Intervento di Mons. Bertolone al X Convegno

26 novembre 2018, Convegno internazionale del Movimento Apostolico.

“Ti ascolto. I giovani protagonisti nella Chiesa e nella società”

Introduzione

1.           Saluti. Carissimi membri del Movimento Apostolico, che insieme con i vostri dirigenti, sacerdoti, educatori e catechisti, siete venuti a Catanzaro per il vostro Convegno internazionale, questa Chiesa particolare vi saluta e vi manifesta il proprio apprezzamento per la capillare opera di “protagonismo” che svolgete in ambito ecclesiale e civile, specialmente per le generazioni Ypsilon e Zeta.Saluto la signora Maria, fondatrice del movimento  che  offre preghiere e sofferenze per il bene della Chiesa.Un saluto particolareai relatori cui spetta catturare la nostra attenzione verso i due poli delle scienze (in specie le neuroscienze) e della pastorale: il neuroscienziato Antonio Cerasa e  mons. Domenico Battaglia, vescovo di Cerreto sannita-Telese-sant’Agata dei Goti, i quali dovranno centrare il nucleo di questo convegno.

2.           Il verbo biblico “ascoltare”. Ilverbo del convegno, è ascoltare e va coniugato alla prima persona singolare, giacché l’azione incombe necessariamente a ciascuno di noi. Ascolta, Israele, è la sintesi di ogni comandamento biblico. Di fronte a Dio che parla, viene esigìto, infatti, “un cuore che ascolta” (1Re 3,9) da parte dell’uditore-lettore. Dio parla in prima persona e il popolo reagisce con un ascolto ubbidiente, perché possa avvenire l’incontro con il Dio vivente. Tutto sotto la mozione dello Spirito Santo, che interpreta lettera e anima del testo biblico e guida il lettore a una comprensione spirituale, comunionale,il testo, fino a fare della lettura la base dell’alleanza. Sì, l’ascolto è costitutivo tanto di Israele – il popolo della promessa -, sia della ekklesía, l’assemblea del popolo dell’eterna alleanza, convocata dalla Parola di Dio e riunita intorno al Cristo risorto, parola vivente e definitiva di Dio all’umanità. La stessa oboeditiofideinasce dall’ascolto (fides ex auditu: Rm 10,17) e la vita cristiana si configura come chiamata all’ obbedienza della fede (ad oboeditionemfidei: Rm 16,26). Oggi, non soltanto questo popolo ecclesiale si mette in atteggiamento di ascolto, attraverso un suo Movimento, ma decide di entrare in relazione io-tu con il mondo giovanileal quale assicura: Io ti ascolto e poi gli chiede non primariamente di essere ascoltato, ma di esprimersi, perché la Chiesa-interlocutrice non primariamente dice, bensì ascolta i giovani. A che cosa si deve questa scelta? Semplicemente perché li ritiene protagonisti della società. Un vero e proprio cambiamento di prospettiva nei loro confronti e della relativa pastorale, che proviene da una sapiente rilettura del Libro Sacro. Questo fatto, questo cambiamento, viene percepito particolarmente dalla letteratura che, come al solito, prevede le grandi innovazioni di atteggiamento, derivanti da una Bibbia rimeditata oggi. Essa, d’altronde, non lascia mai indifferenti gli scrittori in genere; quelli siciliani, poi, li scuote, piega le loro resistenze, impone un’attenta riflessione. «Sono un laico – esclama V. CONSOLO – ho frequentato scarsamente la Bibbia. Eppure è un grande libro, è il Libro. Ne ho timore: di fronte a questa pagina vado in crisi e non voglio essere assalito dai dubbi» (Gli impostori e gli idioti, 2002). Le opere di Consolo, specchio del “guazzabuglio” della nostra epoca caotica, contengono “vertigine”, “panico”, “terrore” (Lunaria, favola teatrale, 1985) e i suoi personaggi sono «viandanti e profughi lungo la stessa via, accomunati da uno stesso oscuro male, da un’antica ferita» (Nottetempo, casa per casa, 1994); quella ferita che trova origine e risorsa di salvezza tra le pagine dolenti della Bibbia, definita dall’autore messinese “la fionda di David” (Fuga dall’Etna, 1993) per la sua forza prorompente e per quel sacro tormento che porta l’uomo, seppur piccolo e fragile, a ritrovare in sé e confidando in un Dio che ascolta, fede e audacia in direzione della verità: Io ti ascolto, dichiara la Parola di Dio, e l’uomo ritrova fiducia e audacia.

