DOMENICA DELLE PALME

L’antifona d’ingresso contempla Gesù che entra in Gerusalemme acclamato dalla folla con grande gioia ed esultanza: “Osanna al Figlio di Davide. Benedetto colui che viene nel nome del Signore: è il Re di Israele. Osanna nell’alto dei cieli”. La folla è in un tripudio di gioia. Essa è però il frutto di una falsa visione del Messia di Dio. Ma le folle sempre cercano un falso Dio, un falso Cristo, una falsa Chiesa, un falso papa, un falso vescovo, un falso presbitero, un falso cristiano.

È questa la falsità della folla: essa cerca qualcuno che la schiodi dalla croce. Non sa che il Messia viene per inchiodarsi Lui sulla croce dell’obbedienza al Padre e sulla sua Croce, nel suo corpo, inchiodare il mondo intero. Il vero Messia si lascia inchiodare per inchiodare ogni uomo sulla sua Croce. Falso Messia è chiunque promette all’uomo di schiodarlo dalla sua croce. Falsa Chiesa e falso cristiano è chi profetizza ad ogni uomo che si può togliere la croce, rimanendo esso nel peccato e nella disobbedienza a Dio.

La preghiera di Colletta riporta tutti noi nel mistero della croce di Gesù Signore: “Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, fa’ che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione, per partecipare alla gloria della risurrezione”. Non basta avere presente l’insegnamento della passione di Cristo Gesù. La passione di Cristo deve divenire la nostra passione, la sua croce la nostra croce. Questo avverrà se la sua obbedienza diviene la nostra obbedienza.

La Prima Lettura ci presenta il Messia come persona che non si vede dal peccato degli uomini, ma per il peccato degli uomini. Si vede dalla volontà di Dio per portare la parola di Dio all’umanità sfiduciata, senza alcuna speranza: “Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato”. Lui sa parlare agli uomini perché sa ascoltare il Signore Dio. Vale anche per il cristiano. Chi non sa ascoltare Dio, mai saprà parlare agli uomini. All’uomo si parla dal cuore di Dio.

Parlare agli uomini si può, a condizione che si è anche forti per prendere su di sé tutti i loro insulti. Chi non vuole gli insulti, si astenga dal parlare secondo verità: “Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”. La croce è il prezzo da pagare da chi vuole portare luce, verità, giustizia secondo Dio sulla terra.

Il Messia non si tira indietro dinanzi alla croce da portare. In Lui vi è tutta la forza di Dio. Anzi molto di più. Dio è con Lui per assisterlo in ogni sua sofferenza: “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso”. Il mondo è stolto. Quando vede la sofferenza pensa che Dio sia assente. Invece è proprio per la sua presenza e assistenza che il dolore può essere vissuto. Senza la divina presenza, la sofferenza conducre alla disperazione. Basta chiederlo umilmente e sempre il Signore è presente.

Il Salmo responsoriale narra l’indicile sofferenza di Cristo, manifestando la gratuita e volgare malvagità e cattiveria del cuore dell’uomo: “Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: “Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!”. Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi. Posso contare tutte le mie ossa”.

Esiste la sofferenza che viene dalla natura, ma infinitamente più dolorosa è quella che viene dai cuori cattivi e malvagi: “Si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte. Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto. Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea. Lodate il Signore, voi suoi fedeli, gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe, lo tema tutta la discendenza d’Israele”. Chi vuole vivere la passione di Gesù con frutto, deve oggi decidere di interrompere ogni sofferenza da lui causata ai suoi fratelli.

La Seconda Lettura ci mette dinanzi all’obbedienza e all’umiltà di Cristo Gesù, chiedendoci di imitarlo in ogni relazione con i nostri fratelli: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini”. Se Gesù che è Dio, il Signore, l’Onnipotente Eterno, si è umiliato così, chi siamo noi per non umiliarci? Per non annientarci dinanzi agli uomini?

Se Gesù si è fatto obbediente in tutto alla volontà del Padre, possiamo noi sottarci all’obbedienza al suo Vangelo? Gesù è il nostro unico modello: “Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”, a gloria di Dio Padre”. Chi vuole raggiungere la gloria eterna, potrà farlo solo salendo sulla croce con Gesù.

L’acclamazione al Vangelo riprende la verità annunziata nella Seconda Lettura e la offre come chiave per leggere e interpretare tutto il racconto della Passione e Morte di Gesù: “Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome”. Oggi è più che necessario riprendere questa chiave, altrimenti si rischia di trasformarci in denunziatori della cattiveria degli uomini, anziché trasformarci in fedeli imitatori del nostro Maestro.

Il Vangelo propone alla nostra meditazione e contemplazione la Passione di Gesù secondo Matteo. Gli occhi, la mente, il cuore devono solo fermarsi, arrestarsi su Gesù. La cattiveria del mondo la conosciamo, perché spesso anche noi ne siamo autori. Ciò che non conosciamo è il cuore di Cristo Signore. Esso va conosciuto tutto, se vogliamo attraversare con frutto tutta la cattiveria della terra: “Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: “Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!”. Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: “Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!”. Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo”.

Nella preghiera sulle offerte chiediamo a Dio che “la passione del suo unico figlio affretti il giorno del suo perdono”. Nulla è per merito. Tutto è dalla sua misericordia.

L’antifona alla comunione ci ricorda ancora una volta la preghiera di Gesù nell’orto del Getsemani: “Padre, se questo calice non può passare senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”. Vale per ogni suo discepolo. Non sempre la sofferenza può essere allontanata. Essa è essenza della nostra vita e va vissuta sull’esempio di Gesù.

Nella preghiera dopo la comunione è detto che “la nostra vera speranza si può fondare solo sulla morte redentrice del figlio del Padre”. Non esistono altri fondamenti. Ma quando si raggiungere la vera speranza? Qual è la via? La stessa che fu di Cristo Gesù. Dobbiamo salire sulla sua croce, nel suo corpo, perché è il suo corpo la sola scala che conduce alla gloria del Paradiso. Ecco perché sempre dobbiamo guardare solo verso Cristo e la sua croce. Se guardiamo gli uomini, finiamo nella dannazione.