Commento teologico alla prima lettura – Luglio 2016

 

1 LUGLIO (Am 8,4-6.9-12)

Cambierò le vostre feste in lutto

Chi certifica il compimento della profezia di Amos è Tobi in terra di esilio. Abitare in terra straniera era già segno di grande amarezza. Alla sofferenza dell’esilio si aggiungevano persecuzioni di ogni genere, che spesso sfociavano nella morte, creando tanto turbamento nel cuore dei giusti e dei fedeli osservanti della Legge.

Sotto il regno di Assarhàddon ritornai dunque a casa mia e mi fu restituita la compagnia di mia moglie Anna e del figlio Tobia. Per la nostra festa di Pentecoste, cioè la festa delle Settimane, avevo fatto preparare un buon pranzo e mi posi a tavola: la tavola era imbandita di molte vivande. Dissi al figlio Tobia: «Figlio mio, va’, e se trovi tra i nostri fratelli deportati a Ninive qualche povero, che sia però di cuore fedele, portalo a pranzo insieme con noi. Io resto ad aspettare che tu ritorni, figlio mio». Tobia uscì in cerca di un povero tra i nostri fratelli. Di ritorno disse: «Padre!». Gli risposi: «Ebbene, figlio mio?». «Padre – riprese – uno della nostra gente è stato ucciso e gettato nella piazza; l’hanno strangolato un momento fa». Io allora mi alzai, lasciando intatto il pranzo; tolsi l’uomo dalla piazza e lo posi in una camera in attesa del tramonto del sole, per poterlo seppellire. Ritornai, mi lavai e mangiai con tristezza, ricordando le parole del profeta Amos su Betel: «Si cambieranno le vostre feste in lutto, tutti i vostri canti in lamento».

E piansi. Quando poi calò il sole, andai a scavare una fossa e ve lo seppellii. I miei vicini mi deridevano dicendo: «Non ha più paura! Proprio per questo motivo lo hanno già ricercato per ucciderlo. È dovuto fuggire e ora eccolo di nuovo a seppellire i morti». Quella notte, dopo aver seppellito il morto, mi lavai, entrai nel mio cortile e mi addormentai sotto il muro del cortile. Per il caldo che c’era tenevo la faccia scoperta, ignorando che sopra di me, nel muro, stavano dei passeri. Caddero sui miei occhi i loro escrementi ancora caldi, che mi produssero macchie bianche, e dovetti andare dai medici per la cura. Più essi però mi applicavano farmaci, più mi si oscuravano gli occhi, a causa delle macchie bianche, finché divenni cieco del tutto. Per quattro anni rimasi cieco e ne soffrirono tutti i miei fratelli. Achikàr, nei due anni che precedettero la sua partenza per l’Elimàide, provvide al mio sostentamento (Tb 2,1-10).

Il peccato sempre trasforma la fede in lutto, perché ogni disobbedienza priva l’uomo della benedizione del suo Dio e Signore. L’uomo di tutto può fare a meno, anche dell’aria che respira. Infatti verrà un giorno in cui non respirerà più. Ma guai a lui se esce dalla benedizione del suo Signore. Sarà scaraventato nella maledizione eterna che diverrà per lui morte eterna, che è una vita nella quale non c’è vita, perché c’è solo morte. Amos avvisa il popolo del Signore. Le vostre ingiustizie, le vostre disobbedienze, le vostre astuzie nel compiere il male, le vostre frodi e i vostri inganni altro non fanno che privarvi della benedizione del Signore. Senza la sua benedizione vi sarà per voi solo lutto, dolore, pianto, sofferenza indicibile.

Ascoltate questo, Voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l’efa e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano”». In quel giorno – oracolo del Signore Dio – farò tramontare il sole a mezzogiorno e oscurerò la terra in pieno giorno! Cambierò le vostre feste in lutto e tutti i vostri canti in lamento: farò vestire ad ogni fianco il sacco, farò radere tutte le teste: ne farò come un lutto per un figlio unico e la sua fine sarà come un giorno d’amarezza. Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore Dio – in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore». Allora andranno errando da un mare all’altro e vagheranno da settentrione a oriente, per cercare la parola del Signore, ma non la troveranno.

Non vi è lutto più grande per l’uomo della privazione della Parola del Signore. Se il sole non illuminasse più la terra non produrrebbe tanti danni quanti ne causa la sparizione della Parola di Dio in mezzo ad un popolo. Su quel popolo regnano le tenebre eterne che sanno creare solo morte eterna. Il dono della Parola è la più grande grazia, l’atto più alto della misericordia di Dio. Il Signore ci ama finché sulla terra vi sarà un suo profeta. Quando scompariranno i profeti è il segno che il nostro peccato ci divorerà.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di vera fede nella Parola.

 

2 LUGLIO (Am 9,11-15)

La ricostruirò come ai tempi antichi

La Parola del Signore si riveste di divina fortezza e di grande minaccia perché il peccatore comprenda la gravità del suo stato spirituale e nel pentimento e nella conversione ritorni al suo Dio. Dio però fa tutto perché i suoi figli tornino a Lui. Nel ritorno al suo cuore freme nuovamente di compassione, perdona il figlio perduto, lo accoglie nella sua casa, gli dona ogni dignità, lo eleva nel suo onore, gli conferisce ogni gloria. È quanto accade con il figlio minore che abbandona la sua casa. A lui, in terra lontana, gli parla attraverso una parola dura, quella dei porci. Tornato pentito, gli parla con la parola del Padre misericordioso, pietoso, ricco di amore e di perdono.

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa (Lc 15, 11-24).

Quando Israele è nell’idolatria, immoralità, ogni disordine sociale e spirituale, la parola dei profeti a nulla serve. Il nostro Dio ha una parola che non può non essere udita. È la parola della distruzione, devastazione, peste, fame, spada, esilio, perdita della propria identità. Al figlio minore Dio parla attraverso i porci. Al suo popolo attraverso la distruzione del tempio e la deportazione. Israele a poco a poco inizia a imparare a conoscere questo linguaggio del suo Dio, si pente, si converte, ritorna nella fedeltà. Il popolo torna al suo Dio, aiutato dalla parola efficace di Dio, Dio torna dal suo popolo e compie per Lui tutto il bene che è nella sua onnipotenza di creazione e di salvezza.

In quel giorno rialzerò la capanna di Davide, che è cadente; ne riparerò le brecce, ne rialzerò le rovine, la ricostruirò come ai tempi antichi, perché conquistino il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è stato invocato il mio nome. Oracolo del Signore, che farà tutto questo. Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – in cui chi ara s’incontrerà con chi miete e chi pigia l’uva con chi getta il seme; i monti stilleranno il vino nuovo e le colline si scioglieranno. Muterò le sorti del mio popolo Israele, ricostruiranno le città devastate e vi abiteranno, pianteranno vigne e ne berranno il vino, coltiveranno giardini e ne mangeranno il frutto. Li pianterò nella loro terra e non saranno mai divelti da quel suolo che io ho dato loro», dice il Signore, tuo Dio.

La casa comune di Dio e dell’uomo è la Legge, la Parola, il Comandamento. Dio non può abitare fuori della sua casa. Se l’uomo decide di andare via, uscire, Dio nulla potrà fare per esso. Nel deserto gli ha parlato attraverso i serpenti velenosi. Nella terra per mezzo delle carestie, invasioni dei nemici, schiavitù di ogni sorta. Gli ha parlato anche attraverso la distruzione delle sue città e la perdita di tutti i suoi tesori. Gli ha rivelato il suo peccato permettendo che il tempio venisse depredato e abbattuto. Di certo è questo un linguaggio forte. Ma è il solo che riesce a penetrare nel cuore. Se il Padre non avesse parlato al figlio per mezzo dei porci, mai lui sarebbe tornato a casa. Tutto invece è diverso non appena l’uomo poggia i piedi nella casa della Legge, della Parola, del Comandamento. Il Signore gli ridona tutta la sua dignità perduta e il suo onore.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, convertite il nostro cuore.

 

3 LUGLIO – XIV Domenica T.O. – (Is 66,10-14c)

Come una madre consola un figlio

Per comprendere quanto oggi il Signore dice al suo popolo è giusto che ci lasciamo aiutare da una precedente profezia dello stesso Isaia. Dio vede un popolo falso in ogni relazione con Lui. Anche il culto è intriso di menzogna e inganno. Gli annunzia dove tutta questa idolatria lo condurrà: alla distruzione e annientamento di se stesso. Ma Lui è oltre l’idolatria, la menzogna, la frode, l’inganno, l’immoralità dell’uomo. Lui ama le sue creature di un amore eterno e sempre secondo il suo amore agirà, sempre preparerà cose buone per i suoi figli. Il peccato priva l’uomo dell’amore di Dio e della sua grazia, mai potrà privare Dio del suo amore eterno. Eterno è ed eterno rimane.

Dice il Signore: «Poiché questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani, perciò, eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo; perirà la sapienza dei suoi sapienti e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti». Guai a quanti vogliono sottrarsi alla vista del Signore per dissimulare i loro piani, a coloro che agiscono nelle tenebre, dicendo: «Chi ci vede? Chi ci conosce?». Che perversità! Forse che il vasaio è stimato pari alla creta? Un oggetto può dire del suo autore: «Non mi ha fatto lui»? E un vaso può dire del vasaio: «Non capisce»? Certo, ancora un po’ e il Libano si cambierà in un frutteto e il frutteto sarà considerato una selva. Udranno in quel giorno i sordi le parole del libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno. Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo d’Israele. Perché il tiranno non sarà più, sparirà l’arrogante, saranno eliminati quanti tramano iniquità, quanti con la parola rendono colpevoli gli altri, quanti alla porta tendono tranelli al giudice e rovinano il giusto per un nulla. Pertanto, dice alla casa di Giacobbe il Signore, che riscattò Abramo: «D’ora in poi Giacobbe non dovrà più arrossire, il suo viso non impallidirà più, poiché vedendo i suoi figli l’opera delle mie mani tra loro, santificheranno il mio nome, santificheranno il Santo di Giacobbe e temeranno il Dio d’Israele. Gli spiriti traviati apprenderanno la sapienza, quelli che mormorano impareranno la lezione» (Is 29,13-24).

Il Signore promette al suo popolo che la sua casa è sempre aperta. Mai un solo peccato gliela farà chiudere. Anche i peccati più orrendi, tutte le nefandezze non hanno il potere di chiudere la casa dell’amore eterno di Dio. Le porte del cuore del Padre rimangono sempre aperte. L’uomo però deve porre molta attenzione. Se esce dalla casa dell’amore eterno del suo Dio, non sa se domani vi farà ritorno. Mentre esce e si allontana può essere anche sbranato e divorato dal male. Le porte aperte del cuore del Padre sono il solo fondamento vero della nostra speranza. Però anche le fauci dell’inferno sono aperte. Dobbiamo porre ogni attenzione perché non si finisca in esse.

Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto. Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria. Perché così dice il Signore: «Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi.

Quanto il Signore annunzia al suo popolo crea la vera speranza nel cuore. Possiamo ritornare dal Signore. Lui non ha chiuso le porte della sua casa. Possiamo ritornare da Lui, ma da Lui si torna in un solo modo: nella conversione, nel pentimento, nella richiesta di perdono, nel proponimento fermo, convinto di rimanere sempre con Lui. Chi ritorna, deve avere la ferma volontà di non più uscire. Chi esce deve avere la certezza che potrebbe anche non ritornare. Potrebbe essere divorato prima della sua conversione. Potrebbe peccare contro lo Spirito Santo e allora non vi è più ritorno perché le porte per lui sono chiuse in eterno. Tutte queste cose il Signore le farà. È questo il suo amore eterno. Le offrirà ad ogni uomo. La condizione è una sola: chi le vuole gustare deve abitare nella casa della sua Parola.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la gioia della Parola.

 

4 LUGLIO (Os 2,16.17b-18.21-22)

Ti farò mia sposa nella fedeltà

Dio non vuole vivere con l’uomo una relazione estrinseca dove tutto si risolve in un dare e in un avere. Io ti dono l’obbedienza alla tua Legge e tu mi doni tutti tuoi beni, in modo che io possa vivere da me stesso, per me stesso. Lui vuole divenire con noi un solo cuore, un solo spirito, una sola volontà, una sola vita. Vuole creare una comunione più forte ancora di quella creata tra uomo e donna nello sposalizio. Per questo il Signore lavora con l’uomo: per fare di ogni uomo la sua sposa, trasformandolo nella natura. Vale la pena ascoltare quanto ci riferisce Ezechiele.

Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell’uomo, fa’ conoscere a Gerusalemme tutti i suoi abomini. Dirai loro: Così dice il Signore Dio a Gerusalemme: Tu sei, per origine e nascita, del paese dei Cananei; tuo padre era un Amorreo e tua madre un’Ittita. Alla tua nascita, quando fosti partorita, non ti fu tagliato il cordone ombelicale e non fosti lavata con l’acqua per purificarti; non ti fecero le frizioni di sale né fosti avvolta in fasce. Occhio pietoso non si volse verso di te per farti una sola di queste cose e non ebbe compassione nei tuoi confronti, ma come oggetto ripugnante, il giorno della tua nascita, fosti gettata via in piena campagna.

Passai vicino a te, ti vidi mentre ti dibattevi nel sangue e ti dissi: Vivi nel tuo sangue e cresci come l’erba del campo. Crescesti, ti facesti grande e giungesti al fiore della giovinezza. Il tuo petto divenne fiorente ed eri giunta ormai alla pubertà, ma eri nuda e scoperta.

Passai vicino a te e ti vidi. Ecco: la tua età era l’età dell’amore. Io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità. Ti feci un giuramento e strinsi alleanza con te – oracolo del Signore Dio – e divenisti mia. Ti lavai con acqua, ti ripulii del sangue e ti unsi con olio. Ti vestii di ricami, ti calzai di pelle di tasso, ti cinsi il capo di bisso e ti ricoprii di stoffa preziosa. Ti adornai di gioielli. Ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo; misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una splendida corona sul tuo capo. Così fosti adorna d’oro e d’argento. Le tue vesti erano di bisso, di stoffa preziosa e ricami. Fior di farina e miele e olio furono il tuo cibo. Divenisti sempre più bella e giungesti fino ad essere regina. La tua fama si diffuse fra le genti. La tua bellezza era perfetta. Ti avevo reso uno splendore. Oracolo del Signore Dio (Ez 16,1-14).

