Sulla misericordia dal 5-01-2014 al 14-09-2014

Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai

Dio è la fonte unica di ogni misericordia. È Lui che ispira la mente, riscalda il cuore, rende forte la volontà con la sua misericordia di grazia che previene ogni nostro pensiero, desiderio, azione. Se Dio non è con l’uomo, non è nell’uomo, questi mai sarà capace di vera misericordia. Questa verità obbliga a modificare tutta la nostra predicazione. Invitare a fare il bene è come dire ad una pietra che deve produrre uva. La pietra mai potrà produrre uva. Prima dovrà essere trasformata in vite e poi potrà produrre uva. Si coltivano le viti, non le pietre. Noi oggi siamo divenendo coltivatori di pietre, non di cristiani. Non facciamo nulla per fare di ogni uomo un cristiano, di ogni uomo dal cuore di pietra in un uomo dal cuore di carne, ma poi desideriamo le opere dell’uomo dal cuore di carne, mentre lui è ancora dal cuore di pietra. Oggi il Signore manifesta a Giacobbe tutta la sua divina misericordia, la sua compassione, la sua pietà verso di lui. Gli rivela che sarà sempre al suo fianco, che mai l’abbandonerà. Forte di questa grande misericordia del suo Dio e Signore, Giacobbe potrà vivere la sua missione: essere portatore nella storia della benedizione di Dio, che è il principio di ogni altra divina misericordia.

Allora Isacco chiamò Giacobbe, lo benedisse e gli diede questo comando: «Tu non devi prender moglie tra le figlie di Canaan. Su, va’ in Paddan‑Aram, nella casa di Betuèl, padre di tua madre, e prenditi là una moglie tra le figlie di Làbano, fratello di tua madre. Ti benedica Dio l’Onnipotente, ti renda fecondo e ti moltiplichi, sì che tu divenga un insieme di popoli. Conceda la benedizione di Abramo a te e alla tua discendenza con te, perché tu possieda la terra che Dio ha dato ad Abramo, dove tu sei stato forestiero». Così Isacco fece partire Giacobbe, che andò in Paddan‑Aram presso Làbano, figlio di Betuèl, l’Arameo, fratello di Rebecca, madre di Giacobbe e di Esaù. Esaù vide che Isacco aveva benedetto Giacobbe e l’aveva mandato in Paddan‑Aram per prendersi una moglie originaria di là e che, mentre lo benediceva, gli aveva dato questo comando: «Non devi prender moglie tra le Cananee».

Giacobbe, obbedendo al padre e alla madre, era partito per Paddan‑Aram. Esaù comprese che le figlie di Canaan non erano gradite a suo padre Isacco. Allora si recò da Ismaele e, oltre le mogli che aveva, si prese in moglie Macalàt, figlia di Ismaele, figlio di Abramo, sorella di Nebaiòt. Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese là una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco, il Signore gli stava davanti e disse: «Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra. Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto».

Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo». La mattina Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora la città si chiamava Luz. Giacobbe fece questo voto: «Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. Questa pietra, che io ho eretto come stele, sarà una casa di Dio; di quanto mi darai, io ti offrirò la decima» (Gen 28,1-22).

Dobbiamo tutti prendere coscienza di questa verità: la fonte, il principio, la sorgente di ogni misericordia dell’uomo è il cuore del Padre, allo stesso modo che il principio, la fonte, la sorgente della buona uva è solo la vite. Un sasso non può produrre uva. Un cuore di pietra non può generare nel mondo alcuna vera misericordia. Se la Chiesa non si convince di questa verità, se non impegna tutta la sua divina ed umana energia per fare discepoli del Signore tutti gli uomini, essa scrive lettere alle pietre, predica alle pietre, tiene corsi di aggiornamento alle pietre, costruisce università di teologia per pietre. Questa verità urge che sia posta al centro del cuore di ogni discepolo di Gesù, chiamato a lasciarsi ogni giorno trasformare il cuore di pietra in un cuore di carne. Se però il discepolo di Gesù pensa che Cristo non gli è necessario, senza Cristo all’istante ritorna ad essere pietra. Si esclude dalla vera misericordia.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a farci dal cuore di carne.

05 Gennaio 2014

Hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!

Perché il Signore riversi sulla terra in pienezza e in abbondanza la sua misericordia vuole che l’uomo viva con Lui un vero combattimento, che non duri però un istante, bensì tutta la vita. La vita del cristiano deve essere un combattimento con il Signore, una lotta senza sosta. Questa è il significato della preghiera: una dura, aspra, ininterrotta battaglia, una continua lotta con il Signore. Se non lottiamo, non otteniamo. Se non combattiamo, rimaniamo poveri. Se non ingaggiamo questa battaglia con il nostro Dio, mai attraverso di noi si riverserà sul mondo la sua pietà, la sua misericordia, la sua compassione, il suo grande e immenso amore.