Io ti ascolto. Nella relazione del Circulus italicus A(prima parte dell’Instrumentum laboris sinodale), a proposito della dinamica dell’ascolto il relatore ha affermato: “L’esperienza dei discepoli di Emmaus esprime bene questa dinamica (Lc 24,13-35). Gesù, cammina con i due discepoli che si stanno allontanando da Gerusalemme. A lui non interessa tanto la direzione in cui vanno, bensì le loro persone. Per stare in loro compagnia, percorre la stessa strada. Li ascolta, li accoglie e li interroga per aiutarli a riconoscere quanto stanno vivendo. Con affetto ed energia, annuncia loro la Parola, aiutandoli a interpretare gli eventi che hanno vissuto. Accetta il loro invito a fermarsi presso di loro al calar della sera: entra nella loro notte. Nell’ascolto il loro cuore si riscalda e la loro mente si illumina, nella frazione del pane i loro occhi si aprono e i due scelgono di riprendere con rinnovata speranza il cammino in direzione opposta e di ricongiungersi alla comunità di cui sono parte, annunciandole l’esperienza del Risorto che hanno vissuto”[1]. Non è forse, questa, anche la bella icona evangelica per il vostro convegno?Cari amici il problema dell’ascolto non è nuovo. «Incapaci di ascoltare e di parlare». Così, nel quinto secolo avanti Cristo, un filosofo greco, Eraclito, bollava i suoi concittadini. Il giudizio rimane drammaticamente attuale per la grande maggioranza delle persone, forse per noi stessi e non solo dei giovani. Siamo capaci di ascoltare? Non di sentire: quello è un problema di acustica, ma ascoltare è molto di più che percepire dei suoni e coglierne il significato: è lasciare che le parole dell’altro penetrino dentro di noi, nel profondo, e vi risuonino in tutta la loro forza. Se dico a qualcuno: «Ti prego, ascoltami», so bene che già mi sente; ma quello che gli sto chiedendo è un’altra cosa, è di lasciare che quanto gli dico produca un effetto sul suo atteggiamento e sul suo comportamento. «Incapaci di ascoltare».