Perché il Signore vuole condurre la sua sposa nel deserto e parlare al suo cuore? Perché proprio nel deserto? Il deserto è stato il luogo dell’innamoramento, della conoscenza. Lì, in quel luogo arido, lontano da ogni tentazione dei culti pagani, Israele a poco a poco ha iniziato a conoscere il suo Dio. Si è aperto alla fede in Lui. Lo ha amato come il suo Signore. Ora Dio vuole ripetere quell’esperienza. Questa volta però il deserto sarà molto più duro da attraversare e non durerà solo quaranta anni. Sarà un deserto di schiavitù, umiliazione, asservimento ad un popolo straniero e durerà ben settanta anni, nei quali il suo popolo nuovamente dovrà innamorarsi del suo Dio.

Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor in porta di speranza. E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – mi chiamerai: “Marito mio”, e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore.

Questa profezia si compie tutta in Cristo Gesù. Lui sposa l’umanità, facendola sua vera carne, suo sangue, sua vita. Nell’umanità di Cristo, portata al sommo della fedeltà, del diritto, della giustizia, dell’amore e della benevolenza sulla croce, il Padre celeste, per opera dello Spirito Santo, vuole che ogni altra carme, ogni altro uomo entri, divenendo vero corpo di Gesù Signore. Perché questo possa avvenire Gesù non solo offre se stesso in sacrificio al Padre, dona anche realmente, veramente, sostanzialmente la sua carne da mangiare, perché la nostra carne diventi sua vera carne e ci dona il suo sangue da bere perché il nostro sangue diventi suo sangue, sua vita. È questa l’altissima vocazione dell’uomo: divenire un solo corpo, un solo sangue, un solo spirito, una sola anima in Cristo, per essere vera sposa casta e immacolata per il suo Signore. La tentazione sottrae l’umanità a Cristo per farla sposa di Satana per l’eternità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vere spose di Gesù.

 

5 LUGLIO (Os 8,4-7.11-13)

Ma esse sono considerate come qualcosa di estraneo

L’idolatria di Samaria, cioè del regno del Nord, è stata decretata dal re Geroboamo, al momento stesso della scissione politica. È stato lui a decretare il culto idolatrico, offrendo a Israele due vitelli fusi da adorare. È questo un momento assai triste.

«Che parte abbiamo con Davide? Noi non abbiamo eredità con il figlio di Iesse! Alle tue tende, Israele! Ora pensa alla tua casa, Davide!». Israele se ne andò alle sue tende. Geroboamo fortificò Sichem sulle montagne di Èfraim e vi pose la sua residenza. Uscito di lì, fortificò Penuèl. Geroboamo pensò: «In questa situazione il regno potrà tornare alla casa di Davide. Se questo popolo continuerà a salire a Gerusalemme per compiervi sacrifici nel tempio del Signore, il cuore di questo popolo si rivolgerà verso il suo signore, verso Roboamo, re di Giuda; mi uccideranno e ritorneranno da Roboamo, re di Giuda».

Consigliatosi, il re preparò due vitelli d’oro e disse al popolo: «Siete già saliti troppe volte a Gerusalemme! Ecco, Israele, i tuoi dèi che ti hanno fatto salire dalla terra d’Egitto». Ne collocò uno a Betel e l’altro lo mise a Dan. Questo fatto portò al peccato; il popolo, infatti, andava sino a Dan per prostrarsi davanti a uno di quelli. Egli edificò templi sulle alture e costituì sacerdoti, presi da tutto il popolo, i quali non erano discendenti di Levi. Geroboamo istituì una festa nell’ottavo mese, il quindici del mese, simile alla festa che si celebrava in Giuda. Egli stesso salì all’altare; così fece a Betel per sacrificare ai vitelli che aveva eretto, e a Betel stabilì sacerdoti dei templi da lui eretti sulle alture. Il giorno quindici del mese ottavo, il mese che aveva scelto di sua iniziativa, salì all’altare che aveva eretto a Betel; istituì una festa per gli Israeliti e salì all’altare per offrire incenso (Cfr. 1Re 12,1-33).

Quando il re diviene idolatra, perché non crede più nella parola del Signore, tutto il popolo segue le sue orme. Ma qual è il frutto dell’idolatria? La grande immoralità nel popolo. Il vero Dio crea la vera moralità. I falsi dèi creano falsa moralità. Essi sono dèi senza Comandamenti, senza Parola, senza la Legge, perché sono dèi senza la verità di Dio, dalla quale è la verità dell’uomo. Oggi che anche il cristiano si è consegnato all’idolatria, dal momento che ha trasformato in legge da vivere tutto ciò che è contrario ai Comandamenti del vero Dio, altro non può che raccogliere se non grande immoralità. Lamentarsi dell’immoralità è da stolti. I suoi dèi solo questa possono offrirgli. O il cristiano abbandona i suoi falsi dèi e si consegna al Dio vivo e vero, oppure per lui non vi è alcuna possibilità di creare vera moralità.

Hanno creato dei re che io non ho designati; hanno scelto capi a mia insaputa. Con il loro argento e il loro oro si sono fatti idoli, ma per loro rovina. Ripudio il tuo vitello, o Samaria! La mia ira divampa contro di loro; fino a quando non si potranno purificare? Viene da Israele il vitello di Samaria, è opera di artigiano, non è un dio: sarà ridotto in frantumi. E poiché hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta. Il loro grano sarà senza spiga, se germoglia non darà farina e, se ne produce, la divoreranno gli stranieri. Èfraim ha moltiplicato gli altari, ma gli altari sono diventati per lui un’occasione di peccato. Ho scritto numerose leggi per lui, ma esse sono considerate come qualcosa di estraneo. Offrono sacrifici e ne mangiano le carni, ma il Signore non li gradisce; ora ricorda la loro iniquità, chiede conto dei loro peccati: dovranno tornare in Egitto.

Quando la Legge del Signore è considerata qualcosa di estraneo all’uomo – ed oggi tutta la Legge del Signore è vista come contraria al dio del progresso e della libertà individuale – non vi è spazio se non per l’iniquità, l’ingiustizia, il sopruso, l’arbitrio, il fare ciascuno ciò che gli pare meglio. Né ci si può appellare alle leggi dell’uomo. Queste sono esse stesse inique, immorali, contro la stessa verità dell’uomo. Che forse oggi l’uomo non vuole che la sua falsità di volontà, cuore, sentimento, desiderio, natura venga legalizzata, stabilita per decreto, per legge? Molte leggi dell’uomo non sono forse la legalizzazione della falsità e della menzogna, dell’ingiustizia e dell’iniquità? Geroboamo, legalizzando l’idolatria e dichiarandola religione del regno, ha aperto le porte ad ogni falsità. L’immoralità del regno del Nord superò tutta quella degli altri popoli. Questo fu motivo di grande dispiacere nel Signore.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci adoratori del vero Dio.

 

6 LUGLIO (Os 10,1-3.7-8.12)

Spine e cardi cresceranno sui loro altari

Non appena i vitelli d’oro furono eretti e si instaurò il culto idolatrico in Samaria, subito il Signore mandò il suo profeta per annunziare il suo giudizio sul re e sul popolo.

Un uomo di Dio, per comando del Signore, si portò da Giuda a Betel, mentre Geroboamo stava presso l’altare per offrire incenso. Per comando del Signore quegli gridò verso l’altare: «Altare, altare, così dice il Signore: “Ecco, nascerà un figlio nella casa di Davide, chiamato Giosia, il quale immolerà su di te i sacerdoti delle alture, che hanno offerto incenso su di te, e brucerà su di te ossa umane”». In quel giorno diede un segno, dicendo: «Questo è il segno che il Signore parla: ecco, l’altare si spezzerà e sarà sparsa la cenere che vi è sopra». Appena sentì la parola che l’uomo di Dio aveva proferito contro l’altare di Betel, il re Geroboamo tese la mano ritirandola dall’altare dicendo: «Afferratelo!». Ma la sua mano, tesa contro quello, gli si inaridì e non la poté far tornare a sé. L’altare si spezzò e fu sparsa la cenere dell’altare, secondo il segno dato dall’uomo di Dio per comando del Signore. Presa la parola, il re disse all’uomo di Dio: «Placa il volto del Signore, tuo Dio, e prega per me, perché mi sia resa la mia mano». L’uomo di Dio placò il volto del Signore e la mano del re gli tornò com’era prima. All’uomo di Dio il re disse: «Vieni a casa con me per ristorarti; ti darò un regalo». L’uomo di Dio rispose al re: «Anche se mi darai metà della tua casa, non verrò con te e non mangerò pane né berrò acqua in questo luogo, perché così mi è stato ordinato per comando del Signore: “Non mangerai pane e non berrai acqua, né tornerai per la strada percorsa nell’andata”». Se ne andò per un’altra strada e non tornò per quella che aveva percorso venendo a Betel (1Re 13,1-10).

Il Signore non vuole un popolo infedele, idolatra, immorale, che mangia l’iniquità come il pane. Lo vuole tutto nella sua Parola, nella sua Legge, nei suoi Statuti. Lo vuole fedele al suo comando d’amore, di giustizia, verità. Quando il popolo abbandona il Signore e i suoi profeti, nonostante le minacce, non ritorna al suo Dio, non si converte, non ritorna nel patto solennemente giurato, ratificato con il sangue, allora occorre una causa esterna. È necessario che il cielo e la terra si sconvolgano, che i popoli si mettano in marcia, che vengano, distruggano, abbattano, uccidano, deportino. Ma quando questo accade, allora la distruzione e la devastazione è per quanto è cattivo ed anche per quanto è buono. Vengono sì distrutti i vitelli di Samaria, ma anche il tempio del Dio Altissimo verrà distrutto. Sono questi i frutti dell’idolatria. La caduta sarà preceduta, accompagnata, seguita da un terrore così grande, da desiderare di essere sommersi da monti e da colli che cadono su di essi, anziché sopportare il male che viene dal nemico. Ma sappiamo che neanche questa profezia fu ascoltata.

Vite rigogliosa era Israele, che dava sempre il suo frutto; ma più abbondante era il suo frutto, più moltiplicava gli altari; più ricca era la terra, più belle faceva le sue stele. Il loro cuore è falso; orbene, sconteranno la pena! Egli stesso demolirà i loro altari, distruggerà le loro stele. Allora diranno: «Non abbiamo più re, perché non rispettiamo il Signore. Ma anche il re, che cosa potrebbe fare per noi?». Perirà Samaria con il suo re, come un fuscello sull’acqua. Le alture dell’iniquità, peccato d’Israele, saranno distrutte, spine e cardi cresceranno sui loro altari; diranno ai monti: «Copriteci» e ai colli: «Cadete su di noi». Seminate per voi secondo giustizia e mieterete secondo bontà; dissodatevi un campo nuovo, perché è tempo di cercare il Signore, finché egli venga e diffonda su di voi la giustizia.

Ma il Signore non vuole che il suo popolo perisca, venga distrutto, sia deportato, le sue città devastate, le sue donne sventrate, i suoi figli uccisi. Per questo manda i suoi profeti e il suo invito alla conversione si fa sempre più pressante. Lui vede il male e i suoi frutti prima che maturino e chiede al suo popolo che non li faccia maturare. Questo avviso si riveste per noi di grandissimo significato. La salvezza è dalla fede. Ascolti la Parola della profezia, ti converti, retrocedi dall’idolatria e dall’iniquità, all’istante l’albero secca e non matura più alcun frutto di devastazione e di terrore. Non credi, l’incredulità dona vigore all’albero ed esso produrrà i suoi frutti di morte. Non vi è vita, salvezza, benedizione, se non dalla fede. La fede è accoglienza della Parola del Signore, che giunge a noi attraverso i suoi profeti. Sappiamo che né Giuda, né Samaria ascoltarono i profeti e furono distrutte dal vento distruttore del Nord.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci ascoltatori della Parola.

 

7 LUGLIO (Os 11,1-4.8c-9)

Non darò sfogo all’ardore della mia ira

L’Evangelista Matteo vede in Gesù che torna dall’Egitto il compimento pieno della profezia di Osea. Ogni profezia ha un compimento storico e un compimento pieno. Il Vero Figlio di Dio, l’Unico, Eterno, che si fa carne è Cristo Gesù. Cristo Gesù è in Egitto e il Padre lo fa ritornare nella Terra promessa. Vero perfetto compimento, perché Gesù è il vero, perfetto, eterno, divino, Figlio del Padre da lui generato in principio.

Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno» (Mt 2,13-15.19-23).

Ma qual è il compimento storico, nel tempo immediato, di questa profezia? L’Egitto è il luogo della schiavitù fisica, ma della libertà nello spirito. Nella terra di Canaan Israele è preda della schiavitù dell’idolatria, dell’immoralità, della superstizione, di ogni ingiustizia. È schiavo della sua disumanità. Il Signore, per mezzo dei suoi profeti, senza interruzione, con divina premura sta chiamando il suo popolo ad uscire dalla schiavitù del peccato. Il peccato è un duro padrone. È più duro di ogni faraone e di ogni altro tiranno e despota della terra. Il peccato è un padrone così pesante da uccidere corpo, anima, spirito per l’eternità. Ecco perché è volontà di Dio trarre fuori da questo Egitto di morte fisica e morale il suo popolo. Ma le sue parole producevano l’effetto contrario. Più il Signore alzava la sua voce e più il popolo si immergeva nella morte.

Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira.

In questa profezia il Signore manifesta tutta la sua divina tenerezza, compassione, premura, attenzione per il figlio suo. L’immagine del padre che avvicina alla sua guancia il figlio è rivelatrice di tutta la dolcezza usata da Dio verso il suo popolo. Eppure il Signore potrebbe distruggerlo. Non lo fa. Lui lavora sempre per la salvezza, la redenzione, la pace. Distruzione e morte verranno a loro tempo, ma solo perché prodotte dall’albero del peccato, per non aver voluto il suo popolo ascoltare la sua parola. Dal Libro del Profeta Geremia sappiamo che il Signore lottò per la salvezza di Giuda e di Gerusalemme per più di trent’anni, senza mai venire meno nel suo amore, nella sua dolcezza, nella sua consolazione. Il Padre pensa sempre da Padre. Il suo cuore è di Padre, i suoi pensieri sono di Padre, la sua volontà è di Padre. Quando si dice che Dio, essendo vero Padre, non manda nessuno all’inferno. Si dice una cosa giusta, vera, anzi verissima. Non dobbiamo però mai dimenticarci di aggiungere che l’uomo, avendo un cuore di pietra, di sasso, può ostinarsi a tal punto nel rifiuto del Padre, da sigillare con la morte fisica questa sua ostinazione. Se la morte sigilla lo stato di ribellione dell’uomo al Padre suo, non vi potrà essere posto nel suo Paradiso. L’uomo ha rifiutato per sempre il Padre. Ha voluto lui non averlo come Padre.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, convertite i nostri cuori.

