Il Signore fu preso da grande compassione per lei

Se io dicessi che Gesù mai ha fatto un’opera di carità, mi dichiarerebbero un falsario del Vangelo, un folle reazionario. Eppure è vero. Cristo Gesù mai ha fatto un solo atto di carità. Lui la carità l’ha fatta sempre a se stesso. Per se stesso è morto. Per se stesso ha espiato. Per se stesso è andato in croce. Perché ha fatto tutto per se stesso? Perché Lui ha assunto su di sé, ha fatto suo tutto il dolore del mondo, tutta la sofferenza della terra, tutto il peccato dell’universo, tutte le miserie che sono nel cuore, nell’anima, nello spirito, nel corpo dell’uomo le ha fatte interamente sue. Niente di ciò che è nostro è rimasto nostro, tutto lo ha assunto su di sé. Questa verità non sono io a dirla. È il profeta Isaia che ce la rivela. È questa la grandezza, la magnificenza, l’eccellenza divina del suo amore. Questa sostituzione la scopriamo anche nel Vangelo secondo Giovanni. Nell’Ultima Cena Lui prende il posto dei servi e i servi li costituisce suoi Signori e come il servo lava i piedi al suo Signore, così Gesù li lava ai suoi Apostoli. Dio così sa umiliarsi in Cristo Gesù. Oltre nell’amore non si può andare.

Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca (Is 53,3-9).

È da duemilacinquecento anni che leggiamo questa profezia e di essa ancora nulla abbiamo compreso. Ignoriamo che l’amore cristiano non è dare qualcosa a qualcuno, un pezzo di pane, un bicchiere d’acqua, un vestito, un’accoglienza, una stanza per dormire, un lavoro. Questo tipo amore anche i pagani sanno viverlo verso i loro amici. L’amore che Gesù ci chiede è la perfetta imitazione di Lui. Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi. Cosa deve fare il discepolo di Gesù? Imitare in tutto il suo Maestro. Prendere il posto dell’uomo e vivere la stessa carità del suo Signore. Non pensare all’altro che è nel bisogno, ma vedere se stesso nel bisogno e fare all’altro la stessa carità, trattarlo con lo stesso amore con il quale non lui vorrebbe essere trattato, ma con lo stesso amore con il quale si tratterebbe. Così possiamo affermare che Giovanni, nel suo Vangelo, porta l’amore di Gesù al sommo della sua bellezza e perfezione. La profezia di Isaia viene applicata a Cristo Signore per tutti i momenti della sua vita e non soltanto nell’atto finale di essa, che è la sua morte offerta in espiazione vicaria.

In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante (Lc 7,11-17).

Gesù che cammina non vede la donna, vede se stesso, sente che il suo cuore è pesante, non ce la fa più. Il dolore lo sta soffocando. Pensa di poter rimediare a questa immensa sofferenza concedendosi almeno il ritorno in vita del figlio. Almeno così avrebbe provato un qualche conforto, una qualche consolazione. Non sarebbe più rimasto in una solitudine senza speranza. È questa la vocazione e la missione di ogni discepolo di Gesù. È dal compimento di questa missione che il mondo ci riconoscerà come suoi discepoli. L’umanità intera vede un nuovo modo di amare, un nuovo modo di servire, un modo nuovo di essere dell’uomo verso l’uomo e si chiederà: “Perché tanta differenza? Perché costoro sono esseri spirituali e non carnali? Perché hanno una modalità così alta di amare?”. Si chiederanno e si risponderanno: “Perché essi sono i discepoli di colui che ha preso su di sé tutte le sofferenze, i dolori, le miserie, lo stesso peccato dell’umanità e ha vissuto ogni cosa come fosse personalmente sua”. Cristo così ha amato. Così vuole che ogni suo discepolo ami. È questa la sola via per essere per l’uomo, per la sua salvezza. Altre modalità sono pagane e non cristiane, delle terra e non del cielo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci ad amare secondo Cristo Gesù.