Giacobbe disse: «Dio del mio padre Abramo e Dio del mio padre Isacco, Signore, che mi hai detto: “Ritorna nella tua terra e tra la tua parentela, e io ti farò del bene”, io sono indegno di tutta la bontà e di tutta la fedeltà che hai usato verso il tuo servo. Con il mio solo bastone avevo passato questo Giordano e ora sono arrivato al punto di formare due accampamenti. Salvami dalla mano di mio fratello, dalla mano di Esaù, perché io ho paura di lui: che egli non arrivi e colpisca me e, senza riguardi, madri e bambini! Eppure tu hai detto: “Ti farò del bene e renderò la tua discendenza tanto numerosa come la sabbia del mare, che non si può contare”». Giacobbe rimase in quel luogo a passare la notte. Poi prese, da ciò che gli capitava tra mano, un dono per il fratello Esaù: duecento capre e venti capri, duecento pecore e venti montoni, trenta cammelle, che allattavano, con i loro piccoli, quaranta giovenche e dieci torelli, venti asine e dieci asinelli. Egli affidò ai suoi servi i singoli branchi separatamente e disse loro: «Passate davanti a me e lasciate una certa distanza tra un branco e l’altro». Diede quest’ordine al primo: «Quando ti incontrerà Esaù, mio fratello, e ti domanderà: “A chi appartieni? Dove vai? Di chi sono questi animali che ti camminano davanti?”, tu risponderai: “Di tuo fratello Giacobbe; è un dono inviato al mio signore Esaù; ecco, egli stesso ci segue”». Lo stesso ordine diede anche al secondo e anche al terzo e a quanti seguivano i branchi: «Queste parole voi rivolgerete ad Esaù quando lo incontrerete; gli direte: “Anche il tuo servo Giacobbe ci segue”». Pensava infatti: «Lo placherò con il dono che mi precede e in seguito mi presenterò a lui; forse mi accoglierà con benevolenza». Così il dono passò prima di lui, mentre egli trascorse quella notte nell’accampamento.

Durante quella notte egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici bambini e passò il guado dello Iabbok. Li prese, fece loro passare il torrente e portò di là anche tutti i suoi averi. Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quello disse: «Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora». Giacobbe rispose: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!». Gli domandò: «Come ti chiami?». Rispose: «Giacobbe». Riprese: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!». Giacobbe allora gli chiese: «Svelami il tuo nome». Gli rispose: «Perché mi chiedi il nome?». E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuèl: «Davvero – disse – ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva». Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuèl e zoppicava all’anca. Per questo gli Israeliti, fino ad oggi, non mangiano il nervo sciatico, che è sopra l’articolazione del femore, perché quell’uomo aveva colpito l’articolazione del femore di Giacobbe nel nervo sciatico (Gen 32,10-33).

Giacobbe finora è stato custodito dal Signore nel suo grande amore, nella sua divina misericordia, in quella carità che sempre lo ha sostenuto, sorretto, protetto. Ora però è giunto il momento di passare dallo stadio della pura passività a quello dell’attività. Non è più un bambino. Ora è un uomo maturo e con Dio e con gli uomini dovrà sempre comportarsi da uomo maturo. Per questo Dio viene e gli insegna come si lotta e come si vince. È triste vedere persone che vogliono rimanere per sempre nel loro grembo materno, che non vogliono partorire se stesse alla grande responsabilità di assumere la propria vita interamente sulle loro spalle. È triste assistere a storie di involuzione spirituale invece che di vera crescita spirituale. È triste, molto triste ripiegarsi, cullarsi, nascondersi dietro la potenza degli altri, mentre siamo noi che siamo fragili, deboli, incapaci di fare storia. È triste lasciarsi morire spiritualmente perché non vogliono prendere in mano la spada della preghiera e iniziare una dura lotta con il Signore perché ci faccia nascere come veri uomini, vere donne, capaci di grande responsabilità spirituale. È triste vedere uomini e donne chiuse nel loro piccolo mondo fatto di desideri vani, inutili, dannosi, privi di verità storica, perché non vogliono elevarsi alle alte vette della maturità umana, cristiana, spirituale, ascetica, mistica. È triste quando la storia si ferma per uno, due, tre, dieci, venti anni per la nostra cattiva volontà che ci fa chiudere nel nostro piccolo egoismo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera lotta con il Signore.