 

8 LUGLIO (Os 14,2-10)

Poni sempre nel tuo Dio la tua speranza

Dio, solo Lui, è l’unica speranza dell’uomo. Quando però diciamo “Dio”, dobbiamo chiarire che non ogni “Dio” è vera speranza, ma solo il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe. Ma anche se siamo adoratori dell’unico e solo Dio vivo e vero, una ulteriore puntualizzazione è più che necessaria. Non è Dio da se stesso la sola speranza vera dell’uomo. È invece l’obbedienza alla sua Parola, l’ascolto della sua voce, la conformazione della nostra vita ai suoi Comandamenti. Dio e Parola, Dio e voce, Dio e Comandamenti, Dio e Tavole della Legge, sono una cosa sola. Chi è senza la Parola, la voce, i Comandamenti, le Tavole della Legge, è senza Dio. È un idolatra.

Èfraim si sente minacciato. Vede che la sua speranza sta per crollare. Non cerca il suo fondamento nella Legge, nei Comandamenti, nell’obbedienza alla Parola del suo Dio. La cerca invece in alleanze effimere. È convinto che l’Egitto gli possa dare ciò che lui non possiede. Ritiene cioè che Dio e l’Egitto siano in qualche modo uguali, anzi ritiene che l’Egitto possa supplire in tutto il suo Dio. Addirittura è convinto che ciò che Dio non può fare per la sua salvezza, lo potrà sempre fare l’Egitto. Questa è la stoltezza dell’uomo. Non sa che al di fuori del Signore, del vero Dio nessuna speranza si potrà mai fondare. Non esiste uomo che possa sostituire Dio, il suo Creatore e Signore.

Ma oggi l’uomo non è caduto nel medesimo peccato di stoltezza e insipienza? Non crede forse che ormai sia la scienza, il progresso, il denaro, la politica, le armi, il fondamento della sua speranza? Non sta la nostra società espellendo Dio dalla sua creazione, ritenendolo un ostacolo alla vita, al progresso, al benessere, alla vera socialità? Tolto Dio dalla vita, si toglie il fondamento di ogni vera speranza. L’uomo si costruisce sul vuoto assoluto, sul niente. Tolto Dio la sua è solo speranza di peccato. Ma noi sappiamo che il peccato è un veleno di morte e di conseguenza la morte è la sola speranza che l’uomo oggi sa costruire. La vita è solo in Dio e per Lui.

Quando Dio viene espulso dalla sua terra, ogni uomo perde il suo diritto. Non vi è vero diritto senza Dio. La terra viene governata da chi è più malvagio, astuto, perverso, potente. Oggi non vi sono forse persone così forti da potersi comprare anche i governi degli stati per soli trenta denari? Che tutte le guerre non nascono forse dalla volontà di conquistare punti di potere e di forza? Ogni governo che priva di un solo diritto un solo uomo, è un governo iniquo. Non lavora per il bene dell’umanità, ma per il suo danno. Una umanità che manda i suoi figli ad uccidere e ad essere uccisi, di certo non ama, mai potrà amare. Manca del vero Dio che è la sorgente del vero amore.

Èfraim si pasce di vento e insegue il vento d’oriente, ogni giorno moltiplica menzogne e violenze; fanno alleanze con l’Assiria e portano olio in Egitto. Il Signore è in causa con Giuda e punirà Giacobbe per la sua condotta, lo ripagherà secondo le sue azioni. Egli nel grembo materno soppiantò il fratello e da adulto lottò con Dio, lottò con l’angelo e vinse, pianse e domandò grazia. Lo ritrovò a Betel e là gli parlò. Signore, Dio degli eserciti, Signore è il nome con cui celebrarlo. Tu ritorna al tuo Dio, osserva la bontà e la giustizia e poni sempre nel tuo Dio la tua speranza. Canaan tiene in mano bilance false, ama frodare. Èfraim ha detto: «Sono ricco, mi sono fatto una fortuna; malgrado tutti i miei guadagni, non troveranno in me una colpa che sia peccato». «Eppure io sono il Signore, tuo Dio, fin dal paese d’Egitto. Ti farò ancora abitare sotto le tende, come ai giorni dell’incontro nel deserto.

Ma il vero Dio è più grande del peccato dell’uomo e di ogni sua miseria spirituale. Lui è il Dio della vita, della salvezza, della speranza, del perdono, della pace. Lui vuole dare sempre speranza ad ogni uomo. L’uomo però, se vuole ritornare a sperare, deve abitare nella sua Parola, obbedire alla sua voce, conformare la sua vita alla sua Santa Legge. L’amore eterno, infinito è di Dio. Esso però per produrre frutti di vita deve incontrarsi, sposarsi con l’obbedienza dell’uomo alla Parola di Dio. Quando questo sposalizio si compie, è allora che l’uomo diviene creatore di speranza, portatore nel mondo della vera vita. Lui ha posto il suo solido fondamento nella Parola del suo Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci ascoltatori della Parola.

 

9 LUGLIO (Is 6,1-8)

Chi manderò e chi andrà per noi?

La vocazione di Isaia è unica nel suo genere. Finora è stato sempre il Signore a chiamare e a inviare. Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Giosuè, tutti i Giudici sono tutti chiamati dal Signore. È stato sempre Lui a manifestare ad essi la sua volontà e di conseguenza la missione da assolvere. Anche Samuele che è stato offerto dalla madre al servizio del tempio, è stato il Signore a chiamarlo.

La lampada di Dio non era ancora spenta e Samuele dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio. Allora il Signore chiamò: «Samuele!» ed egli rispose: «Eccomi», poi corse da Eli e gli disse: «Mi hai chiamato, eccomi!». Egli rispose: «Non ti ho chiamato, torna a dormire!». Tornò e si mise a dormire. Ma il Signore chiamò di nuovo: «Samuele!»; Samuele si alzò e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Ma quello rispose di nuovo: «Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!». In realtà Samuele fino ad allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Il Signore tornò a chiamare: «Samuele!» per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuele: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”». Samuele andò a dormire al suo posto. Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: «Samuele, Samuele!». Samuele rispose subito: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta» (Cfr. 1Sam 3,1-18).

La madre lo offre, il Signore lo chiama. Dio è l’autore diretto della vocazione. Con Isaia tutto cambia. Dio manifesta le sue esigenze, rivela che non ha nessuno da mandare. Non trova alcun uomo cui affidare la missione di profeta. Isaia vorrebbe proporsi. Si reputa un peccatore. Il Signore manda un Angelo a purificarlo. Lui si offre: “Eccomi, manda me!”. Da questo momento cambia tutta la relazione dell’uomo e di Dio in ordine alla vocazione. Ogni uomo, mosso dallo Spirito Santo, vedendo le esigenze e necessità di salvezza sia del popolo di Dio che dell’intera umanità, può offrire se stesso al Signore e il Signore di certo lo inonderà con il suo Santo Spirito, perché svolga la missione che Lui gli affiderà. Non occorre più la vocazione diretta. Ognuno può dire al Signore: “Eccomi, manda me! Sono tutto a tuo servizio”.

Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria». Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».

Nella Chiesa la vocazione è oggi quasi sempre per via indiretta. Lo Spirito Santo muove il cuore ad offrirsi, il cuore si offre, i Vescovi accolgono la vocazione e la instradano perché possa maturare fino alla sua consacrazione sacramentale, se è vocazione al presbiterato, o alla consacrazione non sacramentale, se è finalizzata ad altre forme di vita. Questo però non toglie che il Signore possa oggi e sempre intervenire Lui direttamente nella storia e chiamare chi vuole, per qualsiasi ministero. Alla chiamata diretta del Signore sempre si deve poi affiancare l’opera della Chiesa, chiamata a portare a compimento l’opera iniziata dal Signore. Paolo è stato chiamato sulla via di Damasco. Ma subito fu affidato alla Chiesa per completare in lui ciò che mancava per essere pienamente idoneo a compiere la missione voluta dal Cielo. Il Signore e la sua Chiesa sempre lavorano in perfetta sinergia. Resta stabile in eterno la verità che tutti possono offrirsi a Dio per una speciale, particolare missione di salvezza. Quando una persona si offre, la Chiesa accoglie e completa l’opera nella persona.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, suscitate operai per la Chiesa.

 

10 LUGLIO – XV Domenica T.O. – (Dt 30,10-14)

È nella tua bocca e nel tuo cuore

La vicinanza della Parola del Signore è purissima verità. Dio mai abbandona l’uomo a se stesso, privandolo del conforto, della luce, della grazia che nasce dalla sua Parola, data a lui o in modo indiretto, sotto forma di sapienza del cuore, o in modo diretto per mezzo della Legge, del Comandamento della Profezia, della Predicazione o di altre vie udibili attraverso le quali la divina Parola giunge al suo orecchio. Dalla verità, dalla luce, dalla giustizia, l’uomo è sempre dal suo Creatore e Signore. Mosè proprio questa verità ricorda al suo popolo. San Paolo dirà in seguito, nella Lettera ai Romani, che la Parola è Cristo. Il Cristo di Paolo è anche il suo Corpo, la sua Chiesa.

Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera salgono a Dio per la loro salvezza. Infatti rendo loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza. Perché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. Ora, il termine della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque crede. Mosè descrive così la giustizia che viene dalla Legge: L’uomo che la mette in pratica, per mezzo di essa vivrà. Invece, la giustizia che viene dalla fede parla così: Non dire nel tuo cuore: Chi salirà al cielo? – per farne cioè discendere Cristo –; oppure: Chi scenderà nell’abisso? – per fare cioè risalire Cristo dai morti. Che cosa dice dunque? Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore, cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene! Ma non tutti hanno obbedito al Vangelo. Lo dice Isaia: Signore, chi ha creduto dopo averci ascoltato? Dunque, la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo (Rm 10,1-17).

Qual è il ministero della Chiesa? Rendere presente Cristo, Parola eterna del Padre, unica e sola Parola di salvezza, presso ogni uomo, di ogni tempo. La Chiesa deve far sì che nessuno possa dire: la Parola della salvezza è troppo lontana da me. È nel cielo e io non sono potuto salirvi. È negli abissi e io non sono potuto discendervi. Cristo Gesù è la Parola discesa dal Cielo. La Chiesa è la presenza della Parola di Cristo e di Cristo Parola del Padre, in mezzo agli uomini. Se un solo uomo non ascolta la Parola, la responsabilità è della Chiesa. Non ha dato vera vita alla sua missione, oppure l’ha svolta in modo non conforme alla divina volontà che Cristo le ha manifestato.

Il Signore, infatti, gioirà di nuovo per te facendoti felice, come gioiva per i tuoi padri, quando obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e quando ti sarai convertito al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima. Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica.

Sempre la Chiesa dovrà convincere se stessa che la vita e la gioia, la beatitudine e la benedizione, sono dalla Parola di Cristo Gesù. Vivendo essa di Parola, dovrà annunziare ad ogni uomo come la Parola si vive e i frutti che essa produce. Se i frutti non vengono mostrati, è segno che non si vive di Parola. Una Chiesa che non vive di Parola mai potrà convincere un solo uomo a vivere di Parola. Se la Parola non serve alla Chiesa potrà servire ad una sola persona della terra? Una Chiesa forte nella fede nella Parola diviene presenza in mezzo agli uomini della luce della Parola.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci presenza della Parola.

 

11 LUGLIO (Pr 2,1-9)

Allora comprenderai l’equità e la giustizia

L’uomo è eternamente dalla Parola del suo Dio. Se ascolta vive. Se non ascolta muore. Questa verità non gli è stata data dopo il peccato, ma prima. Dal momento della sua creazione lui è dalla Parola del Signore. Mai fu da se stesso.

Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gen 1,28). Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire» (Gen 2,16-17).

È missione del Padre educare il figlio all’ascolto. L’educazione all’ascolto esige e richiede un padre che lui stesso ascolta e vive di purissima obbedienza alla Parola.

Questi sono i comandi, le leggi e le norme che il Signore, vostro Dio, ha ordinato di insegnarvi, perché li mettiate in pratica nella terra in cui state per entrare per prenderne possesso; perché tu tema il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni. Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto. Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi 9e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.

Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: “Che cosa significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore, nostro Dio, vi ha dato?”, tu risponderai a tuo figlio: “Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l’Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. Ci fece uscire di là per condurci nella terra che aveva giurato ai nostri padri di darci. Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore, nostro Dio, così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi. La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore, nostro Dio, come ci ha ordinato” (Cfr. Dt 6,1-25).

Se il padre non ascolta, mai potrà insegnare l’ascolto al figlio. Potrà mai un ladro insegnare l’onestà al figlio e un adultero come si vive di fedeltà? Potrà un idolatra e un immorale condurre il figlio sulla via della fedeltà ai Comandamenti e alla Legge del Signore? Il padre sarà vero educatore del figlio, se lui stesso vive della Parola del suo Dio, consumando in essa e per essa tutti i giorni della sua vita. È la sua fedeltà a Dio che lo rende vero maestro e può insegnare al figlio come si ascolta il Signore.

Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole e custodirai in te i miei precetti, tendendo il tuo orecchio alla sapienza, inclinando il tuo cuore alla prudenza, se appunto invocherai l’intelligenza e rivolgerai la tua voce alla prudenza, se la ricercherai come l’argento e per averla scaverai come per i tesori, allora comprenderai il timore del Signore e troverai la conoscenza di Dio, perché il Signore dà la sapienza, dalla sua bocca escono scienza e prudenza. Egli riserva ai giusti il successo, è scudo a coloro che agiscono con rettitudine, vegliando sui sentieri della giustizia e proteggendo le vie dei suoi fedeli. Allora comprenderai l’equità e la giustizia, la rettitudine e tutte le vie del bene,

La fedeltà del padre al suo Signore è la sola via perché il figlio apprenda come il Signore va ascoltato servito, obbedito. Mai l’insegnamento dovrà venire dal libro. Il vero libro dal quale si attinge ogni vera dottrina è il cuore nel quale abita il Signore. Se nel cuore non abita Dio, da esso mai si potrà trarre una sola parola di verità, saggezza, prudenza, sapienza. Il padre potrà anche ammaestrare il figlio, ma tutto sarà sterile. Lui non parla dal suo Dio, ma da se stesso. Il suo insegnamento è vano.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fate vero ogni insegnamento.

