Così rispondi al sommo sacerdote?

Vi è la legge e vi è l’arbitrio, la norma da osservare e il porsi al di sopra di essa, lo statuto e le licenze che ognuno si prende. Tutti i mali del mondo sono ascrivibile all’arbitrio, al porsi sopra la legge, alle licenze contro la verità, la carità, la giustizia, la misericordia di cui ognuno si riveste. Gesù è interrogato dal sommo sacerdote. Dona una risposta garbata, santa, soprattutto vera. Il sommo sacerdote sa che la parola dell’accusato non ha nessun valore di prova della sua innocenza. Innocenza e colpevolezza dovevano essere attestate almeno da due testimoni concordi. Per questa ragione, per motivi strettamente legali, Lui dice che si devono interrogare quanti hanno ascoltato il suo insegnamento, essendo stato sempre pubblico, nelle sinagoghe, nel tempio, nelle piazze, in mezzo alla gente. A questa risposta una guardia lo schiaffeggia, dicendogli: “Così rispondi al sommo sacerdote?”. Gesù con tono pacato, ma anche fermo, deciso, gli chiede di dimostrargli dove Lui ha mancato: “Se ho parlato male, hai l’obbligo di dimostrare dov’è il male secondo la legge. Se ho parlato bene, tu non hai alcun diritto di percuotermi. Ma neanche se ho parlato male, ne hai il diritto. La pena non spetta alla guardia, ma al giudice”. Quanto la guardia compie è ciò che avviene ogni giorno nel nostro quotidiano.

Riflettiamo per un attimo non su ciò che avviene nella società civile, ma unicamente in quella religiosa, che si fonda sulla fede nella Parola del Signore. Quando un ministro di Cristo o anche un suo discepolo si erge a signore della verità, della morale, della giustizia, del diritto, della stessa Parola, del dogma, della sana dottrina, del suo stesso ministero o del suo essere cristiano, è in questo istante che il male si diffonde. Si giunge alla falsificazione della verità. Si arriva a negare i diritti fondamentali della persona che sono il rispetto, l’accoglienza, la stima, l’illuminazione. Si giunge a smarrire la nostra realtà di servi degli altri per divenire padroni. Padroni di Dio, della sua grazia, della sua verità, dei suoi sacramenti, della stessa giustizia che amministriamo secondo il nostro cuore e non secondo il cuore di Cristo Gesù e la volontà dello Spirito Sato. Ogni ministro è sotto la Parola, mai sopra. La Parola si amministra dalle virtù, non dai vizi. La grazia si dona dalla volontà di Dio e dal cuore del Padre, mai dal nostro. Se questa procedura non viene vissuta, condanniamo l’uomo a vivere secondo la nostra morale, che sovente è immorale e non secondo la morale di Dio. Così pure lo escludiamo o lo accogliamo nella grazia, non secondo i principi di Dio, ma secondo i nostri. Siamo noi gli arbitri di Dio.

Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote. Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò (Gv 18,15-27).

Ma può un uomo essere arbitro di Dio? Può un ministero porsi sopra Dio? Eppure questo avviene, è avvenuto, avverrà. Oggi ogni forma di violenza ma anche di irenismo non è forse attestazione che l’uomo si è fatto arbitro di Dio, della sua Parola, del suo Vangelo? Non è forse lui che stabilisce ciò che è giusto e ciò che è ingiusto? Non è forse lui che dichiara Cristo non più necessario per la salvezza, dal momento che il solo Dio unico per tutti è già salvezza? A nessun ministro è stato conferito questo potere. Nessuno nella Chiesa è sopra la verità. Tutti siamo suoi servi e ci è chiesto di servirla con assoluta fedeltà e obbedienza immediata. Quando invece ci si fa arbitri della verità, chi subisce le prime conseguenze è Cristo, che viene “amministrato” fuori da ogni riferimento alla sua Parola, data al nostro spirito dalla Sapienza e Intelligenza eterna dello Spirito Santo. Quando ci si pone sopra Dio, non si è più ministri di salvezza, ma di perdizione. Non si serve più la luce, ma le tenebre. Non si lavora per il bene dell’uomo, ma per il suo male. Si manca dell’umiltà necessaria per essere sempre sotto Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, ricolmateci della santa umiltà.