Intervento di S.E. Mons. Antonio Ciliberti alla prima giornata del terzo convegno

Intervento di S.E. Mons. Antonio Ciliberti
1° giorno – 25/09/2008

Carissimi,

con grande gioia, io saluto tutti voi nel Signore, in questo giorno così santo e vero, nel quale il Movimento Apostolico si ritrova per celebrare il suo terzo convegno, il suo terzo raduno nazionale.

Questo saluto cordiale e fraterno, sostanziato da tanta gioia, è per tutti voi carissimi.

Ma consentitemi che anche a vostro nome, questo saluto abbia cenni di particolare gratitudine ed attenzione nei confronti dei carissimi Vescovi presenti, successori degli Apostoli, continuatori dell’opera di Cristo, in seno alla comunità degli uomini fratelli.

Il mio saluto si estende ai carissimi sacerdoti, stretti collaboratori dei Vescovi, in quest’opera insostituibile e importante. Si estende a tutti i religiosi e le religiose; la particolarità della loro vocazione dice, infatti, la speciale predilezione che Dio ha per loro, inserendoli nell’intimità del suo Cuore perché, attraverso la mediazione e l’umiltà del loro servizio, facciano presente alla Chiesa il mondo di Dio su cui innescare, in modo pertinente, la propria azione missionaria.

Saluto, con grande attenzione e affetto, le associazioni, i gruppi e i movimenti presenti, approvati dalla Chiesa, che costituiscono sempre in comunione con i Pastori, l’espressione visibile dell’onnipotenza dello Spirito di Dio che, in conformità ai bisogni, alle necessità della sua Chiesa, suscita quei carismi indispensabili e la bontà del servizio, orientato all’edificazione della Chiesa dei Santi.

Ma ancora il mio saluto, questa sera, si rivolge ai rappresentanti di tutte le istituzioni, alle autorità, sia quelle civili, quelle militari. Anche loro, in conformità all’azione missionaria della Chiesa, sono chiamati ad essere incondizionatamente disponibili, nello specifico della solennità della loro missione, a dare quell’indispensabile contributo che trova il punto della sua centralità e convergenza nella dignità dell’uomo e nel costruire, appunto, il bene comune.

Ma consentitemi ancora che questo saluto abbia cenni di particolare gratitudine nei confronti della Signora Maria, Fondatrice e Ispiratrice del Movimento, perché nell’umiltà del suo approccio con il Signore, elevi fervida la sua preghiera, affinché Egli infonda l’abbondanza del suo Spirito sulla nostra comunità e, ogni giorno di più, la riproponga come incarnazione della Chiesa di Cristo, in ogni ambito della nostra vita diocesana.

Questo saluto, ancora si estende con particolari sentimenti di apprezzamento per l’intraprendenza, la continuità, la fantasia di immaginazione soprattutto, la fede umile e forte, nella Presidente.

Ma non posso dimenticare, questa sera, di salutare con affetto la grande Augusta, oggi segnata dal dolore con il quale, in profonda comunione con Cristo, immola le sue sofferenze per la purificazione della nostra comunità.

A tutti il cordiale saluto e l’augurio di un lavoro impegnativo e costante, in conformità alle indicazioni della Chiesa e, perciò stesso, in profonda rispondenza ai fabbisogni di tutti.

Noi ci troviamo, qui, per meditare, come ormai è consuetudine nel Movimento, sui documenti Pontifici, ma in maniera particolare su quei documenti che sono di grande attualità. Vi ricorderete che, già, lo scorso anno, abbiamo meditato sull’enciclica Caritas Est; questo anno, la nuova enciclica del Santo Padre Benedetto XVI, “Spe salvi”: questo è un epitelio ecclesiale molto bello, perché dice, in profonda sintonia con lo stile della nostra Chiesa che guarda alle sollecitazioni dei Pontefici che tengono in debito conto le emergenze della nostra società e le indicazioni dei Vescovi nel nostro paese, per potere poggiare su questi dati la sua progettualità.

Ed è proprio bello, allora, vedere come questo Movimento, attento al ministero Pontificio, di volta in volta, si impegni ad approfondire questi documenti. Quest’anno è la volta della speranza. Cos’è la speranza? Mi sono interrogato e, tenendo presente quanto il Santo Padre ha detto in questa grande enciclica, come sfondo su cui dò la mia riflessione, ho cercato di cogliere quei momenti che ritengo importanti.

Il primo è constatare come la nostra società, come l’attuale civiltà, considera e valuta la speranza.

Il secondo momento è verificare cos’è la speranza dell’uomo cristiano, il terzo momento è l’impegno di vivere forti nella speranza per essere suoi portatori nel mondo.