 

12 LUGLIO (Is 7,1-9)

Ma se non crederete, non resterete saldi

La mente dell’uomo e i suoi pensieri, se non viene ancorata alla Parola del Signore, vive perennemente in uno stato di vaneggiamento, che spesso si trasforma in pura follia. Sulla follia, sul vaneggiamento mai si potrà costruire una società. Questa ha bisogno di verità forti per costruire se stessa e queste verità non sono dalla sua natura, ma dalla natura eterna del suo Dio, dalla cui Parola tutto l’universo visibile e invisibile, per sua volontà manifestata ed espressa, è stato creato.

Quando un uomo vaneggia per se stesso e vive di follia, perché sganciato dalla sua verità di origine, che sempre gli viene ricordata dalla Parola del suo Creatore, si trasforma in un cancro di tenebra per tutta la società nella quale vive. Le sue decisioni, frutto di stoltezza e insipienza, sono causa di distruzione e di morte, di povertà e miseria per tutti coloro con i quali lui viene a contatto. La storia ogni giorno ci pone dinanzi ad una follia distruttrice della comunità, ma nessuno vi pone attenzione.

Ci si lamenta sempre della follia e del vaneggiamento degli altri. Ci dimentichiamo che è la nostra follia e il nostro vaneggiamento che danno forza al vaneggiamento e alla follia degli altri. Sarebbe sufficiente che ognuno vivesse di sapienza, saggezza, prudenza, temperanza, accortezza, per rendere nulla, innocua la follia degli altri. Un vaneggiamento non assecondato da un altro vaneggiamento, rimane senza vigore, inefficace. Così dicasi anche di una follia. Questa per esplodere ha bisogno di incontrare, sposare, alimentarsi di un’altra follia. Follia con follia genera miseria.

Il popolo del Signore vive in uno stato di follia e di vaneggiamento. Crede che il Signore non sia capace di proteggere Gerusalemme. Essendo Dio non più utile al popolo, è giusto cercare altre alleanze con uomini che diano più grandi garanzie di quelle offerte dal loro Dio. Il Signore dona un segno potente della sua presenza di liberazione e di salvezza. Manda il profeta perché riferisca al suo popolo che Gerusalemme non sarà conquistata e che l’esercito invasore se ne tornerà per la strada dalla quale è venuto. Così Lui ha deciso e così avverrà. Nessuno ha mai potuto contrastare né tanto meno opporsi per rendere nulla una sola decisione del Signore.

Nei giorni di Acaz, figlio di Iotam, figlio di Ozia, re di Giuda, Resin, re di Aram, e Pekach, figlio di Romelia, re d’Israele, salirono contro Gerusalemme per muoverle guerra, ma non riuscirono a espugnarla. Fu dunque annunciato alla casa di Davide: «Gli Aramei si sono accampati in Èfraim». Allora il suo cuore e il cuore del suo popolo si agitarono, come si agitano gli alberi della foresta per il vento. Il Signore disse a Isaia: «Va’ incontro ad Acaz, tu e tuo figlio Seariasùb, fino al termine del canale della piscina superiore, sulla strada del campo del lavandaio. Tu gli dirai: “Fa’ attenzione e sta’ tranquillo, non temere e il tuo cuore non si abbatta per quei due avanzi di tizzoni fumanti, per la collera di Resin, degli Aramei, e del figlio di Romelia. Poiché gli Aramei, Èfraim e il figlio di Romelia hanno tramato il male contro di te, dicendo: Saliamo contro Giuda, devastiamolo e occupiamolo, e vi metteremo come re il figlio di Tabeèl. Così dice il Signore Dio: Ciò non avverrà e non sarà! Perché capitale di Aram è Damasco e capo di Damasco è Resin. Capitale di Èfraim è Samaria e capo di Samaria il figlio di Romelia. Ancora sessantacinque anni ed Èfraim cesserà di essere un popolo. Ma se non crederete, non resterete saldi”».

La grazia della salvezza viene data a Giuda e a Gerusalemme come purissimo segno perché tutto il popolo ritorni a credere nella Parola del suo Dio. Dio è nella Parola. Il popolo è fuori della Parola. Dio mai potrà aiutare un popolo che non vive in comunione con Lui e la comunione è nella Parola. Il popolo entra nella Parola, vive di essa e per essa, Dio vive nel popolo per il popolo. La fede non è in Dio. È nella Parola di Dio e nel Dio secondo la Parola. Tutti credono in Dio. Questa non è fede. È vaneggiamento puro, è follia assoluta. Questo Dio è il primo frutto del vaneggiamento e della follia che governa cuore e mente dell’uomo. Questo Dio mai potrà dare stabilità. È un Dio senza verità, identità, fedeltà, amore, giustizia, lealtà. La stabilità viene solo dal Dio che si trova nella Parola, che è Parola da trasformare in obbedienza.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la vera fede nella Parola.

 

13 LUGLIO (Is 10,5-7.13-16)

Arderà un incendio come incendio di fuoco

È vera follia, puro vaneggiamento il solo pensarsi autonomi, indipendenti, liberi dal Signore, dal Creatore, dal Dio che ci ha fatto e dal quale perennemente siamo. L’uomo, per stoltezza e insipienza, può anche decidere di essere senza Dio. Mai però Dio deciderà di abdicare alla sua Signoria sull’uomo. Lui è il Signore e rimarrà in eterno il suo Signore. Non solo è il Signore, è anche il suo Redentore, il suo Salvatore, il suo Giudice. Se non fosse tutto questo non sarebbe più Dio per l’uomo. Potrebbe essere anche un Dio che è nei cieli, ma non il Dio dell’uomo, il Dio per l’uomo, il Dio con l’uomo. Mancherebbe della sua verità eterna. Un Dio senza verità non è più Dio.

Come unico e solo vero Dio, Dio vigila perché l’uomo sia anche vero uomo. Non solo vigila, interviene efficacemente nella storia perché l’uomo ritorni nella sua verità. È questa la redenzione: portare l’uomo nella sua verità, dargli ogni grazia perché possa vivere di verità, per la verità. Ma qual è la verità dell’uomo, la sola ed unica verità? Vivere nella Parola, realizzando la Parola, mostrando come si vive di Parola, nella Parola, per la Parola. Se l’uomo non vive di Parola, nella Parola, secondo la Parola, lui mai entrerà in possesso della sua verità. Non conoscerà il Signore. Morirà di vaneggiamento e di follia. Penserà di essere in Dio e con Lui, mentre in realtà lui possiede solo un idolo al quale presta il suo culto di falsità e di molta menzogna.

Il vaneggiamento e la follia è l’errore di tutti i popoli. Essi credono che la storia è nelle loro mani e che tutto è dalla loro potenza. Essi non sanno che tutto invece è sotto la sola ed unica Signoria del loro Creatore e Dio. La profezia di Isaia è chiara e inequivocabile. Un popolo può essere anche strumento attraverso il quale il Signore esercita la sua giustizia, il suo diritto, il suo giudizio. Il popolo-strumento mai però deve pensarsi autonomo da colui che lo usa come verga per la sua giustizia e il suo giusto giudizio. Sempre si deve pensare come una verga nelle mani di Dio. Ora qual è il principio operativo della verga? Non è essa che decide cosa fare e cosa non fare. È colui che la tiene in mano il solo che può decidere come essa dovrà essere usata. Questa verità deve ricordare ad ogni uomo, che sempre nel rapporto con altro uomo, altro popolo, altra civiltà, sempre ci si deve pensare come strumenti nelle mani di Dio. Quando ci si separa da questa verità, è allora che si vaneggia e si diviene folli.

Oh! Assiria, verga del mio furore, bastone del mio sdegno! Contro una nazione empia io la mando e la dirigo contro un popolo con cui sono in collera, perché lo saccheggi, lo depredi e lo calpesti come fango di strada. Essa però non pensa così e così non giudica il suo cuore, ma vuole distruggere e annientare non poche nazioni. Poiché ha detto: «Con la forza della mia mano ho agito e con la mia sapienza, perché sono intelligente; ho rimosso i confini dei popoli e ho saccheggiato i loro tesori, ho abbattuto come un eroe coloro che sedevano sul trono. La mia mano ha scovato, come in un nido, la ricchezza dei popoli. Come si raccolgono le uova abbandonate, così ho raccolto tutta la terra. Non vi fu battito d’ala, e neppure becco aperto o pigolìo». Può forse vantarsi la scure contro chi se ne serve per tagliare o la sega insuperbirsi contro chi la maneggia? Come se un bastone volesse brandire chi lo impugna e una verga sollevare ciò che non è di legno! Perciò il Signore, Dio degli eserciti, manderà una peste contro le sue più valide milizie; sotto ciò che è sua gloria arderà un incendio come incendio di fuoco;

L’Assiria, scelta da Dio come suo strumento, per punire Gerusalemme a causa dei suoi peccati, va ben oltre la strumentalità che avrebbe dovuto vivere. Si è resa autonoma da Dio e da verga nelle mani del Signore ha scelto di essere verga per se stessa, commettendo molte ingiustizie e compiendo azioni empie e malvage. Per ogni azione iniqua il Signore dovrà intervenire. Per questo viene detto che sotto ciò che è sua gloria arderà un incendio come incendio di fuoco. Questo avverrà perché ogni altro popolo comprenda che in ogni azione da chiunque essa venga posta in essere, vi dovranno sempre regnare giustizia, equità, assenza di ogni male arbitrario e dispotico. Nell’attuazione del giusto giudizio del Signore la pena dovrà essere secondo la volontà di Dio. Mai secondo il vaneggiamento e la follia dell’uomo. Di tutto Giudice è Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fate veri strumenti del Signore.

 

14 LUGLIO (Is 26,7-9.12.16-19)

Ma di nuovo vivranno i tuoi morti

Oggi il profeta si fa vera coscienza del suo popolo. Vede Gerusalemme come una donna che si agita per le doglie del parto. Che si affatica e soffre. Ma ogni suo dolore, sofferenza, affanno cosa produce? Il nulla. Non genera alcuna salvezza. Non dona alcun figlio al mondo. Sono doglie e dolori dai quali non nasce la vita. È una falsa gravidanza. Di conseguenza sarà anche un falso parto. Non nasce alcuna vita.

È giusto allora che ci chiediamo: perché tutta questa sofferenza inutile e questo lavoro vano? Perché Gerusalemme fa ogni cosa per partorire solo vento che poi si disperde nell’aria e svanisce? La risposta è solo una: perché essa si è pensata incinta, ma incinta non era. Non lo era perché l’uomo può essere fecondato solo dalla divina Parola. Quando la divina Parola entra nel suo cuore, nella sua anima, nel suo corpo, nelle sue viscere, essa feconda di verità tutto l’essere dell’uomo e lo rende albero che fruttifica ogni buon frutto che dona vita. Quando invece Gerusalemme si feconda con parole della terra, pensieri di questo mondo, la sua è una falsa sterilità e un falso parto. Questa verità la troviamo rivelata anche nella Prima Lettera di Pietro.

E se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio. Dopo aver purificato le vostre anime con l’obbedienza alla verità per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna. Perché ogni carne è come l’erba e tutta la sua gloria come un fiore di campo. L’erba inaridisce, i fiori cadono, ma la parola del Signore rimane in eterno. E questa è la parola del Vangelo che vi è stato annunciato (1Pt 1,17-25).

Chi vuole produrre frutti di vita eterna sempre si deve lasciare fecondare con la divina Parola. Se la Parola non feconda i pensieri, il cuore, lo spirito, la mente, l’anima, il corpo, l’uomo vivrà di una sterilità eterna. Mai produrrà un solo frutto di vita eterna. Anzi i suoi frutti non sono sterili, senza forza di rigenerare la vita, sono frutti di morte che danno morte a tutti coloro che li mangeranno. Solo la divina Parola è frutto di vita.

Il sentiero del giusto è diritto, il cammino del giusto tu rendi piano. Sì, sul sentiero dei tuoi giudizi, Signore, noi speriamo in te; al tuo nome e al tuo ricordo si volge tutto il nostro desiderio. Di notte anela a te l’anima mia, al mattino dentro di me il mio spirito ti cerca, perché quando eserciti i tuoi giudizi sulla terra, imparano la giustizia gli abitanti del mondo. Signore, ci concederai la pace, perché tutte le nostre imprese tu compi per noi. Signore, nella tribolazione ti hanno cercato; a te hanno gridato nella prova, che è la tua correzione per loro. Come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fronte a te, Signore. Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza alla terra e non sono nati abitanti nel mondo. Ma di nuovo vivranno i tuoi morti. I miei cadaveri risorgeranno! Svegliatevi ed esultate voi che giacete nella polvere.

I profeti sono sempre i creatori della vera speranza. Isaia vede il suo popolo condannato a morte dai frutti di non Parola di cui esso si nutre. Gli annunzia che il Signore non lo abbandona alla sua morte. Gli rivela che il suo Dio è il Dio della vita. I morti che sono in Gerusalemme vivranno. I cadaveri che abitano in essa risorgeranno. Quanti giacciono nella polvere sono invitati a svegliarsi e ad esultare per questa opera di risurrezione che il Signore si accinge ad operare. Il peccato non è l’ultima parola della storia. È Dio la parola sempre attuale. La Parola però produce vita in noi, quando noi ci lasciamo fecondare interamente da essa. Senza la Parola si è sterili in eterno.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fecondateci di divina Parola.

 

15 LUGLIO (Is 38,1-6.21-22.7-8)

Io aggiungerò ai tuoi giorni quindici anni

Ezechia è invitato a dare disposizioni per la sua casa, perché l’ora della sua morte è venuta. Il momento di lasciare questo mondo giunge per tutti. Ogni uomo è un pellegrino verso l’eternità. Chi prima e chi dopo tutti approdiamo in essa. Il re non vuole morire e innalza al suo Dio una preghiera in cui manifesta tutto il suo dolore e il suo disappunto. Tutto si aspettava, ma non che fosse giunta la sua ora.

