III DOMENICA DI QUARESIMA
L’antifona d’ingresso di questa terza Domenica di Quaresima ci fa già intravedere la grande sofferenza di Gesù Signore. Ci presenta il Crocifisso nella sua indicibile sofferenza, ma anche nella sua fiduciosa preghiera: “I miei occhi sono sempre rivolti al Signore, perché libera dal laccio i miei piedi. Volgiti a me e abbi misericordia, Signore, perché sono povero e solo”. Senza uno sguardo fisso su Gesù Crocifisso il cammino della Quaresima manca del fine da raggiungere e diventerà cosa da fare o da non fare.
La preghiera di Colletta presenta dinanzi a Dio la nostra misera e povera umanità ammalata di peccato e sotto il peso delle colpe. Solo la misericordia del Signore, il suo amore potrà risollevarci. Il Signore ci tira fuori da questo abisso di peccato, se noi riconosciamo il miserevole stato spirituale e con grande umiltà chiediamo a Lui di rinnovare di noi corpo, anima, spirito. Nell’umiltà, nel riconoscimento e confessione delle colpe, nell’invocazione e nell’incessante preghiera, Dio ci darà la vita.
La prima lettura ci presenta il popolo di Dio in grande agitazione. Nel deserto non c’è acqua. Si rimprovera il Signore per aver fatto una cosa stolta, insipiente. Li ha tolti dall’Egitto, ma per condurli in un deserto e farli morire in esso. La mormorazione contro Dio attesta che non c’è in essi né fede, né fiducia, né abbandono. Basta una piccola sofferenza e tutto si rinnega di Dio. Anzi lo si accusa di essere un Dio senza alcuna saggezza né potenza. Eppure Israele aveva visto i grandi prodi compiuti dal suo Liberatore. Il suo Dio aveva anche aperto il Mare in due e poi lo aveva chiuso.
Ogni difficoltà nel popolo dona al Signore l’occasione di mostrare che la sua onnipotenza non solo è senza alcun limite, ma anche creatrice di una nuova realtà, non dal nulla, ma da ciò che è naturalmente impossibile. Una dura roccia non può dare acqua. Neanche dal cielo può discendere il nutrimento. Dio attesta che nulla è impossibile per Lui. Dal cielo dona il pane. Dalla roccia dona l’acqua. Domani dalla Croce darà la vita e dalla tomba la risurrezione. Infatti dal corpo morto di Cristo battuto dalla lancia sgorga l’acqua che disseta l’umanità e dal cielo viene a noi il pane che ci nutre per la vita eterna, preparando il nostro corpo per risorgere con Cristo, in Lui.
Apparentemente potrebbe sembrare che il Signore sia il “puntellatore” della fede del suo popolo. Invece ogni evento della storia, impossibile per l’uomo, diviene più grande accreditamento del nostro Dio. Nella storia difficile, impossibile e anche nelle “umiliazioni, gli insulti, le mormorazioni” contro l’Autore della nostra vita e della nostra libertà, il Signore interviene e si manifesta, si accredita con la sua divina onnipotenza. C’è onnipotenza più grande di quella manifestata sul Golgota e nel sepolcro? Sapendo questo possiamo rinnovare la nostra fede nel Signore e fidarci di Lui.
Il Salmo responsoriale è pressante invito a fidarci del nostro Dio. Come ci si fida? Contemplando le sue opere. Lui non agisce per noi dal nulla, ma dall’impossibile: “Venite, cantiamo al Signore, acclamiamo la roccia della nostra salvezza. Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia. Entrate: prostràti, adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti. È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce”. L’occhio è di fede se sa guardare le opere del Signore e cantare a Lui ogni gloria, onore, benedizione.
Il passato è di fondamento per la fede di ieri. Ma anche l’oggi deve essere saldamente fondato e costruito sulla fede. Come lo si costruisce? Come lo si fonda? Ascoltando oggi la voce del Signore: “Se ascoltaste oggi la sua voce! “Non indurite il cuore come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere”. Così la storia quotidiana serve per fondare la nostra fede. Si ascolta il Signore. Si cammina nella sua Parola. Si può anche morire in croce per ascolto della Parola. Dall’impossibilità della morte il Signore ci richiama in vita. La fede risplende in tutto il suo splendore per ogni impossibilità che il Signore vince con la sua onnipotenza creatrice, liberatrice, rinnovatrice.
