E chi è mio prossimo?
Il dottore della Legge conosce quanto Dio ha stabilito come via da percorrere per abitare nella sua tenda. Il Salmo così risponde alla domanda: “Signore, chi abiterà nella tua tenda?”.
Signore, chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sulla tua santa montagna? Colui che cammina senza colpa, pratica la giustizia e dice la verità che ha nel cuore, non sparge calunnie con la sua lingua, non fa danno al suo prossimo e non lancia insulti al suo vicino. Ai suoi occhi è spregevole il malvagio, ma onora chi teme il Signore. Anche se ha giurato a proprio danno, mantiene la parola; non presta il suo denaro a usura e non accetta doni contro l’innocente. Colui che agisce in questo modo resterà saldo per sempre (Sal 15 (14) 1-5).
Il dottore sa chi è Dio, non sa però chi è il suo prossimo. Non sa cioè chi dovrà essere considerato prossimo e chi no. Già il Signore aveva abolito la distinzione tra figli di Abramo e figli di altri popoli. Figli di Abramo, forestieri, stranieri sono prossimo gli uni degli altri. Ognuno deve amare l’altro come se stesso. Sappiamo però che la “speculazione dottrinale” di Israele!” aveva escluso dall’essere prossimo il nemico e che per alcune categorie di persone – specie sacerdoti e leviti – era vietato tutto ciò che non era attinente al culto del Signore.
Gesù, nella parabola raccontata, abolisce ogni distinzione, ogni privilegio, ogni esclusione, sia proveniente dalla Scrittura Antica e sia che fosse sorta dalla speculazione dottrinale del suo popolo. Prossimo è ogni uomo, amico, nemico, benefattore, persecutore, giusto, peccatore, mite, violento. Per Gesù sono prossimo da amare anche i suoi carnefici, quanti lo hanno condannato, insultato, deriso, sputato, oltraggiato. Lui la vita prima di ogni cosa la offre a Dio per la loro conversione. Ogni uomo va amato. Per ogni uomo si deve offrire anche la vita.
Levita e Sacerdote non possono pensare che per loro la legge dell’amore del prossimo non valga, perché sono ad esclusivo servizio del Signore, nel suo tempio santo. In caso di necessità – e la parabola parla di un caso di vera necessità – loro devono lasciare ogni cosa e mettersi a servizio di chi è nell’urgente bisogno. Non si può lasciare morire un uomo perché si deve andare nel tempio per il culto. Dio ci dice che Lui può aspettare e anche il popolo nel tempio può aspettare. Alcuni Santi insegnavano che tra coprire l’altare e coprire un povero, va scelto di coprire il povero e di lasciare spoglio l’altare. Il povero viene prima dell’altare. Ma queste sono sottigliezze che solo lo Spirito Santo può suggerire a cuori delicati e amanti del vero bene.
Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.
Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,25-37).
Urge però sempre separare l’urgenza, l’immediatezza di un intervento e l’organizzazione della carità, della misericordia, della compassione, sia materiale che spirituale. L’organizzazione necessità anche di leggi certe. La carità non è solo un “diritto” per chi deve riceverla. Essa è anche sottoposta a vincoli stretti che vengono dalla stessa legge del Signore. Il primo vincolo vuole che ognuno viva la virtù della temperanza, limitandosi a concedere alla sua vita ciò che è strettamente necessario, tenendosi lontano da ogni vizio che è vera emorragia per ogni buona economia. In secondo luogo esige che sia come una specie di “pensione” e quindi il frutto maturato delle proprie buone azioni. Si è servita la comunità, è giusto che la comunità serva. Se una persona mai ha servito la comunità, mai ha fatto nulla per la Chiesa, non può pretendere assistenza dalla Chiesa. Essa è obbligata prima a servire quanti l’hanno servita. È legge di giustizia. San Paolo insegna anche che devono essere i familiari ad aiutare i familiari. La comunità non può risolverei problemi materiali di tutti i bisognosi. Allora è cosa buona che sempre si agisca secondo regole di stretta giustizia. Una carità senza giustizia non è carità.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la giustizia nella carità.