«Io dicevo: “A metà dei miei giorni me ne vado, sono trattenuto alle porte degli inferi per il resto dei miei anni”. Dicevo: “Non vedrò più il Signore sulla terra dei viventi, non guarderò più nessuno fra gli abitanti del mondo. La mia dimora è stata divelta e gettata lontano da me, come una tenda di pastori. Come un tessitore hai arrotolato la mia vita, mi hai tagliato dalla trama. Dal giorno alla notte mi riduci all’estremo. Io ho gridato fino al mattino. Come un leone, così egli stritola tutte le mie ossa. Dal giorno alla notte mi riduci all’estremo. Come una rondine io pigolo, gemo come una colomba. Sono stanchi i miei occhi di guardare in alto. Signore, io sono oppresso: proteggimi”. Che cosa dirò perché mi risponda, poiché è lui che agisce? Fuggirò per tutti i miei anni nell’amarezza dell’anima mia. Il Signore è su di loro: essi vivranno. Tutto ciò che è in loro è vita del suo spirito. Guariscimi e rendimi la vita. Ecco, la mia amarezza si è trasformata in pace! Tu hai preservato la mia vita dalla fossa della distruzione, perché ti sei gettato dietro le spalle tutti i miei peccati. Perché non sono gli inferi a renderti grazie, né la morte a lodarti; quelli che scendono nella fossa non sperano nella tua fedeltà. Il vivente, il vivente ti rende grazie, come io faccio quest’oggi. Il padre farà conoscere ai figli la tua fedeltà. Signore, vieni a salvarmi, e noi canteremo con le nostre cetre tutti i giorni della nostra vita, nel tempio del Signore» (Is 38,10-20).

Il Signore ascolta il grido del re e gli concede ancora quindi anni. Gli dona anche il segno. Il sole torna indietro di dieci gradi sulla meridiana di Ezechia. Se ognuno deve tenersi sempre pronto perché in ogni istante il suo viaggio sulla terra potrebbe dirsi concluso, tutti però possono chiedere al Signore la grazia che dia loro ancora più tempo per portare a compimento la missione da essi ricevuta. Dio è grande anche in questo: per il nostro più grande bene e per il bene di ogni altro uomo, può concederci altri giorni, altri anni, prima di chiamarci nell’eternità. Ezechia prega e il Signore lo ascolta. Morte e vita, tempo ed eternità sono nelle mani del Signore.

In quei giorni Ezechia si ammalò mortalmente. Il profeta Isaia, figlio di Amoz, si recò da lui e gli disse: «Così dice il Signore: “Da’ disposizioni per la tua casa, perché tu morirai e non vivrai”». Ezechia allora voltò la faccia verso la parete e pregò il Signore dicendo: «Signore, ricòrdati che ho camminato davanti a te con fedeltà e con cuore integro e ho compiuto ciò che è buono ai tuoi occhi». Ed Ezechia fece un gran pianto. Allora la parola del Signore fu rivolta a Isaia dicendo: «Va’ e riferisci a Ezechia: “Così dice il Signore, Dio di Davide, tuo padre: Ho udito la tua preghiera e ho visto le tue lacrime; ecco, io aggiungerò ai tuoi giorni quindici anni. Libererò te e questa città dalla mano del re d’Assiria; proteggerò questa città”. Isaia disse: «Si vada a prendere un impiastro di fichi e si applichi sulla ferita, così guarirà». Ezechia disse: «Qual è il segno che salirò al tempio del Signore?». Da parte del Signore questo ti sia come segno che il Signore manterrà questa promessa che ti ha fatto. Ecco, io faccio tornare indietro di dieci gradi l’ombra sulla meridiana, che è già scesa con il sole sull’orologio di Acaz». E il sole retrocesse di dieci gradi sulla scala che aveva disceso.

Chi prega deve credere che nulla è impossibile a Dio. Mosè prega e il Mare si apre. Giosuè prega e il sole si ferma. Ezechia prega e il sole ritorna indietro sulla sua meridiana e la vita gli viene allungata di ben quindici anni. Elia prega e per sei anni e sei mesi non cade acqua dal cielo. Prega e la pioggia ritorna. Prega e il fuoco discende dal cielo e brucia tutto l’olocausto preparato in onore del Signore. Lui prega e risuscita anche un bambino morto. La forza della loro preghiera è la fede. Abramo intercede per Sodoma e il Signore è anche disposto a non far piovere fuoco dal cielo su di essa. A noi è chiesto di pregare con la stessa fede. Si prega però dalla Parola del Signore, dimorando in essa. La prima fede è nella Parola. Si crede nella Parola, si entra in essa, si vive per essa, si prega da essa. Il Signore non può non ascoltare il nostro grido.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci persone di vera fede.

 

16 LUGLIO (Mi 2,1-5)

Una sciagura da cui non potranno sottrarre il collo

Il Decalogo, o Legge dell’Alleanza, è il fondamento di ogni vera socialità. Nessuna comunità umana potrà mai costituirsi, se non la si fonda sulle due tavole consegnate da Dio a Mosè. Il rispetto delle cose, della vita, del nome, della famiglia, dei genitori, della stessa religione, mai potrà essere fondato su norme e prescrizioni umane. Solo chi ha creato l’uomo può e deve manifestare all’uomo come deve vivere da vero uomo.

La prima regola per essere vero uomo è riconoscere il Dio che l’ha fatto, l’ha creato. Non solo si deve conoscere il vero Dio, a Lui si deve prestare ogni obbedienza. Se uno è il Creatore dell’uomo, a uno solo si deve prestare obbedienza. Prestare obbedienza a chi non è Dio, è idolatria. Per cui è obbligo di ogni uomo cercare il vero Dio, perché a Lui solo presti l’ossequio del suo cuore, della sua mente, del suo corpo.

Poiché è il vero Dio che sempre va in cerca dell’uomo e a lui si manifesta, chiedendo l’obbedienza alla sua voce, è obbligo dell’uomo accogliere quanto il vero Dio rivela di sé e secondo la verità data cammini per tutti i giorni della sua vita. Poiché dalla verità del suo Dio nasce anche la verità dell’uomo, lui è obbligato a rispettare ogni verità; di Dio, dell’uomo, delle cose, dell’intera creazione visibile e invisibile.

Qual è la verità dell’uomo di fronte alle cose di questa terra? L’uomo può usare le cose in ragione del suo lavoro, del sudore della sua fronte. Ciò che lui suda è suo, ciò che lui non suda mai potrà dirsi suo. Usurpare, prendere, fare proprio ciò che è degli altri, contraddice sostanzialmente la verità di Dio, dell’uomo, delle cose. Chi fa queste cose, si pone fuori della verità di Dio, di se stesso, delle cose.

Né l’uomo può pensare di poter fare ciò che vuole, tanto la sua forza, la sua intelligenza, la sua astuzia non teme alcun giudizio degli uomini. Potrà lui evitare il giudizio degli uomini e potrà anche comprarsi tutti i giudici della terra, Dio però mai lo potrà comprare e sempre Lui viene per operare il suo giudizio, non solo nell’ultimo giorno, quando non vi è più riparo, ma anche nella storia, oggi, in questo tempo.

Qual è la differenza tra il giudizio dell’ultimo giorno e quello nella storia? Il giudizio dell’ultimo giorno è definitivo. Non vi è più alcuna possibilità di conversione. Si è salvati, si è perduti per l’eternità. Il giudizio nella storia, nel tempo, è operato per condurre l’uomo a conversione, a pentimento, perché possa rientrare nella sua verità: verità di Dio, di se stesso, delle cose. Dal ritorno nella verità nasce la vita.

Guai a coloro che meditano l’iniquità e tramano il male sui loro giacigli; alla luce dell’alba lo compiono, perché in mano loro è il potere. Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono. Così opprimono l’uomo e la sua casa, il proprietario e la sua eredità. Perciò così dice il Signore: «Ecco, io medito contro questa genìa una sciagura da cui non potranno sottrarre il collo e non andranno più a testa alta, perché sarà un tempo di calamità. In quel tempo si intonerà su di voi una canzone, si leverà un lamento e si dirà: “Siamo del tutto rovinati; ad altri egli passa l’eredità del mio popolo, non si avvicinerà più a me, per restituirmi i campi che sta spartendo!”. Perciò non ci sarà nessuno che tiri a sorte per te, quando si farà la distribuzione durante l’assemblea del Signore».

Attraverso il profeta Michea il Signore pronunzia il suo giudizio su quanti con spavalderia meditano l’iniquità, tramano il male perché si sentono sicuri, pensano di avere il potere nelle loro mani. Costoro hanno tutti un rapporto falso con le cose, perché il rapporto è falso con Dio e con se stessi. A causa della loro falsità usurpano, prendono, opprimono, umiliano, si comportano come fossero loro i padroni di tutto.

Solo il Signore è il Padrone e Lui vuole sommo rispetto per le cose degli altri. Per questo Lui viene e scalza dai loro troni di carta questi spavaldi. Li annienta. Li obbligherà ad abbassare la testa. Ma questa sciagura e calamità è per il loro sommo bene. Il Signore interviene per la loro salvezza. Vuole che ritornino nella loro verità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri della verità di Dio.

 

17 LUGLIO – XVI Domenica T.O. – (Gen 18,1-10a)

Allora Sara, tua moglie, avrà un figlio

Le promesse del Signore sempre devono compiersi secondo le modalità divine, mai secondo quelle umane. Dio aveva promesso un figlio ad Abramo. Consigliato da Sara, Abramo si era unito con la sua schiava, Agar, e aveva avuto Ismaele.

Dopo tali fatti, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede». Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia (Gen 15-1-6). Sarài, moglie di Abram, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar, Sarài disse ad Abram: «Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli». Abram ascoltò l’invito di Sarài. Così, al termine di dieci anni da quando Abram abitava nella terra di Canaan, Sarài, moglie di Abram, prese Agar l’Egiziana, sua schiava, e la diede in moglie ad Abram, suo marito. Egli si unì ad Agar, che restò incinta. Ma, quando essa si accorse di essere incinta, la sua padrona non contò più nulla per lei (Gen 16,1-4).

La via di Dio per dare un figlio ad Abramo non è Agar, è Sara. Il Signore nuovamente parla con Abramo e gli rivela qual è esattamente la sua volontà. Il figlio nasce da Sara.

Dio aggiunse ad Abramo: «Quanto a Sarài tua moglie, non la chiamerai più Sarài, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei». Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: «A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?». Abramo disse a Dio: «Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te!». E Dio disse: «No, Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io stabilirò la mia alleanza con lui come alleanza perenne, per essere il Dio suo e della sua discendenza dopo di lui. Anche riguardo a Ismaele io ti ho esaudito: ecco, io lo benedico e lo renderò fecondo e molto, molto numeroso: dodici prìncipi egli genererà e di lui farò una grande nazione. Ma stabilirò la mia alleanza con Isacco, che Sara ti partorirà a questa data l’anno venturo». Dio terminò così di parlare con lui e lasciò Abramo, levandosi in alto (Gen 17,15-22).

Oggi il Signore visita Abramo per annunziargli l’evento della nascita di Isacco. Sara avrà un figlio. Il Signore gli indica anche il tempo. Non domani, ma oggi. Infatti Lui passerà fra un anno a questa data e Sara allora sarà madre di un bambino. Entriamo così nel mistero del tempo. Dio fa passare il tempo in cui gli uomini possono operare, perché appaia con ogni evidenza che è solo opera sua quanto si sta realizzando. Con Sara vi sono due impossibilità: la sua sterilità da sempre alla quale si aggiunge la sua età veneranda. Ormai fuori di ogni possibilità umana per poter concepire.

Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».

Abramo ora sa che veramente il Signore è l’Onnipotente e lui conduce la storia degli uomini perché la fede in lui possa crescere di giorno in giorno. Senza fede non c’è vita.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di fede viva, vera, forte.

 

18 LUGLIO (Mi 6,1-4.6-8)

Camminare umilmente con il tuo Dio

Il Signore chiama colli e monti perché ascoltino quanto lui ha da comunicare al suo popolo. Li chiama come suoi testimoni. Dai tempi antichi il Signore ha fatto questo. Dinanzi alla sordità del suo popolo, chiama cielo e terra, monti e colli quali suoi testimoni, ponendoli a garanzia della verità della sua Parola, voce, giudizio.

Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore, tuo Dio, ti benedica nella terra in cui tu stai per entrare per prenderne possesso. Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dèi e a servirli, oggi io vi dichiaro che certo perirete, che non avrete vita lunga nel paese in cui state per entrare per prenderne possesso, attraversando il Giordano. Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così abitare nel paese che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri, Abramo, Isacco e Giacobbe» (Dt 30,15-20).

Anche Mosè, prima di morire, chiama quali suoi testimoni il cielo e la terra. Essi dovranno attestare per i secoli futuri l’assoluta verità di ogni sua parola.

Radunate presso di me tutti gli anziani delle vostre tribù e i vostri scribi; io farò udire loro queste parole e prenderò a testimoni contro di loro il cielo e la terra. So infatti che, dopo la mia morte, voi certo vi corromperete e vi allontanerete dalla via che vi ho detto di seguire. La sventura vi colpirà negli ultimi giorni, perché avrete fatto ciò che è male agli occhi del Signore, provocandolo a sdegno con l’opera delle vostre mani». Poi Mosè pronunciò innanzi a tutta l’assemblea d’Israele le parole di questo cantico, fino all’ultima (Dt 31,28-30).

Al profeta, che ascolta l’accusa del Signore contro il suo popolo e il suo lamento e che pensa lui cosa poter fare per portare pace tra Dio e il suo popolo, il Signore risponde che non è lui che deve immaginare, pensare, decidere cosa fare e cosa non fare. Il Signore non va servito secondo modalità stabilite dall’uomo. Dio ha già indicato cosa si deve fare per essere graditi: “Praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio”. Chi fa questo è gradito al Signore. Altre cose a Lui non interessano. Non sono di suo gradimento. Sono cose dell’uomo. Non sono di Dio.

Ascoltate dunque ciò che dice il Signore: «Su, illustra la tua causa ai monti e i colli ascoltino la tua voce!». Ascoltate, o monti, il processo del Signore, o perenni fondamenta della terra, perché il Signore è in causa con il suo popolo, accusa Israele. «Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondimi. Forse perché ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, ti ho riscattato dalla condizione servile e ho mandato davanti a te Mosè, Aronne e Maria? «Con che cosa mi presenterò al Signore, mi prostrerò al Dio altissimo? Mi presenterò a lui con olocausti, con vitelli di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio a miriadi? Gli offrirò forse il mio primogenito per la mia colpa, il frutto delle mie viscere per il mio peccato?». Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio.

Si pratica la giustizia in un solo modo: osservando la Legge del Signore. Vivendo secondo la verità di Dio, dell’uomo, delle cose. Chi trasgredisce la giustizia, mai potrà essere gradito al Signore. La giustizia è tutto per l’uomo. È la sola Legge della sua verità. A tutto questo va unito l’amore per la bontà. Quanto è buono, nobile, santo, vero, elevato, l’uomo deve amare. Deve essere la bontà il gusto della sua vita. Per questo deve distogliere il cuore da tutto ciò che è non buono, che è vizio, imperfezione, egoismo e ogni altra cosa che deturpa la bellezza della verità. Altra cosa che completa il gradimento da parte del Signore è camminare umilmente con Dio. Si cammina con umiltà se si è sempre pronti per ascoltare la sua voce. Se il Signore parla e non viene ascoltato è segno che non si vive nella giustizia, perché la prima giustizia dell’uomo è quella di ascoltare il suo Dio, che gli indica sempre la via migliore per la sua verità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi rendeteci graditi al nostro Dio.

