Educare toccando il cuore dei giovani

 

#notespirituali – Anna Guzzi

Per capire in che modo la spiritualità del Movimento Apostolico abbia arricchito il mio lavoro di insegnante ed educatrice, bisogna partire dalla croce di Cristo, il posto scomodo dal quale Gesù continua a essere nostro Maestro, offrendosi come dono di salvezza anche quando questo passa per la sofferenza. Perché il pane quotidiano è gioia e dolore insieme e occorre accoglierli entrambi: gioia quando riesci ad aiutare, a dare fiducia a un ragazzo in difficoltà o quando incroci il suo sorriso spensierato, così diverso da quello adulto; dolore quando occorre relazionarsi a ragazzi che non studiano, che presentano comportamenti problematici e arrivano a trattar male sia i propri compagni, sia l’insegnante. La scuola, infatti, riflette tutto il bene e tutto il male della società. Se la società è nel degrado culturale o, peggio, se dimentica Dio e la Sua Parola, tutto questo avrà una puntuale corrispondenza proprio in classe dove non si saprà riconoscere qual è il posto dello studente e qual è il posto dell’insegnante.

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Il pane quotidiano è gioia e
dolore insieme e occorre
accoglierli entrambi

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Cosa fare, quindi? La prima arma è la preghiera affinché il Signore, che ha in mano i cuori di ognuno, possa dare coraggio e fermezza, possa renderci miti sì che riusciamo a rispondere a ciò che non va con un amore misericordioso: quello, cioè, che sa donare la scienza anche a chi, apparentemente, la rifiuta o ci ricambia con l’ingratitudine. Ogni mattina, prego affinché il Signore mi dia sempre il dominio di me stessa e mi ponga sulle labbra parole dolci, ma ferme. Prego per non cadere nella trappola dell’ira, del grido rabbioso. Vorrei educare con una parola sempre garbata. Penso, di continuo, a don Bosco:
«Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi».
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Rispondere a ciò che non va con
un amore misericordioso

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Dalla mia esperienza nei vari ordini scolastici, ho compreso che non è possibile insegnare, poniamo, Dante, senza passare per la relazione, senza entrare nel cuore dei giovani: ecco, il Signore, allora, mi ha insegnato, attraverso il lavoro, a rinnegare una parte di me, forse quella a cui tenevo di più (lo studio specialistico in biblioteca, la ricerca letteraria ecc.), poiché lo studente concreto da aiutare viene prima; lui non ha bisogno di teorie, ma di una spiegazione semplice e chiara, magari di una mappa concettuale. Nelle mie classi, come una madre e come suggeriva San Paolo, cerco di ‘farmi tutto a tutti’, trovando le strategie che servono per interagire sia con l’eccellenza, sia con il ragazzo in difficoltà. I giovani, poi, se non sono maleducati, sanno dare tanto, perfino consolare. Lo scorso anno ho avuto un incidente a un piede che mi ha costretto improvvisamente a un periodo di riposo a casa; quando sono tornata, i ragazzi hanno organizzato una festa di benvenuto che mi ha commosso profondamente per la cura impiegata: hanno recitato una poesia – un verso ciascuno, come avevo insegnato loro – e uno di essi ha eseguito un brano musicale che avevo già ascoltato nei mesi precedenti, esortandolo a imparare la partitura.
Ringrazio, quindi, il Signore per il bene che ho ricevuto, ricordando prima a me stessa e, poi, agli altri educatori che insegnare a chi non sa è una grande opera di misericordia spirituale e, come tale, ci aiuta a salire in cielo. I ragazzi, però, ti seguono e ti riconoscono come guida autorevole solo se percepiscono che vuoi loro un bene sincero.
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Insegnare a chi non sa è una
grande opera di misericordia
spirituale

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