Oggi, all’interrogativo che abbiamo proposto, cos’è la speranza, il mondo più o meno risponde così: è l’attesa di un domani migliore. Questa risposta è largamente inclusa anche nell’ambito della nostra attuale cultura e della nostra civiltà, la civiltà cosiddetta moderna.

Ma quando ci interroghiamo sostanzialmente, chiedendoci in cosa risieda questo migliore domani, questo tempo di attesa, noi riceviamo dall’attuale cultura, nell’ambito della nostra civiltà, alcune precise indicazioni. Sappiamo bene che l’evento che, oggi, fonda, in maniera particolare, la nostra cultura e la nostra cosiddetta civiltà, è la forza della ragione, riscoperta in maniera inequivocabile, già con la rivoluzione francese ed esaltata dall’illuminismo.

La ragione è, certamente, elemento costitutivo e formale della nostra identità, dell’identità dell’uomo. Questi è tale perché è un essere ragionevole. La forza della ragione ha cercato di attualizzare le sue potenzialità, in funzione dell’ottenimento di quell’oggetto che avrebbe costituito, per così dire, l’appagamento delle sue attese, l’ansia, della cosiddetta speranza.

E perciò, siamo spinti, in maniera mirabile, ad attualizzare molte potenzialità che sono proprie della ragione, nel campo della tecnologia così avanzata, che tuttavia, persevera a ritmo accelerato il suo cammino nel nostro tempo. Tutto ciò in prospettiva di procacciare per l’uomo quei beni di consumo nei quali l’uomo della cosiddetta modernità riponeva la certezza dell’attualizzazione della sua speranze. Addirittura riponeva la concretizzazione dell’appagamento dei bisogni del suo Spirito.

Ma qual è l’esperienza che, oggi, accomuna gli uomini della cosiddetta civiltà moderna? Dinanzi a questa prospettiva che appariva mirabile, gli uomini della nostra civiltà hanno dovuto verificare, in maniera inequivocabile, che la ragione applicata alla tecnologia in dimensione del procacciamento dei beni di consumo, pur ammonendo a questa umanità assetata innumerevoli beni, questa umanità è insoddisfatta, delusa, sgomenta, perché le cose contingenti e materiali non hanno certo il potere di appagare la brama dello Spirito che va oltre le cose e cerca di più. Una grande delusione che caratterizza quella dimensione angosciosa che, non di rado, travaglia gli uomini dei nostri tempi.

Tuttavia, proprio perché la ragione è l’elemento costitutivo dell’entità dell’uomo, ha dentro di sé inesplorate potenzialità; adoperandosi in maniera ancora più efficace e responsabile, ha cercato di individuare, ancora meglio dopo questa esperienza carica di delusioni, in che cosa, sostanzialmente, avrebbe potuto trovare l’oggetto costitutivo su cui poggiare la vita per concretizzare la speranza nella prospettiva della realizzazione della beatitudine e, forte dell’esperienza, attualizzando molte potenzialità, l’uomo dei nostri tempi, nonostante tutto, è arrivato a capire alcune cose, che lo fecero autentico costitutivo di vera speranza: nella sua semplicità, deve coniugare nell’unità della sua essenza quegli aggettivi contraddistintivi dell’identità della speranza …

Quali sono questi aggettivi? Assoluto, eterno, immutato.

Assoluto è ciò che, per essere, non ha bisogno di appoggiarsi ad altri.

Come potrebbe costituire sostanza di speranza, per l’uomo intelligente dei nostri tempi, ciò che, per essere, avrebbe bisogno di appoggiarsi ad altri?

La sua instabilità, la sua insicurezza, sarebbe motivo di perturbazione e ucciderebbe la definizione di speranza. Deve essere qualcosa di immutabile, perché la stessa mutevolezza fa traballare la base su cui la speranza viene poggiata; deve essere qualcosa di eterno, perché ci introduca per sempre nella perenne attualità per la sua stessa altezza. Nonostante la capacità tipicamente naturale di cogliere in modo razionale l’altezza di questi valori, l’uomo della nostra civiltà, l’uomo moderno, deve anche riconoscere i limiti della sua esistenza.

La sua ragione non è l’assoluto, dunque l’uomo non ha in sé la capacità di pensare per l’uomo l’oggetto costitutivo della sua vera speranza.