 

19 LUGLIO (Mi 7,14-15.18-20)

Egli tornerà ad avere pietà di noi

Il profeta possiede la vera visione di Dio. Egli vede nel bastone o nella verga del Signore, con cui pasce e governa il suo popolo, non uno strumento per la morte, bensì per la vita. La verga è anche la fame, la miseria, la devastazione, la distruzione, la peste, la spada, la distruzione, l’esilio, la stessa morte. Ma tutto ciò che opera il Signore nella storia del suo popolo e dell’umanità è in vista della conversione del suo gregge, di ogni altro uomo. Nulla fa contro di essi. Tutto invece è in vista del più grande bene. Il profeta Ezechiele profetizza l’opera del Signore in mezzo al suo gregge.

Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Le farò uscire dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d’Israele, nelle valli e in tutti i luoghi abitati della regione. Le condurrò in ottime pasture e il loro pascolo sarà sui monti alti d’Israele; là si adageranno su fertili pascoli e pasceranno in abbondanza sui monti d’Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.

A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri. Non vi basta pascolare in buone pasture, volete calpestare con i piedi il resto della vostra pastura; non vi basta bere acqua chiara, volete intorbidire con i piedi quella che resta. Le mie pecore devono brucare ciò che i vostri piedi hanno calpestato e bere ciò che i vostri piedi hanno intorbidito. Perciò così dice il Signore Dio a loro riguardo: Ecco, io giudicherò fra pecora grassa e pecora magra. Poiché voi avete urtato con il fianco e con le spalle e cozzato con le corna contro le più deboli fino a cacciarle e disperderle, io salverò le mie pecore e non saranno più oggetto di preda: farò giustizia fra pecora e pecora (Ez 34,12-22).

Sempre si deve distinguere e separare il giudizio del Signore nella storia, nel tempo e quello dopo la morte. Nel tempo è un giudizio per la vita. Anche se è duro, pesante, di esilio, devastazione, spada, peste, fame, esso è la sola via rimasta al Signore per riportare l’uomo nella sua verità. L’altro, quello dopo la morte, invece è di gioia eterna in Paradiso, o di tenebre eterne e di disperazione per sempre nell’inferno. Ma nel tempo, tutto fa il Signore per la conversione dell’uomo. I profeti sono mandati per evitare che il Signore intervenga con la sua mano potente, con il suo bastone, con la sua verga. Sono essi la premura, la misericordia, la benevolenza del loro Dio. Quanti non ascoltano i profeti, saranno costretti ad ascoltare la storia. Ma la voce della storia è dura, pesante, causa molto dolore e spesso anche la morte.

Pasci il tuo popolo con la tua verga, il gregge della tua eredità, che sta solitario nella foresta tra fertili campagne; pascolino in Basan e in Gàlaad come nei tempi antichi. Come quando sei uscito dalla terra d’Egitto, mostraci cose prodigiose. Quale dio è come te, che toglie l’iniquità e perdona il peccato al resto della sua eredità? Egli non serba per sempre la sua ira, ma si compiace di manifestare il suo amore. Egli tornerà ad avere pietà di noi, calpesterà le nostre colpe. Tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati. Conserverai a Giacobbe la tua fedeltà, ad Abramo il tuo amore, come hai giurato ai nostri padri fin dai tempi antichi.

Il profeta è il grande costruttore della vera speranza. Egli annunzia al suo popolo che il Signore è pronto a perdonare ogni peccato, a cancellare ogni iniquità. Non solo. La gioia del Signore, il suo compiacimento è quello di mostrare, manifestare, attestare all’uomo tutta la sua bontà. Dio potrà fare questo, se l’uomo ascolterà la sua voce, abbandonerà la via dell’idolatria e dell’immoralità, si pentirà, si convertirà, ritornerà al suo Dio che largamente perdona. Se l’uomo persevera nella sua disobbedienza, la sola misericordia che il Signore potrà manifestargli è l’invio di un suo profeta che con premura e sempre lo inviti ad ascoltare la voce del suo Dio. Misericordia è anche dire all’uomo tutti i pericoli che incombono su di lui, se rifiuta la conversione e il rientro nella sua verità. Ultimo pericolo è la morte eterna e il rimanere per sempre nella falsità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, convertite i nostri cuori oggi.

 

20 LUGLIO (Ger 1,4-10)

Ti ho stabilito profeta delle nazioni

Il Signore è il solo ed unico vero Dio, il solo ed unico Creatore dell’uomo, il solo ed unico suo Salvatore e Redentore. Lui manderà il suo Messia perché illumini della sua verità tutte le genti, anche le lontane isole dovranno conoscere il loro vero Dio e Signore. La profezia di Isaia sul Servo del Signore si riveste di universalità. Non vi sono altri Dèi, altri Signori, altri Creatori. Solo uno è il vero Dio, il vero Signore, il vero Creatore, il vero Salvatore e Redentore della creatura da lui fatta a sua immagine.

Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità. Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, e le isole attendono il suo insegnamento. Così dice il Signore Dio, che crea i cieli e li dispiega, distende la terra con ciò che vi nasce, dà il respiro alla gente che la abita e l’alito a quanti camminano su di essa: «Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre. Io sono il Signore: questo è il mio nome; non cederò la mia gloria ad altri, né il mio onore agli idoli. I primi fatti, ecco, sono avvenuti e i nuovi io preannuncio; prima che spuntino, ve li faccio sentire» (Is 42,1-9). Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme. Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio (Is 52,9-10).

Gesù, il Messia di Dio, manda i suoi discepoli in tutto il mondo perché facciano suoi discepoli tutti gli uomini, di ogni nazione, popolo, tribù, lingua. Nessuno dovrà essere escluso dall’annunzio del Vangelo e della chiamata alla vera fede in Gesù Signore.

Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,6-8). Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20).

Geremia è vera figura di Cristo Gesù, del Messia di Dio. Il Signore lo chiama e lo costituisce profeta delle nazioni. A tutti i popoli Lui dovrà annunziare che uno solo è il vero Dio, il vero Signore, il vero Giudice della storia. Tutte le genti sono da Lui giudicate per tutto il male da essi fatto. Con questa vocazione e missione il Signore vuole che tutti i popoli vengano a conoscenza della sua verità. Solo Lui è Dio.

Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». Risposi: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Ma il Signore mi disse: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò. Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti». Oracolo del Signore. Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca, e il Signore mi disse: «Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca. Vedi, oggi ti do autorità sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare».

Se uno solo è il vero Dio e uno solo il suo Messia, nel quale è stabilito che l’uomo ritorni ad essere vero uomo, perché noi cristiani rinneghiamo la verità del nostro Dio e di Cristo Signore in nome di un sincretismo religioso che nessun accoglie e nessuno sottoscrive? Noi giochiamo a rinunciare alla verità eterna di Dio ignorando che così facendo siamo i più grandi nemici dell’umanità. Sminuendo la nostra fede e mettendola sul piano delle molte credenze, impediamo l’accesso alla verità e alla vita.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri confessori della fede.

 

21 LUGLIO (Ger 2,1-3.7-8.12-13)

Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo

Il peccato dell’uomo non solo conduce l’uomo nella morte spirituale, morale, fisica, sociale, politica ed anche eterna, se l’uomo non si converte e non ritorna nella Parola, anche sulla terra ha effetti di vero disastro. Per la sua disobbedienza l’uomo è capace di ridurre la terra ad un deserto. Il problema ecologico non è un problema di regole umane. Esso è legato a delle regole divine. Quando l’uomo riduce Dio ad un deserto, perché lo distrugge nella sua Signoria sull’uomo, questo atto di distruzione di Dio all’istante si fa atto di distruzione dell’uomo e della terra sulla quale vive. Il Signore lo ha detto all’inizio, dopo il primo peccato, lo ha detto al suo popolo dopo l’Alleanza stipulata al Sinai. Lo dice ora con Geremia: avete fatto del giardino un deserto.

All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne”, maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!» (Gen 3,17-19). Se nemmeno a questo punto mi darete ascolto, io vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati. Spezzerò la vostra forza superba, renderò il vostro cielo come ferro e la vostra terra come bronzo. Le vostre energie si consumeranno invano, poiché la vostra terra non darà prodotti e gli alberi della campagna non daranno frutti (Cfr. Lev. 26,1-46). Porterai molta semente al campo e raccoglierai poco, perché la locusta la divorerà. Pianterai vigne e le coltiverai, ma non berrai vino né coglierai uva, perché il verme le roderà. Avrai oliveti in tutta la tua terra, ma non ti ungerai di olio, perché le tue olive cadranno immature. Genererai figli e figlie, ma non saranno tuoi, perché andranno in prigionia. Tutti i tuoi alberi e il frutto del tuo suolo saranno preda di un esercito d’insetti. Il forestiero che sarà in mezzo a te si innalzerà sempre più sopra di te e tu scenderai sempre più in basso. Egli farà un prestito a te e tu non lo farai a lui. Egli sarà in testa e tu in coda (Cfr. Dt 28,1-69).

Il problema ecologico è vero problema teologico, cristologico, antropologico. Se l’uomo non trova la sua verità in Cristo Gesù, nessuna terra sarà mai risanata. Essa sarà sempre inquinata dal peccato dell’uomo. Oggi manca l’ecologia della famiglia, della vita dal suo concepimento fino al suo naturale termine. Non parliamo poi dell’ecologia delle relazioni tra uomo e donna, tra uomo e uomo e tra donna e donna. Neanche abbiamo l’ecologia della stessa natura umana. Vi è una vera desertificazione antropologica ad ogni livello. Questo perché abbiamo deciso prima di abolire la Chiesa. La Chiesa no, Cristo sì. Poi abbiamo cancellato Cristo. Dio sì, Cristo no. Ora abbiamo defenestrato anche il vero Dio. Il vero Dio no, tutti gli dèi sì. Questo perché gli dèi permettono che ogni uomo si faccia Dio. O partiamo dall’ecologia della vera fede o siamo condannati a non risolvere nessuno dei problemi che assillano la nostra umanità.

Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Va’ e grida agli orecchi di Gerusalemme: Così dice il Signore: Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in terra non seminata. Israele era sacro al Signore, la primizia del suo raccolto; quanti osavano mangiarne, si rendevano colpevoli, la sventura si abbatteva su di loro. Oracolo del Signore. Io vi ho condotti in una terra che è un giardino, perché ne mangiaste i frutti e i prodotti, ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra e avete reso una vergogna la mia eredità. Neppure i sacerdoti si domandarono: “Dov’è il Signore?”. Gli esperti nella legge non mi hanno conosciuto, i pastori si sono ribellati contro di me, i profeti hanno profetato in nome di Baal e hanno seguito idoli che non aiutano. O cieli, siatene esterrefatti, inorriditi e spaventati. Oracolo del Signore. Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua.

Il Signore lo dice con divina chiarezza. Lui, solo Lui, la sorgente di acqua viva per l’umanità. Essa sgorga dal costato di Gesù Signore che è oggi il costato della sua Chiesa una, santa, cattolica, apostolica. Noi abbiamo abbandonato questa divina ed umana sorgente. Cosa abbiamo scelto al suo posto? Delle cisterne screpolate che contengono solo fango. Preferiamo il fango all’acqua viva che rigenera e dona vita.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci quest’acqua viva.

 

22 LUGLIO (Ct 3,1-4a)

Avete visto l’amore dell’anima mia?

Il nostro Dio è novità eterna, novità irraggiungibile, sempre davanti a noi. Non appena qualcuno pensa di averlo trovato, Lui scompare, perché si continui a cercarlo. Tutto ciò che appartiene a Lui si riveste di mistero infinito. Cristo è mistero infinito, la Chiesa, vero sacramento di Cristo Signore, la sua Parola, il suo Vangelo. Per conoscere il Signore, per innamorarsi di Lui, per vivere Lui in noi e noi in Lui, la scienza non serve, la dottrina neanche. Possiamo conoscere a memoria tutta la Scrittura e non sapere nulla del nostro Dio. Possiamo anche possedere tutta la dottrina teologica di due mila anni di riflessione. Ma neanche questa dottrina vi fa conoscere il Signore. La via della conoscenza è una sola: la trasformazione della nostra natura in natura di Cristo e da natura di Cristo in natura di Dio, da natura animale a natura spirituale. Questo avviene solo se mettiamo la Parola di Cristo Gesù nel nostro cuore e il nostro cuore tutto nella Parola. Divenendo Parola vivente di Cristo iniziamo a conoscere Cristo, conoscendo Cristo, a poco a poco ci apriamo alla vera conoscenza del nostro Dio.

«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena (Gv 15,1-11).

Ma come si fa a trasformarci totalmente in natura di Cristo Gesù? Di certo una eternità non basta. In questo ci viene in aiuto il Cantico dei Cantici. Esso non termina con lo sposalizio, ma con la ricerca. La donna cerca appassionatamente l’uomo senza mai stancarsi. Sempre canta le lodo del suo uomo e più le canta e più ritorna a cantarle e così dicasi dell’uomo. Il loro è un amore sempre oltre l’amore di oggi. È un amore reale, vero, ma sempre alla ricerca della perfezione assoluta. Quando si è quasi lì, lì per afferrarlo, esso scompare perché lo si cerchi ancora. Il Paradiso è questa ricerca appassionata di Dio che dura un’eternità senza mai potersi dire conclusa. Se nel Paradiso quest’amore fosse raggiunto, il Paradiso non sarebbe più il Paradiso, perché l’essenza del Paradiso è l’immersione nell’amore eterno di Dio che è sempre da raggiungere, mai raggiunto nella sua infinita perfezione eterna e divina.

Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amore dell’anima mia. L’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città: «Avete visto l’amore dell’anima mia?». Da poco le avevo oltrepassate, quando trovai l’amore dell’anima mia.