12 Gennaio 2014

Voi mi avete rovinato, rendendomi odioso agli abitanti della regione

Giacobbe è persona mite. Cerca sempre la via migliore per vivere di grande misericordia, anche in momenti in cui si dovrebbe operare perché la giustizia prevalga. Lui invece fa sempre prevalere la misericordia sulla giustizia, l’amore sul diritto violato, il perdono e la riconciliazione sul peccato dell’uomo. Nonostante sua figlia fosse stata violentata, lui è pronto per far trionfare la misericordia anche in questa spiacevole e triste occasione della vita. Lui sa che la vita è fatta anche di queste cose. Siamo nel regno del peccato. Se il regno è del peccato, in esso non può governare se non il peccato. Lui però appartiene al regno della misericordia, del perdono, della pace. Attorno a lui devono regnare pace, misericordia, perdono. Questo è il suo regno.

Dina, la figlia che Lia aveva partorito a Giacobbe, uscì a vedere le ragazze del posto. Ma la notò Sichem, figlio di Camor l’Eveo, principe di quel territorio, la rapì e si coricò con lei facendole violenza. Ma poi egli rimase legato a Dina, figlia di Giacobbe; s’innamorò della giovane e le rivolse parole di conforto. Quindi disse a Camor, suo padre: «Prendimi in moglie questa ragazza». Intanto Giacobbe aveva saputo che quello aveva disonorato sua figlia Dina, ma i suoi figli erano in campagna con il suo bestiame, e Giacobbe tacque fino al loro arrivo. Venne dunque Camor, padre di Sichem, da Giacobbe per parlare con lui. Quando i figli di Giacobbe tornarono dalla campagna, sentito l’accaduto, ne furono addolorati e s’indignarono molto, perché quegli, coricandosi con la figlia di Giacobbe, aveva commesso un’infamia in Israele: così non si doveva fare! Camor disse loro: «Sichem, mio figlio, è innamorato della vostra figlia; vi prego, dategliela in moglie! Anzi, imparentatevi con noi: voi darete a noi le vostre figlie e vi prenderete per voi le nostre figlie. Abiterete con noi e la terra sarà a vostra disposizione; potrete risiedervi, percorrerla in lungo e in largo e acquistare proprietà». Sichem disse al padre e ai fratelli di lei: «Possa io trovare grazia agli occhi vostri; vi darò quel che mi direte. Alzate pure molto a mio carico il prezzo nuziale e il valore del dono; vi darò quanto mi chiederete, ma concedetemi la giovane in moglie!». Allora i figli di Giacobbe risposero a Sichem e a suo padre Camor e parlarono con inganno, poiché quegli aveva disonorato la loro sorella Dina. Dissero loro: «Non possiamo fare questo, dare la nostra sorella a un uomo non circonciso, perché ciò sarebbe un disonore per noi. Acconsentiremo alla vostra richiesta solo a questa condizione: diventare come noi, circoncidendo ogni vostro maschio. In tal caso noi vi daremo le nostre figlie e ci prenderemo le vostre, abiteremo con voi e diventeremo un solo popolo. Ma se voi non ci ascoltate a proposito della nostra circoncisione, prenderemo la nostra ragazza e ce ne andremo».

Le loro parole piacquero a Camor e a Sichem, figlio di Camor. Il giovane non indugiò a eseguire la cosa, perché amava la figlia di Giacobbe; d’altra parte era il più onorato di tutto il casato di suo padre. Vennero dunque Camor e il figlio Sichem alla porta della loro città e parlarono agli uomini della città: «Questi uomini sono gente pacifica con noi: abitino pure con noi nel territorio e lo percorrano in lungo e in largo; esso è molto ampio per loro in ogni direzione. Noi potremo prendere in moglie le loro figlie e potremo dare loro le nostre. Ma questi uomini a una condizione acconsentiranno ad abitare con noi, per diventare un unico popolo: se noi circoncidiamo ogni nostro maschio come loro stessi sono circoncisi. I loro armenti, la loro ricchezza e tutto il loro bestiame non diverranno forse nostri? Accontentiamoli dunque, e possano abitare con noi!». Quanti si radunavano alla porta della sua città ascoltarono Camor e il figlio Sichem: tutti i maschi, quanti si radunavano alla porta della città, si fecero circoncidere. Ma il terzo giorno, quand’essi erano sofferenti, i due figli di Giacobbe, Simeone e Levi, i fratelli di Dina, presero ciascuno la propria spada, entrarono indisturbati nella città e uccisero tutti i maschi. Passarono così a fil di spada Camor e suo figlio Sichem, portarono via Dina dalla casa di Sichem e si allontanarono. I figli di Giacobbe si buttarono sui cadaveri e saccheggiarono la città, perché quelli avevano disonorato la loro sorella. Presero le loro greggi e i loro armenti, i loro asini e quanto era nella città e nella campagna. Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini e le loro donne e saccheggiarono quanto era nelle case. Allora Giacobbe disse a Simeone e a Levi: «Voi mi avete rovinato, rendendomi odioso agli abitanti della regione, ai Cananei e ai Perizziti. Io ho solo pochi uomini; se essi si raduneranno contro di me, mi vinceranno e io sarò annientato con la mia casa». Risposero: «Si tratta forse la nostra sorella come una prostituta?» (Cfr. Gen 34,1-31).