E a questo punto, nella civiltà postmoderna, è presente una tensione che, in maniera mirabile, la nostalgia dell’uomo rende sempre presente: quella, cioè, di implorare un aiuto che venga dall’alto, per potere sovvenire ai limiti di questa umanità segnata. Lo gridava già Platone quattro secoli prima di Cristo. Se dall’alto non ci viene un aiuto, saremmo senza speranza e disperati. Lo gridava, con forza, nella sicurezza della sua fede, in maniera più completa e sublime, Sant’Agostino, il grande genio dell’umanità: Signore tu ci hai fatto per te e il nostro cuore sarà sempre inquieto fino a quando non riposerà in te.

Egli evidenzia il trascendente e il bisogno dell’assoluto che l’uomo avverte nella profondità del suo cuore.

Questa indigenza, non di rado articolata in dolore, si volge dalla terra verso il cielo e arriva al cuore di Dio il quale, certo, non è sordo all’invocazione dell’uomo, suo figlio.

Ed ecco allora, il secondo momento della nostra riflessione. Per noi cristiani, cos’è allora la speranza? Non è soltanto l’attesa di un domani migliore, risposta della nostra civiltà, ma è la certezza che quel domani è, già, nell’oggi della nostra storia, anche se non ancora, perché ha bisogno della realizzazione nella sua pienezza.

In che cosa sostanzialmente si concretizza questo dato? Nella presenza di Dio in seno alla comunità dell’uomo, suo figlio. Dio, Dio, se lo vedessi, se lo seguissi, dov’è questo Dio? Se Dio è nel tuo cuore, guardalo in ogni dove, cercalo nel tuo petto e lo troverai con te.

Dovunque guardo e giro, Dio ti vedo immenso, ti ammiro, ti riconosco in me, la terra e le larghe sfere parlano del suo potere, immensamente in te; è la voce del poeta. Ma il libro sacro, la storia, in maniera memorabile, ci dicono ancora di più: quel Dio che accoglie nella pienezza l’uomo che non solo ha quest’indigenza dell’umanità, in maniera personale e diretta, viene incontro a noi e s’incarna nel Seno Verginale, nella creatura nobile fra le mamme, l’Immacolata Maria.

Prende su di sé, nell’umiltà della sua persona, la condizione fragile della nostra umanità segnata e capiamo, subito, a quale vertiginosa altezza, eleva la nostra umanità, assunta nell’unità della persona del Verbo.

Vedete come, allora, quell’attesa che, in qualche misura, caratterizza la tensione di speranza, nel mondo di Dio trova storica connotazione che non si esaurisce nell’Incarnazione che è inizio dell’opera salvifica, portata a compimento da Cristo nella storia.

Infatti, quel Cristo che per noi si è incarnato, per noi si è immolato sull’altare della croce, vittima di espiazione per i nostri peccati, celebrando quell’unico e vero sacrificio che riscatta l’uomo dalla sua umanità di figlio di Dio e gli consegna la garanzia della eterna salute, fondamento granitico e sicuro, forte irriducibile di autentica speranza.

Sì, solo Cristo, è in grado di poter celebrare quell’evento autentico di salvezza, perché egli, Uomo Dio, nell’unità della sua persona, ha il potere di compiere opere che sono di valore infinito: il suo sacrificio, il sacrificio Pasquale è il sacrificio redentivo per eccellenza, sicché possiamo gridare la verità, forte della sua fede cosciente: per l’uomo di tutti i tempi non c’è altra possibilità di salvezza, all’infuori di Cristo.

Cristo è il nostro unico salvatore, ieri, oggi e sempre.

Ma Gesù, nell’infinità del suo amore per noi, in profonda sintonia con la volontà del Padre, come sappiamo, ha voluto che quell’unico e autentico sacrificio, celebrato una volta per tutte sull’altare della croce, potesse essere riproposto nella perenne attualità della storia, perché risultasse strumento di salvezza, per me, per te, fratelli, sorelle e pastori.

Perciò, ha istituito il mistero di Cristo che è la riproposizione del sacrificio Pasquale di Gesù: la Santa Messa nella quale la grandezza del suo amore raggiunge vertici inarrivabili per i limiti della capacità dell’uomo, perché in ogni sacrificio egli si fa cibo e bevanda per alimentare in ricchezza la nostra vita interiore, dandoci il suo Corpo e il suo sangue per estinguere, per l’eternità, l’arsura del cuore.

Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, chi mangia e beve possiederà la vita.

Carissimi, ecco la concretizzazione mirabile delle attese che, in maniera potente, sono presenti nel cuore dell’uomo e che trovano opportunità di riscontro esauriente nell’opera di Dio che si coniuga con Cristo, per opera dello Spirito.

Ma Gesù ha voluto far sì che quanto Egli ha portato a compimento, per edificare la speranza dell’umanità e celebrare in maniera definitiva la sua rivelazione salvifica, potesse essere perpetuato anche attraverso l’umiliazione di coloro i quali, accogliendo la sua opera, si impegnano con responsabilità a condividerne la missione.