La nostra è vera fede in questo amore di Dio che sempre ci sovrasta e nel quale siamo chiamati ad immergerci. La Legge, la Parola, il Vangelo sono solo il mezzo, la via per battezzarci in questo amore. Ma anche la Legge, la Parola, il Vangelo mentre sono circoscritti in ciò che non si deve fare, in ciò che invece si deve fare essi non hanno alcun limite. Vi è uno sbarramento verso il negativo. Nel positivo la distanza è più grande degli anni luce che servono per misurare le lontane galassie. Gesù non ci dice di amare come Lui ha amato noi? Il Padre non ci chiede di essere santi e perfetti nella sua santità e perfezione? Questa vocazione all’amore infinito obbliga ad una ricerca infinita dell’Amato da amare. Noi non amiamo la Parola. Amiamo l’Autore di quella Parola perché sappiamo che quella sua Parola è la via per giungere al suo cuore.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri cercatori di Dio.

 

23 LUGLIO (Gal 2,19-20)

Sono stato crocifisso con Cristo

La contemplazione del Crocifisso per divenire Crocifissi in Lui, con Lui, per Lui è questa la vocazione dell’uomo. Nell’antica creazione siamo stati fatti da Dio a sua immagine e somiglianza. Senza la nostra volontà, per disegno eterno della sapienza divina. Nella nuova creazione, ogni uomo è chiamato a lasciarsi fare dallo Spirito Santo, sempre secondo la sua sapienza eterna e divina, ad immagine di Cristo Crocifisso, per essere con Lui, nell’eternità, ad immagine della sua gloria. La contemplazione di Cristo, nello Spirito di Dio, per essere da Lui trasformati in Cristo, è il lavoro quotidiano affidato dal Padre ad ogni uomo che desidera, brama, ha nel cuore questo santo desiderio. Come si guarda il Crocifisso ce lo rivela l’Apostolo Giovanni.

Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19,31-37).

Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena (1Gv 1,1-4).

Anche la Lettera agli Ebrei invita a tenere lo sguardo sempre su Gesù Crocifisso. È la vera modalità per rimanere ancorati e crescere di fede in fede contro ogni tentazione.

Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo (Eb 12,1-3).

San Paolo non solo dichiara che lui intende parlare solo di Cristo Crocifisso, ma anche rivela che lui stesso è divenuto a sua immagine, crocifisso con il Crocifisso.

Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio (1Cor 2,1-5). Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo (Gal 6,14-17).

Il crocifisso è la chiave di lettura, discernimento, ermeneutica, esegesi di tutta la vita del cristiano. È vero cristiano chi porta nel suo corpo l’immagine di Cristo crocifisso.

In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci ad immagine di Gesù.

 

24 LUGLIO – XVII Domenica T.O. – (Gen 18,20-32)

Davvero sterminerai il giusto con l’empio?

Quando Dio diviene amico di un uomo e l’uomo amico di Dio, il Signore è pronto ad ascoltare ogni sua preghiera. Abramo è dichiarato da Dio suo amico, perché obbedisce ad ogni suo volere. Quanto Lui gli dice, Abramo lo fa. Ma anche il Signore fa quanto Abramo gli chiede. Ora l’amico chiede all’Amico di non distruggere il giusto insieme con l’empio. Per amore dei giusti chiede la grazia per peccatori e ingiusti. Pone però alla sua richiesta delle condizioni. Non ha il coraggio di domandare all’Amico Celeste la grazia della salvezza fondandola sulla presenza di un solo giusto in Sodoma. Abramo osa chiedere, ma poi si ferma. Ancora la sua fede non è perfetta nel suo Dio. Non conosce fino a quali limiti estremi il Signore fa giungere la sua misericordia.

Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque». Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».

Il profeta Geremia ci rivela fin dove giunge la magnanimità e la grandezza infinita della misericordia di Dio. Il Signore è pronto al perdono per tutto il suo popolo, se in Gerusalemme si trovasse un solo giusto, una sola persona fedele alla sua Alleanza. La cerca, ma non la trova. Vuole perdonare, ma non può. Non vi è neanche la più piccola condizione o motivazione alla quale Lui possa aggrapparsi. Sono tutti corrotti.

Percorrete le vie di Gerusalemme, osservate bene e informatevi, cercate nelle sue piazze se c’è un uomo che pratichi il diritto, e cerchi la fedeltà, e io la perdonerò. Invece giurano certamente il falso anche quando dicono: «Per la vita del Signore!». I tuoi occhi, Signore, non cercano forse la fedeltà? Tu li hai percossi, ma non mostrano dolore; li hai fiaccati, ma rifiutano di comprendere la correzione. Hanno indurito la faccia più di una rupe, rifiutano di convertirsi. Io pensavo: «Sono certamente gente di bassa condizione, quelli che agiscono da stolti, non conoscono la via del Signore, la legge del loro Dio. Mi rivolgerò e parlerò ai grandi, che certo conoscono la via del Signore, e il diritto del loro Dio». Purtroppo anche questi hanno rotto il giogo, hanno spezzato i legami! Per questo li azzanna il leone della foresta, il lupo delle steppe ne fa scempio, il leopardo sta in agguato vicino alle loro città: quanti escono saranno sbranati, perché si sono moltiplicati i loro peccati, sono aumentate le loro ribellioni. «Perché ti dovrei perdonare? I tuoi figli mi hanno abbandonato, hanno giurato per coloro che non sono dèi. Io li ho saziati, ed essi hanno commesso adulterio, si affollano nelle case di prostituzione. Sono come stalloni ben pasciuti e focosi; ciascuno nitrisce dietro la moglie del suo prossimo. Non dovrei forse punirli? Oracolo del Signore (Ger 5,1-9).

In Cristo Gesù, Dio stesso si è fatto giusto per noi. Non solo. Ha offerto a Dio il sacrificio perfetto per l’espiazione di ogni nostro peccato. Ora Dio non ha più alcun motivo per distruggere la terra. Vi è il Giusto che intercede e prega per noi. Se l’uomo vuole essere salvato, può in ogni istante. È necessario che si accosti al trono della grazia con la fede in Cristo Gesù e chieda umilmente perdono, nella conversione.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci giusti in Cristo Gesù.

 

25 LUGLIO (2Cor 4,7-15)

Veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù

Chi vive di Vangelo, muore per il Vangelo. Avendo lui consegnata la sua vita al Vangelo, è il Vangelo che chiede il sigillo del sangue. Cristo ha sigillato la sua vita consegnata alla Parola con il sangue. Ogni suo discepolo è chiamato a vivere la stessa missione e vocazione del Maestro: consegnare la sua vita alla Parola e sigillarla con il sangue, offrendo la sua vita a Dio in riscatto e per la redenzione dei suoi fratelli.

Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato. Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. Chi odia me, odia anche il Padre mio. Se non avessi compiuto in mezzo a loro opere che nessun altro ha mai compiuto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio. Ma questo, perché si compisse la parola che sta scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza ragione (Gv 15,18-25). Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto (Gv 16,1-4).

Già nella prima missione, Gesù aveva manifestato ai Dodici questa verità. La loro vita è data al Vangelo. Il Vangelo esige il loro sacrificio, il loro olocausto, la loro morte. Nutrendosi del loro sangue, la Parola si riveste di onnipotenza di grazia e di salvezza. Chi ama la sua vita e non vuole esporla al martirio, mai potrà essere né discepolo e né missionario della Parola che salva, redime, giustifica. Vangelo e martirio sono una cosa sola. Mai se ne possono fare due cose separate. Sono in eterno una cosa sola.

Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra; in verità io vi dico: non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo. Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia! (Mt 10,16-25).

San Paolo sa che la vita consegnata al Vangelo è martirio. Lo sa per esperienza. La sua vita è una continua sofferenza, un vero olocausto d’amore sull’altare della Parola. Come la terra produce con il sudore, così la Parola produce con il sangue.

Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita. Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di vera fede nella Parola.

 

26 LUGLIO (Ger 14,17-22)

Ma per il tuo nome non respingerci

Il profeta non è solo voce di Dio verso il popolo, ma è anche voce del popolo verso Dio. Questa verità raggiunge il sommo della perfezione in Gesù Signore. Sulla Croce Gesù è voce dell’umanità che grida al Signore non solo il suo dolore, ma anche manifesta la richiesta di perdono. È anche l’umanità che si offre a Dio in sacrificio di soave odore per la sua riconciliazione e salvezza. Cristo Gesù è stato costituito dal Padre sua unica voce. Lui non conosce altre voci. Solo Lui ascolta. Solo per mezzo di Lui parla. Nel Cenacolo Gesù si fa voce dei suoi discepoli e chiede per essi la grazia dell’unità.

Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno.

Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità. Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo (Gv 17,9-24).

Se Cristo Gesù è la sola voce che il Padre ascolta, nessuno può affermare l’esistenza di altre voci che sono uguali a quella di Gesù Signore. Solo Lui è il solo ed unico Mediatore, il solo ed unico Messia, il solo e unico Redentore, Salvatore, Profeta del Dio vivente. Solo Lui è voce dell’umanità e ogni altra voce deve giungere a Lui, se vuole essere ascoltata dal Padre. Chi distrugge la verità di Cristo, si distrugge.

Tu riferirai questa parola: I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, perché da grande calamità è stata colpita la vergine, figlia del mio popolo, da una ferita mortale. Se esco in aperta campagna, ecco le vittime della spada; se entro nella città, ecco chi muore di fame. Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere». Hai forse rigettato completamente Giuda, oppure ti sei disgustato di Sion? Perché ci hai colpiti, senza più rimedio per noi? Aspettavamo la pace, ma non c’è alcun bene, il tempo della guarigione, ed ecco il terrore! Riconosciamo, Signore, la nostra infedeltà, la colpa dei nostri padri: abbiamo peccato contro di te. Ma per il tuo nome non respingerci, non disonorare il trono della tua gloria. Ricòrdati! Non rompere la tua alleanza con noi. Fra gli idoli vani delle nazioni c’è qualcuno che può far piovere? Forse che i cieli da sé mandano rovesci? Non sei piuttosto tu, Signore, nostro Dio? In te noi speriamo, perché tu hai fatto tutto questo.

Geremia parla al popolo, ma anche parla al suo Dio. Rivela al popolo tutti i frutti della sua infedeltà, empietà, idolatria, immoralità. Al suo Dio chiede pietà, compassione, misericordia, guarigione, salvezza per il suo popolo. Oggi non vi sono più profeti tra Dio e il popolo. Unico profeta e Gesù Signore. Ogni vero profeta oggi è tra Cristo Gesù e il popolo. Egli manifesta al popolo Cristo Signore nella sua verità, santità, amore, giustizia, Parola. Porta a Cristo tutte le esigenze di conversione, giustificazione, redenzione del popolo. Come Cristo è voce del Padre, così il discepolo deve essere voce di Cristo. Quando Cristo viene saltato, tolto, defenestrato dal rapporto con Dio, Dio mai ci potrà ascoltare. Noi non siamo abilitati a parlare a Lui, ma solo a Gesù Signore. Noi parliamo a Cristo. Cristo parla al Padre. Altre vie non esistono.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vera voce di Cristo Gesù.

 

27 LUGLIO (Ger 15,10.16-21)

Sarai come la mia bocca

Oggi al cristiano manca una grande verità. Anche nella Chiesa cattolica questa verità è molto assente, Il discepolo di Gesù oggi non si sente più voce di Cristo Gesù, suo vero profeta, suo strumento, suo sacramento di luce. Si professa bocca di se stesso, della storia, del mondo, delle cose, del creato, ma non di Gesù Signore. Si fa anche bocca di un Dio senza bocca, senza Parola, senza voce. Ma si rifiuta di essere bocca di Gesù Signore. Addirittura si fa anche bocca delle altre religioni. Ma omette di essere bocca della sua fede in Cristo Gesù, unica e sola Bocca del Padre sulla nostra terra. San Paolo sempre si fece araldo, ministro, strumento, inviato, messaggero di Cristo Gesù. Lui è sua vera Bocca per chiamare tutti i popoli all’obbedienza alla fede.

L’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro. Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga criticato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza: nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, con sapienza, con magnanimità, con benevolenza, con spirito di santità, con amore sincero, con parola di verità, con potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama; come impostori, eppure siamo veritieri; come sconosciuti, eppure notissimi; come moribondi, e invece viviamo; come puniti, ma non uccisi; come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto! (2Cor 5,14-6,10).

Il profeta deve camminare in mezzo agli uomini con una sola certezza nel cuore: “Io sono bocca del Dio altissimo”, “Io sono bocca di Cristo Signore”. Il profeta ha bisogno lui stesso di forti convincimenti. Il Signore chiede a lui di essere saggio osservatore delle cose. Non potrà essere profeta senza la convinzione che solo dalla Parola di Dio viene la vita. Se non si conferma nella verità che tutto è vanità fuori della Parola. La sua scienza e intelligenza devono essere poste a servizio della sua stessa missione.

Me infelice, madre mia! Mi hai partorito uomo di litigio e di contesa per tutto il paese! Non ho ricevuto prestiti, non ne ho fatti a nessuno, eppure tutti mi maledicono. Tu lo sai, Signore, ricòrdati di me e aiutami, véndicati per me dei miei persecutori. Nella tua clemenza non lasciarmi perire, sappi che io sopporto insulti per te. Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore, perché il tuo nome è invocato su di me, Signore, Dio degli eserciti. Non mi sono seduto per divertirmi nelle compagnie di gente scherzosa, ma spinto dalla tua mano sedevo solitario, poiché mi avevi riempito di sdegno. Perché il mio dolore è senza fine e la mia piaga incurabile non vuole guarire? Tu sei diventato per me un torrente infido, dalle acque incostanti. Allora il Signore mi rispose: «Se ritornerai, io ti farò ritornare e starai alla mia presenza; se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile, sarai come la mia bocca. Essi devono tornare a te, non tu a loro, e di fronte a questo popolo io ti renderò come un muro durissimo di bronzo; combatteranno contro di te, ma non potranno prevalere, perché io sarò con te per salvarti e per liberarti. Oracolo del Signore. Ti libererò dalla mano dei malvagi e ti salverò dal pugno dei violenti».

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri profeti di Cristo Gesù.

 

28 LUGLIO (Ger 18,1-6)

Come l’argilla è nelle mani del vasaio

L’argilla è materia altamente modellabile. Da essa il vasaio può trarre molti utensili che sono di grandissimo aiuto all’uomo. Dio vuole che l’uomo si pensi sempre argilla nelle sue mani. Se l’uomo vuole essere utile a se stesso e ad ogni altro suo fratello dovrà lasciarsi giorno per giorno modellare dal suo Dio. Se si sottrare a Dio per modellarsi da se stesso o da altri, rimane in eterno argilla che sempre più indurisce fino a divenire dura come pietra, tanto dura da non essere più modellabile. Diviene cosa inutile.