Simeone e Levi non pensano come il Padre. Loro sono del regno della vendetta, della giustizia ad oltranza, dello sterminio del peccatore. Loro non applicano la legge della misericordia. La loro legge è la vendetta attraverso la morte di un intero popolo. È una vendetta oltre misura.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci del regno della misericordia.

19 Gennaio 2014

Egli intendeva salvarlo dalle loro mani e ricondurlo a suo padre

In frangenti difficili, nei quali non si può suggerire la perfetta misericordia da vivere verso i nostri fratelli, quale via percorrere perché il male non venga operato in tutta la sua gravità? Ruben, il primogenito di Giacobbe, oggi ci suggerisce una via sempre percorribile. In un primo tempo urge far sì che si eviti il male più grave, pesante, che è l’uccisione di un uomo. Nel caso specifico di Giuseppe, Lui suggerisce che lo si getti in un cisterna nel deserto. Se si riesce a passare dal male estremo ad un male più lieve, è già un successo della misericordia.

Giuseppe all’età di diciassette anni pascolava il gregge con i suoi fratelli. Essendo ancora giovane, stava con i figli di Bila e i figli di Zilpa, mogli di suo padre. Ora Giuseppe riferì al padre di chiacchiere maligne su di loro. Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe. I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente.

I suoi fratelli erano andati a pascolare il gregge del loro padre a Sichem. Israele disse a Giuseppe: «Sai che i tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem? Vieni, ti voglio mandare da loro». Allora Giuseppe ripartì in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan. Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono contro di lui per farlo morire. Si dissero l’un l’altro: «Eccolo! È arrivato il signore dei sogni! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna! Poi diremo: “Una bestia feroce l’ha divorato!”. Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!». Ma Ruben sentì e, volendo salvarlo dalle loro mani, disse: «Non togliamogli la vita». Poi disse loro: «Non spargete il sangue, gettatelo in questa cisterna che è nel deserto, ma non colpitelo con la vostra mano»: egli intendeva salvarlo dalle loro mani e ricondurlo a suo padre. Quando Giuseppe fu arrivato presso i suoi fratelli, essi lo spogliarono della sua tunica, quella tunica con le maniche lunghe che egli indossava, lo afferrarono e lo gettarono nella cisterna: era una cisterna vuota, senz’acqua. Poi sedettero per prendere cibo. Quand’ecco, alzando gli occhi, videro arrivare una carovana di Ismaeliti provenienti da Gàlaad, con i cammelli carichi di resina, balsamo e làudano, che andavano a portare in Egitto. Allora Giuda disse ai fratelli: «Che guadagno c’è a uccidere il nostro fratello e a coprire il suo sangue? Su, vendiamolo agli Ismaeliti e la nostra mano non sia contro di lui, perché è nostro fratello e nostra carne».

Quando Ruben tornò alla cisterna, ecco, Giuseppe non c’era più. Allora si stracciò le vesti, tornò dai suoi fratelli e disse: «Il ragazzo non c’è più; e io, dove andrò?». Allora presero la tunica di Giuseppe, sgozzarono un capro e intinsero la tunica nel sangue. Poi mandarono al padre la tunica con le maniche lunghe e gliela fecero pervenire con queste parole: «Abbiamo trovato questa; per favore, verifica se è la tunica di tuo figlio o no». Egli la riconobbe e disse: «È la tunica di mio figlio! Una bestia feroce l’ha divorato. Giuseppe è stato sbranato». Giacobbe si stracciò le vesti, si pose una tela di sacco attorno ai fianchi e fece lutto sul suo figlio per molti giorni. Tutti i figli e le figlie vennero a consolarlo, ma egli non volle essere consolato dicendo: «No, io scenderò in lutto da mio figlio negli inferi». E il padre suo lo pianse. Intanto i Madianiti lo vendettero in Egitto a Potifàr, eunuco del faraone e comandante delle guardie (Cfr. Gen 37,1-36).