3.           Dire di nuovo:Io ti ascolto. La dinamica di chi si mette in ascolto corrisponde mirabilmente non soltanto alle dinamiche bibliche e alla psicologia umana, ma alla stessa struttura neuropercettiva dell’essere umano, come certamente vi sarà chiarito dal neuroscienziato. Certo, il Sinodo sui giovani ci ha ben chiarito che, da parte della comunità ecclesiale, si tratta di un ascolto empatico e pronto al dialogo, scevro da forme di autoreferenzialità, ma favorevole alle parole dettate dalla credibilità̀ della testimonianza resa al Signore Gesù e dall’attenzione a porre domande di senso e ad offrire orizzonti di risposta cristiani. Ma tutto questo, oltre che un proposito ecclesiale, dà una risposta all’attività intellettuale, come ci mostra l’interpretazione dei neuroni-specchio:cellule motorie che si attivano quando vengono osservati i movimenti compiuti da terze persone e che in qualche modo mimano, rispecchiandole, le azioni osservate. Il cervello, non è interpretato come un organo suddiviso in sezioni specialistiche, ma come un organo che si comporta come un unicum organizzato: da riduzionistica e meccanicistica, la fisiologia cerebrale diventa, in tal modo,olistica. La capacità dei neuroni- specchio di attivarsi simultaneamente con chi compie effettivamente un’azione nel cervello di una persona, che invece, si limita solo ad osservarla e simularla internamente, ci riporta all’idea di un circuito neurologico che non comunica con l’esterno verso il canale muscolare, ma si mantiene all’interno (uno dei fenomeni di rientro). Inoltre, sembrerebbe che, con i neuroni specchio, il nostro cervello possa non solo riconoscere e simulare la semplice azione motoria, ma addirittura scegliere le intenzioni dell’agente. Ad esempio, se guardiamo una partita di calcio o l’esibizione di un acrobata o se, molto più semplicemente, guardiamo i nostri ragazzi studiare, automaticamente si attivano nel nostro cervello le stesse aree motorie. È come se noi simulassimo internamente al cervello, senza movimenti espliciti, le azioni di cui siamo osservatori, quindi non inerti né imparziali o asettici.Secondo uno dei pionieri nella ricerca nel settore, Marco Iacoboni (I neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri, Bollati Boringhieri, Torino 2008), «quando vediamo qualcun altro che soffre o sente dolore, i neuroni specchio ci aiutano a leggere la sua espressione facciale e a farci provare la sofferenza o il dolore di quell’altra persona. Simili momenti […] sono la base fondante dell’empatia, e probabilmente anche del senso morale, un senso morale profondamente radicato nella nostra biologia». Secondo i neuroscienziati l’espressione mimica per svelare quest’ascolto, nutrito di empatia, sta nel sorriso. L’esistenza dei cosiddetti “neuroni specchio” spiega, quindi, come l’individuo cosciente riesca a riprodurre, attraverso lo stiramento delle labbra e lo sguardo acceso e profondo (il sorriso, per l’appunto!), quella stessa sensazione buona e pacificatoria “percepita” da lui stesso prima di replicare, con un analogo atto accogliente e festoso, ciò che definiamo «sorriso». Il cervello umano, nel corso dell’evoluzione, appare, in qualche modo, il risultato della somma di strati sempre più complessi che si sono sovrapposti nel tempo. Oggi, pur non avendo svolto, nel processo evolutivo, sempre i medesimi compiti, il cervello è considerato un organo complesso che controlla e coordina tutte le funzioni organiche dell’individuo. Pur considerando, di converso, che la digitalizzazione della società ha di molto alleviato il lavoro delle attività mentali, tuttavia, progressivamente gli strumenti digitali si stanno, sostituendoalla laboriosità dei neuroni alienando in tal modo l’essere umano. Quando i neuroni diventano inattivi, si autodistruggono ed il cervello, in tal modo, non riuscendo più ad allenarsi, come muscolo, si atrofizza.