La seconda lettura ci rivela il principio eterno sul quale fondare la nostra fede, la nostra carità, la nostra speranza. Questo principio eterno è l’amore eterno del nostro Dio e Signore. Questo amore non si fonda su una semplice rivelazione o attestazione del Signore, su una sua parola: “Io ti ho amato, ti amo di amore eterno”. Esso invece è tutto rivelato e manifestato in Gesù Crocifisso. Chi vuole conoscere quanto è grande l’amore di Dio per noi, è sufficiente che contempli il Crocifisso. Lui ha preso tutti i nostri peccati, tutte le nostre colpe, ogni pena dovuta ad essi ed ha espiato per noi. Contemplando Gesù Crocifisso, nessuno potrà mai dubitare dell’amore del Signore.
L’acclamazione al Vangelo trasforma tutto l’incontro della Samaritana con Gesù in una grande preghiera: “Signore, tu sei veramente il salvatore del mondo; dammi dell’acqua viva perché io non abbia più sete”. Questa preghiera deve essere il nostro grido quotidiano. Senza l’acqua della vita che è Cristo, siamo alberi aridi senza frutto.
Il Vangelo presenta Gesù come la vera roccia dalla quale scaturisce l’acqua della vita. È nell’acqua di Cristo che lo Spirito Santo dovrà immergerci perché noi nasciamo come nuove creature. È dall’acqua di Cristo, che è il suo corpo e il suo sangue, che sempre dobbiamo attingere per nutrirci e dissetarci. È l’acqua di Cristo che è la sua Parola che sempre dobbiamo dare al mondo perché ne attinga e anch’esso diventi albero di vita nel giardino della Chiesa. È in quest’acqua di Cristo che sempre dobbiamo essere immersi se vogliano attraversare il deserto e giungere alla terra promessa del Cielo.
Oggi si parla molto di dialogo. Lo si concepisce però come ricerca di una verità che è fuori di noi, oltre noi. Né io e né tu siamo nella verità. Tu ed io dobbiamo cercarla mettendo a confronto le nostre intelligenze e le nostre conoscenze. Gesù non ha questo principio umano di dialogo. Il dialogo per Lui è ascoltare la donna al fine di trovare un piccolo spiraglio attraverso il quale poter iniettare nel suo cuore la sua divina ed eterna verità. Il dialogo in Cristo non è per trovare la verità. È per donarla, versarla nei cuori. Lo spiraglio non lo trova però la nostra intelligenza, ma solo lo Spirito Santo.
Nello Spirito Santo Gesù chiede alla donna di andare a chiamare suo marito e poi tornare nuovamente da Lui. La donna gli risponde che non ha marito. Ecco lo spiraglio: la vita trascorsa dalla donna, tutta consumata a prendere e a lasciare mariti. Svelato il suo passato da Gesù, la donna sa di trovarsi dinanzi ad un vero profeta. Ora è la donna che imposta tutto il suo discorso per la ricerca della verità di Dio dalla quale è anche la sua verità. Il dialogo si fa domanda a Colui che è il solo che può dare risposte.
La preghiera sulle offerte ci ricorda che non c’è perdono ricevuto senza il perdono dato. Chi chiede a Dio perdono, lo può chiedere sul fondamento del perdono già dato o che darà subito. Poiché l’uomo è debole, deve chiedere a Dio una duplice grazia: “Di essere perdonato e di avere la forza per perdonare: “Perdona, o Padre, i nostri debiti e donaci la forza di perdonare ai nostri fratelli”. Tutto è dalla grazia di Dio in Cristo Gesù.
L’antifona alla comunione riprende il tema del Vangelo: “Chi beve dell’acqua che io gli darò, dice il Signore, avrà in sé una sorgente che zampilla fino alla vita eterna”. La preghiera dopo la comunione chiede a Dio una ulteriore grazia: “Fa’ che manifestiamo nelle nostre opere la realtà presente nel sacramento che celebriamo”. Se l’Eucaristia ricevuta non si trasforma in Eucaristia vissuta, quando abbiamo celebrato non conduce noi nella vita di Cristo Gesù e mai condurrà nessun’altro nel suo mistero.