Guarda dal cielo e osserva dalla tua dimora santa e gloriosa. Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito delle tue viscere e la tua misericordia? Non forzarti all’insensibilità, perché tu sei nostro padre, poiché Abramo non ci riconosce e Israele non si ricorda di noi. Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità. Perché gli empi hanno calpestato il tuo santuario, i nostri avversari hanno profanato il tuo luogo santo? Siamo diventati da tempo gente su cui non comandi più, su cui il tuo nome non è stato mai invocato. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti, come il fuoco incendia le stoppie e fa bollire l’acqua, perché si conosca il tuo nome fra i tuoi nemici, e le genti tremino davanti a te.

Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. Signore, non adirarti fino all’estremo, non ricordarti per sempre dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. Le tue città sante sono un deserto, un deserto è diventata Sion, Gerusalemme una desolazione. Il nostro tempio, santo e magnifico, dove i nostri padri ti hanno lodato, è divenuto preda del fuoco; tutte le nostre cose preziose sono distrutte. Dopo tutto questo, resterai ancora insensibile, o Signore, tacerai e ci umilierai fino all’estremo? (Is 63,15-64,11).

Il popolo ha deciso di modellarsi da sé. Ha rigettato il Dio che da sempre lo ha modellato, fin dall’inizio della sua creazione. Con quali risultati? È divenuta arida argilla, inutile a se stessa e agli altri, anzi dannosa per sé e per gli altri. Con Isaia il popolo attesta di voler essere nuovamente tutto nelle mani del suo Dio, come l’argilla nelle mani del vasaio. È questo un vero atto di conversione, nel pentimento. A Geremia invece il Signore si limita a dire qual è la verità del suo popolo: esso è popolo di Dio, se da Dio si lascerà modellare. Se si rifiuta e non vuole essere formato, saranno altri padroni a formarlo, ma per la morte, mai per la vita, per il male, mai per il bene.

Questa parola fu rivolta dal Signore a Geremia: «Àlzati e scendi nella bottega del vasaio; là ti farò udire la mia parola». Scesi nella bottega del vasaio, ed ecco, egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli riprovava di nuovo e ne faceva un altro, come ai suoi occhi pareva giusto. Allora mi fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Forse non potrei agire con voi, casa d’Israele, come questo vasaio? Oracolo del Signore. Ecco, come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa d’Israele.

Quando un uomo, un popolo, una nazione decide di modellarsi da sé, si può modellare solo per la morte, mai per la vita. Si lascia modellare da Dio, si abbandona nelle sue mani, sempre il Signore dona forme di vita, di vera vita. L’argilla è nelle mani del vasaio in modo inerte. L’uomo invece deve lui porsi nelle mani del suo Dio con volontà data attimo per attimo. Se ritira la sua volontà, il Signore non potrà più agire su di lui. Si spalancano le porte dell’autoformazione, che è però per la morte, mai per la vita.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci creta nella mani di Dio.

 

29 LUGLIO (1Gv 4,7-16)

Chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui

L’uomo è come un albero. L’albero produce frutti se è piantato su un ottimo terreno. L’uomo può amare solo se è piantato in Dio, ma è piantato in Dio, se è piantato in Cristo Gesù. È Cristo il terreno ed insieme l’acqua e il sole di verità e di grazia che dona vita all’uomo che accoglie di essere piantato in Lui. Fuori di Lui regna la morte del vero amore, della vera misericordia, perché regna la morte della verità.

Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte. È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene. Non così, non così i malvagi, ma come pula che il vento disperde; perciò non si alzeranno i malvagi nel giudizio né i peccatori nell’assemblea dei giusti, poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti, mentre la via dei malvagi va in rovina (Sal 1,1-6).

Mi condusse poi all’ingresso del tempio e vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente, poiché la facciata del tempio era verso oriente. Quell’acqua scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla parte meridionale dell’altare. Mi condusse fuori dalla porta settentrionale e mi fece girare all’esterno, fino alla porta esterna rivolta a oriente, e vidi che l’acqua scaturiva dal lato destro. Era un torrente che non potevo attraversare, perché le acque erano cresciute; erano acque navigabili, un torrente che non si poteva passare a guado. Vidi che sulla sponda del torrente vi era una grandissima quantità di alberi da una parte e dall’altra. Mi disse: Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà. Lungo il torrente, su una riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina (Cfr. Ez 47,1-12).

Cristo Gesù è stato costituito dal Padre suo terreno, sua acqua, suo sole, suo albero, suo frutto di vita eterna, suo amore, sua giustizia, sua misericordia, sua verità. È in Dio chi è in Cristo Gesù. Chi non è in Lui, mai potrà dirsi in Dio. Se non è in Dio mai potrà amare, perché ama chi è in Dio ed è in Dio chi è in Cristo Gesù. Chi è in Dio ama, chi non è in Dio non ama. Non conosce l’amore di Dio che è Gesù Signore. Dio è la vita eterna e la vita eterna è Cristo ed è in Cristo. Si diviene con Lui una cosa sola, si è capaci di amare come Lui ha amato e ama il Padre e noi. Nessuno si lasci ingannare: chi si esclude da Cristo, si esclude da Dio, si esclude dal vero amore. Potrà amare come i pagani, mai però potrà amare Dio e i fratelli di vero amore come Cristo Gesù.

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio. E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui.

Satana, dal primo istante in cui Cristo è apparso nel mondo e anche prima che apparisse, venisse nella carne, ha avuto ed ha un solo intento: distruggere Cristo, annientarlo, dichiararlo inutile per entrare nella verità di Dio e dell’uomo. Tutte le eresie sono cristologiche. Si distrugge Cristo nella sua Persona, si distrugge Cristo nel suo corpo, unico e solo sacramento del vero amore del Padre per l’uomo. Oggi Satana sta combattendo la battaglia contro Cristo con più virulenza. Lo vuole fuori della Chiesa.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, piantateci in Cristo Gesù.

 

30 LUGLIO (Ger 26,11-16.24)

Il Signore mi ha veramente inviato a voi

La rovina del mondo, dell’umanità, della storia, della Chiesa, della religione sono i falsi profeti. Sono essi che tentano il popolo di Dio perché confidi e si affidi ad ogni menzogna, falsità, idolatria, immoralità. La vera profezia si riconosce perché conduce sempre alla Parola, all’Alleanza, al Patto, ai Comandamenti, alla Legge, invitando ed esortando alla conversione, ma quasi sempre anche rivelando e manifestando le sciagure prodotte dall’abbandono di Dio. Senza l’osservanza della Parola, il popolo rovinosamente scivola verso la sua rovina. Non c’è vera vita se non nell’obbedienza a Dio, che ci manifesta la sua volontà attraverso la sua Parola.

Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell’uomo, profetizza contro i profeti d’Israele, profetizza e di’ a coloro che profetizzano secondo i propri desideri: Udite la parola del Signore: Così dice il Signore Dio: Guai ai profeti stolti, che seguono il loro spirito senza avere avuto visioni. Come volpi fra le macerie, tali sono i tuoi profeti, Israele. Voi non siete saliti sulle brecce e non avete costruito alcun baluardo in difesa della casa d’Israele, perché potessero resistere al combattimento nel giorno del Signore. Hanno avuto visioni false, vaticini menzogneri coloro che dicono: “Oracolo del Signore”, mentre il Signore non li ha inviati. Eppure confidano che si avveri la loro parola! Non avete forse avuto una falsa visione e preannunciato vaticini bugiardi, quando dite: “Oracolo del Signore”, mentre io non vi ho parlato? Pertanto dice il Signore Dio: Poiché voi avete detto il falso e avuto visioni bugiarde, eccomi dunque contro di voi, oracolo del Signore Dio. La mia mano sarà sopra i profeti dalle false visioni e dai vaticini bugiardi; non faranno parte dell’assemblea del mio popolo, non saranno scritti nel libro della casa d’Israele e non entreranno nella terra d’Israele, e saprete che io sono il Signore Dio.

Ingannano infatti il mio popolo dicendo: “Pace!”, e la pace non c’è; mentre il popolo costruisce un muro, ecco, essi lo intonacano di fango. Di’ a quelli che lo intonacano di fango: Cadrà! Scenderà una pioggia torrenziale, cadrà una grandine come pietre, si scatenerà un uragano ed ecco, il muro viene abbattuto. Allora non vi si chiederà forse: “Dov’è l’intonaco che avete adoperato?”. 13Perciò dice il Signore Dio: Con ira scatenerò un uragano, per la mia collera cadrà una pioggia torrenziale, nel mio furore per la distruzione cadrà grandine come pietre; demolirò il muro che avete intonacato di fango, lo atterrerò e le sue fondamenta rimarranno scoperte; esso crollerà e voi perirete insieme con esso, e saprete che io sono il Signore. Voi infatti avete rattristato con menzogne il cuore del giusto, mentre io non l’avevo rattristato, e avete rafforzato il malvagio perché non desistesse dalla sua vita malvagia e vivesse. Per questo non avrete più visioni false né più spaccerete vaticini: libererò il mio popolo dalle vostre mani e saprete che io sono il Signore» (Cfr. Ez 13,1-23).

Geremia è pronto ad andare incontro alla morte, è disposto anche a sigillare con il sangue la sua profezia. Quanto è uscito dalla sua bocca è purissima verità del suo Dio. Lui non ha profetizzato contro la città, ma a favore di essa. Ha semplicemente detto che cosa le avverrà se non ritornerà a Dio, nel pentimento e nella conversione.

Allora i sacerdoti e i profeti dissero ai capi e a tutto il popolo: «Una condanna a morte merita quest’uomo, perché ha profetizzato contro questa città, come avete udito con i vostri orecchi!». Ma Geremia rispose a tutti i capi e a tutto il popolo: «Il Signore mi ha mandato a profetizzare contro questo tempio e contro questa città le cose che avete ascoltato. Migliorate dunque la vostra condotta e le vostre azioni e ascoltate la voce del Signore, vostro Dio, e il Signore si pentirà del male che ha annunciato contro di voi. Quanto a me, eccomi in mano vostra, fate di me come vi sembra bene e giusto; ma sappiate bene che, se voi mi ucciderete, sarete responsabili del sangue innocente, voi e tutti gli abitanti di questa città, perché il Signore mi ha veramente inviato a voi per dire ai vostri orecchi tutte queste parole». I capi e tutto il popolo dissero ai sacerdoti e ai profeti: «Non ci deve essere condanna a morte per quest’uomo, perché ci ha parlato nel nome del Signore, nostro Dio». Ma la mano di Achikàm, figlio di Safan, fu a favore di Geremia, perché non lo consegnassero al popolo per metterlo a morte.

Il falso profeta contro la Parola del Signore annunzia pace e benessere, ratificando idolatria e immoralità. Il vero profeta dice solo quanto è contenuto nella Parola. Non aggiunge e non toglie. La Parola è già conosciuta dal popolo. Lui solo gliela ricorda.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci annunziatori della Parola.

 

31 LUGLIO – XVIII Domenica T.O. – (Qo 1,1; 2,21-23)

Anche questo è vanità e un grande male

Possiamo definire il Libro del Qoelet il vero Vangelo prima del Vangelo, il Vangelo dell’Antico Testamento che apre tutta la rivelazione sull’unica e sola verità dell’uomo, che è quella eterna. Tutte le cose della terra sono solo vie perché l’uomo possa raggiungere la pienezza della verità nel regno eterno di Dio. Cosa è allora la vanità? Dare un fine eterno alle cose momentanee e tutto ciò che si vive sulla terra è momentaneo. Tutta la vita va allora riempita di eternità, non dopo che si è goduta la giovinezza, ma fin dai primi giorni di essa. Come si riempie di eternità? Osservando i Comandamenti, vivendo sempre nella Parola per la Parola, nella Legge per la Legge.

Ricòrdati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i giorni tristi e giungano gli anni di cui dovrai dire: «Non ci provo alcun gusto»; prima che si oscurino il sole, la luce, la luna e le stelle e tornino ancora le nubi dopo la pioggia; quando tremeranno i custodi della casa e si curveranno i gagliardi e cesseranno di lavorare le donne che macinano, perché rimaste poche, e si offuscheranno quelle che guardano dalle finestre e si chiuderanno i battenti sulla strada; quando si abbasserà il rumore della mola e si attenuerà il cinguettio degli uccelli e si affievoliranno tutti i toni del canto; quando si avrà paura delle alture e terrore si proverà nel cammino; quando fiorirà il mandorlo e la locusta si trascinerà a stento e il cappero non avrà più effetto, poiché l’uomo se ne va nella dimora eterna e i piagnoni si aggirano per la strada; prima che si spezzi il filo d’argento e la lucerna d’oro s’infranga e si rompa l’anfora alla fonte e la carrucola cada nel pozzo, e ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e il soffio vitale torni a Dio, che lo ha dato. Vanità delle vanità, dice Qoèlet, tutto è vanità. Conclusione del discorso, dopo aver ascoltato tutto: temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché qui sta tutto l’uomo. Infatti, Dio citerà in giudizio ogni azione, anche tutto ciò che è occulto, bene o male (Cfr. 12,1-14).

Dove sta tutto l’uomo, tutto il suo presente e tutto il suo futuro eterno? Nei Comandamenti? Gesù dove colloca tutto l’uomo? Nella sua Parola. Chi si colloca fuori dei Comandamenti, fuori della Parola, lavora per la vanità, perché costituisce la terra e tutto ciò che avviene su di essa, nel tempo, fine e non mezzo. La Parola invece ci dice che tutto è via per raggiungere l’eternità beata. Si insegue il vento quando un uomo pone la sua vita sul nulla della terra. Costruisce la sua casa sulla sabbia. Gesù lo dice con chiarezza: a nulla serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l’anima.

Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni (Mt 16,24-27).

Il Qoelet indica all’uomo la via della vera saggezza. Nulla fare per questa terra. Tutto invece vivere per il regno eterno. A che giova accumulare ricchezze per poi lasciarle ad altri in punto di morte? A nulla. È vanità. Invece delle cose della terra sempre si deve fare una scala per giungere fino al cielo. Questo avviene con le elemosine e con le opere della carità. Si possiede, si aiuta il fratello nel bisogno, si lavora per il cielo. Si possiede, si accumula, si lascia al momento della morte. È vanità e stoltezza. Si è lavorato per il nulla. Anzi spesso si lavora per la nostra morte eterna.

Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re a Gerusalemme. Perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male. Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!

Tutto il lavoro fatto per le cose della terra è vanità. Fatto invece per il cielo è somma sapienza e intelligenza grande. Ma si lavora per il cielo sempre con sapienza grande.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, liberateci da ogni stolta vanità.