Ascoltare i giovani protagonisti. Chi ascolta i giovani ( e non solo loro) e li osserva con sguardo amorevole(io ti ascolto), che nasce da una misericordia vissuta parte dal dato di realtà̀, condiviso empaticamente e s’impegna tanto nel comprendere la complessità̀, evitando giudizi affrettati, quanto nell’apprendere i linguaggi che vengono espressi dalla mente e dal cuore dei giovani. In ogni caso, è importante evitare generalizzazioni, perché la loro realtà si esprime in forme diversissime, abbraccia fasce di età̀ con esigenze fra loro molto differenti. Inoltre, ogni giovane aspira ad essere accolto e ascoltato per quello che è, con tutti i suoi perché le sue attese, le sue paure, ma anche con le tante positività̀ che porta in sé. Se esiste una oggettiva responsabilità dei ministri ordinati nella trasmissione della fede, bisogna anche riconoscere la rilevanza della testimonianza di chi, come i giovani, la fede la testimonia. Va cambiato l’atteggiamento di fondo nei confronti dei giovani: non oscurare la ricchezza delle loro idee e proposte, né destituirli da responsabilità e azioni capaci di avviare cambiamenti e novità, e da cui tutta la comunità può apprendere con profitto. Non si progettano iniziative per i giovani, bensì con i giovani. In quest’orizzonte è importante comprendere le età della vita non in assoluto, ma in relazione le une con le altre, accettando le diverse stagioni dell’esistenza nel dialogo e nel reciproco arricchimento. Gli adulti riconoscono oggi di non aver presentato in maniera adeguata la fede – come viene dimostrato dalla crisi della sua trasmissione, ben presente nel nostro Occidente, la Chiesa intera riconosce urgente riscoprire la capacità generativa come dimensione centrale della comunità cristiana. In questo una grande responsabilità l’hanno proprio i giovani, se li mettiamo in condizione di essere dei testimoni credibili della bellezza del messaggio evangelico. In controtendenza rispetto ad un esasperato individualismo, che si è diffuso anche nella comunità cristiana, il quale ha favorito l’affermarsi di una concezione della salvezza come generico benessere psicologico autocentrato e slegato dalla dimensione comunitaria e sacramentale, i giovani possono aiutare a non smarrire la percezione della “buona notizia” della grazia, che ci viene dalla persona di Gesù Cristo. E questo avviene soltanto quando la Chiesa, come in questo Convegno, si raduna per ascoltare il Vangelo e si lascia toccare da ciò che il mondo scarta: Io ti ascolto, significa davvero abbracciare la carne scartata dei giovani. E questo ridonerà certamente energia e vita a tutta la Chiesa. I suoni si sono moltiplicati a dismisura. Soffriamo di un vero e proprio inquinamento acustico. Forse anche per questo siamo diventati meno capaci di ascolto. Nel chiasso, tutto ci sfiora, ci frastorna, ma nulla penetra nel cuore. Non siamo più neppure capaci di ascoltare noi stessi. Solo il silenzio consente di ascoltare le voci segrete che salgono dal profondo della nostra anima, o che la sollecitano dall’esterno. E l’incapacità di ascoltare favorisce quella di parlare. Nella nostra società si sono moltiplicati i rumori, le chiacchere, ma è quasi scomparsa la parola. Sì: la parola è venuta meno. Paradossalmente, la società della comunicazione è muta. Intrattenimenti radiofonici e televisivi, discorsi convenzionali, non sono parole, sono chiacchiere. Fatte da persone che, non ascoltano mai la loro anima, né quella degli altri. Spero ed auguro che anche grazie a questo convegno si possa ascoltare la  voce della coscienza e soprattutto la voce di Dio, la sua Parola fatta carne.

4.           Conclusione. Voglio concludere con una delicata perla dell’antica saggezza cinese. Tanti anni fa vivevano in Cina due amici.Uno era molto bravo a suonare l’arpa, l’altro era molto bravo ad ascoltarlo. Quando il primo suonava o cantava una canzone che parlava di montagna, il secondo diceva: “Vedo la montagna come se l’avessi davanti!”. Quando il primo suonava a proposito di un ruscello, quello che ascoltava diceva, estasiato: “Sento scorrere l’acqua tra le pietre!”. Ma un triste giorno l’amico che ascoltava si ammalò e morì. Il primo amico tagliò le corde della sua arpa e non suonò mai più! Esistiamo, veramente, solo se qualcuno ci ascolta!Dico che non si ascolta solo con le orecchie, ma con tutto se stessi. Si ascolta con lo sguardo, con gli occhi accoglienti, con il cuore, con simpatia. Se cosi faremo, il nostro ascolto sarà sempre terapeutico e l’incontro manifestazione di una straordinariaesperienza  umanizzante, educante, indimenticabile e più efficace di mille parole. Le parole si possono dimenticare, gli abbracci no! Ascoltare è abbracciare!

Buon lavoro!