per devastarla, il Signore si pentì di quel male e disse all’angelo devastatore del popolo: «Ora basta! Ritira la mano!». L’angelo del Signore si trovava presso l’aia di Araunà, il Gebuseo. Davide, vedendo l’angelo che colpiva il popolo, disse al Signore: «Io ho peccato, io ho agito male; ma queste pecore che hanno fatto? La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre!».

Ogni peccato va espiato. Davide deve scegliere o sette anni di carestia, o tre mesi di fuga dinanzi al nemico, cioè una guerra disastrosa, o tre giorni di peste. Lui sceglie per tre giorni di peste. Solo la peste lo avrebbe potuto colpire. Carestia e guerra avrebbe colpito solo gli altri. Dopo un giorno di peste in cui morirono settantamila persone, il Signore vide l’afflizione di Davide e fermò la sua mano. Le sue parole attestano che ancora lui non è cosciente degli effetti universali del peccato personale: “Io ho peccato, io ho agito male; ma queste pecore che hanno fatto? La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre!”. Se così fosse il peccato rimarrebbe sempre circoscritto. Invece esso produce effetti che sono universali, planetari, eterni. Ognuno prima di peccare, dovrebbe sempre pensare: “Con questo mio peccato distruggerò oggi l’umanità. Di certo aprirò le porte dell’inferno per molte anime”. Se pensassimo il peccato secondo purissima rivelazione, avremmo un rapporto differente verso di esso. Ci asterremmo dal farlo, perché sapremmo che esso avvelena tutta l’umanità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, rendeteci impeccabili in eterno.