Perciò, come insegna il Padre, Egli ha detto: vi manderò lo Spirito Santo e lo Spirito Santo porterà a compimento in Lui, l’opera iniziata col Battesimo.

Sappiamo bene ciò che avvenne il giorno di Pentecoste che non è un favola bella: è la redenzione prepotente dell’amore divino; l’animo della Chiesa sente che la vita ha una grande missione nel mondo. Pietro e gli altri portino lo Spirito di Dio, intraprendano il loro compito che era quello di guidare gli uomini, in nome di cristo Risorto, in nome del nostro Salvatore.

Carissimi, lo Spirito Santo, è l’anima della Chiesa e in maniera costante, la guida con la Onnipotenza del suo Amore, in compimento della sua missione.

Noi abbiamo i dati irrefutabili che ribadiscono, inequivocabilmente, questa verità. Facciamo una piccola osservazione. Se noi consideriamo la tradizione attuale della nostra umanità e la mettiamo a raffronto con la stessa umanità, nel recente ma non più remoto passato, noi in maniera misurabile, riscontriamo questo irrefutabile dato. L’umanità procede in maniera graduale e costante, dalla condizione di inferiorità, a una situazione di superiore grandezza e tutto ciò nonostante i limiti e l’egoismo dell’uomo che, spesso, costituisce una forza frenante dell’azione dello Spirito di Dio.

Questo dato dice, inequivocabilmente, che è la forza dello Spirito di Dio l’animo della storia dell’umanità la quale si realizza in questo processo irrefrenabile e costante verso la pienezza della sua liberazione. È chiaro, se l’uomo collabora a questo disegno di Dio, il ritmo sarà quello che lo Spirito Santo imprime al cammino della sua Chiesa. Se, al contrario, deresponsabilizzato, defilato, l’uomo non si impegna a collaborare, il suo disimpegno non spegnerà l’azione dello Spirito Santo. Renderà però vano il disegno di Dio per la sua vita e per tutti coloro che sono affidati alla sua responsabilità.

Allora il nostro impegno è proporre questo; la forza della nostra speranza sta proprio in questa certezza: che il nostro migliore domani è già presente, nell’oggi della nostra storia, perché Dio in maniera mirabile, in Gesù cristo, con l’onnipotenza del Suo Spirito, ha portato a compimento la sua parte.

A questo punto, ecco il terzo interrogativo che ci ponevamo all’inizio. Quale deve essere il nostro atteggiamento innanzi a questo ineffabile disegno in cui notiamo, più grande, la speranza per noi cristiani nel mondo?

La risposta è ovvia. Dobbiamo adoperarci per potere responsabilmente collaborare, perché ciò che il Signore ha fatto, senza il nostro aiuto, non troverà in noi la pienezza del suo compimento, senza la nostra responsabile compartecipazione; è indispensabile, perciò, alla luce di queste altre verità, spalancare anima e cuore, l’interezza della nostra esistenza, ad accogliere Cristo, nostra speranza, Cristo nostro Salvatore, instaurando con Lui, inscindibile, questo rapporto di unità di vita, di comunione sostanziale da cui attingere l’ispirazione e la forza della nostra storia e missione di uomini.

Accoglieremo Cristo Verità, come Maria, nel cui seno il Verbo si fece carne, accogliendo il suo Vangelo che è Cristo che parla al mondo, nella situazione concreta, nella sua storia, nella sua vita. Accogliamo Cristo, pane vivo, attraverso l’Eucarestia, perché egli sostanzi la nostra spiritualità, dia forza anche alla nostra missione.

In questa prospettiva, certamente, c’è il mirabile esempio: Maria, Madre della Redenzione e Stella della speranza, perché è proprio lei che accolse nel mistero della sua maternità il Dio fatto nostro fratello e, attraverso la mediazione della sua missione storica nel mondo, lo portò agli uomini di buona volontà, come unico e vero salvatore.

Alla luce di queste verità, la Chiesa, con i suoi figli, si impegni a vivere questa sua missione, perché ciascuno di noi davvero possa essere, nel mondo, testimone di speranza, per tutti gli uomini di buona volontà.

Questo augurio, nella particolarità di questo congresso, io rivolgo con affetto a tutti i membri di questa benemerita associazione, perché davvero forti di Cristo Dio, nell’umanità della propria carne, possano essere, nel mondo, testimoni di speranza, per irradiare agli uomini che vivono un momento di sofferenza e di sgomento in questo mondo un orientamento sicuro che è quello che porta alla salvezza comune: Gesù Cristo nostro Signore.