Ancora però la soluzione di Ruben era a rischio di vita. In una cisterna di deserto non si sopravvive, a meno che uno non venga subito tirato fuori. Ruben ha però già prodotto un primo frutto di misericordia. L’altro frutto di misericordia lo produce Giuda, il quale suggerisce la vendita del fratello agli Ismaeliti. Con questo secondo suggerimento la vita di Giuseppe è salva per sempre. Questa strategia di misericordia ci suggerisce una verità che sempre si deve praticare. Questa strategia ha un solo nome: comunione nella pratica dell’esercizio delle opere di misericordia. La comunione vuole, domanda, esige che ognuno completi l’opera dell’altro. Uno solo non riesce mai a fare ogni cosa perfetta. Se ad uno si aggiunge un secondo, e poi un terzo, un quarto, un quinto, alla fine della comunione troviamo l’opera perfetta. Questa legge vale anche per le opere spirituali della misericordia. Uno dissoda la terra, uno irriga, uno pianta, uno vigila lungo il tempo della crescita, uno raccogliere i frutti. Solo così l’opera sarà perfetta, completa. La solitudine nelle opere di misericordia è fallimento, scarsissima riuscita. Nessuno da solo potrà mai compiere l’opera della misericordia sia corporale che spirituale. Urge creare una comunione ininterrotta, perenne, non solo tra le persone, ma anche tra i ministeri, i carismi, le istituzioni, le molte funzioni nella Chiesa. La comunione dovrà essere ascendente, discendente, orizzontale, dal basso verso l’alto, dall’alto verso il basso, da un fratello ad un altro a tutti e tre i livelli. Se un solo livello viene ignorato, trascurato, è la non riuscita.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera comunione di carità.

26 Gennaio 2014

Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone che hai in mano

Il brano della Genesi, offerto oggi alla nostra meditazione, merita ogni attenzione, va letto con molta intelligenza e sapienza, va custodito nel cuore. Tamar ci insegna che vi è sempre bisogno che ognuno si prepari anzitempo la misericordia futura. La nostra vita nel tempo è anche il frutto di questa nostra sapienza, intelligenza, lungimiranza con la quale sappiamo predisporre sui nostri passi la misericordia di Dio e degli uomini. Preparare per sé e per gli altri giorni di vera misericordia è opera di grande sapienza e intelligenza. Tamar è sommamente sapiente.

In quel tempo Giuda si separò dai suoi fratelli e si stabilì presso un uomo di Adullàm, di nome Chira. Qui Giuda notò la figlia di un Cananeo chiamato Sua, la prese in moglie e si unì a lei. Ella concepì e partorì un figlio e lo chiamò Er. Concepì ancora e partorì un figlio e lo chiamò Onan. Ancora un’altra volta partorì un figlio e lo chiamò Sela. Egli si trovava a Chezìb, quando lei lo partorì. Giuda scelse per il suo primogenito Er una moglie, che si chiamava Tamar. Ma Er, primogenito di Giuda, si rese odioso agli occhi del Signore, e il Signore lo fece morire. Allora Giuda disse a Onan: «Va’ con la moglie di tuo fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità a tuo fratello». Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva il seme per terra, per non dare un discendente al fratello. Ciò che egli faceva era male agli occhi del Signore, il quale fece morire anche lui. Allora Giuda disse alla nuora Tamar: «Ritorna a casa da tuo padre, come vedova, fin quando il mio figlio Sela sarà cresciuto». Perché pensava: «Che non muoia anche questo come i suoi fratelli!». Così Tamar se ne andò e ritornò alla casa di suo padre.

Trascorsero molti giorni, e morì la figlia di Sua, moglie di Giuda. Quando Giuda ebbe finito il lutto, si recò a Timna da quelli che tosavano il suo gregge e con lui c’era Chira, il suo amico di Adullàm. La notizia fu data a Tamar: «Ecco, tuo suocero va a Timna per la tosatura del suo gregge». Allora Tamar si tolse gli abiti vedovili, si coprì con il velo e se lo avvolse intorno, poi si pose a sedere all’ingresso di Enàim, che è sulla strada per Timna. Aveva visto infatti che Sela era ormai cresciuto, ma lei non gli era stata data in moglie. Quando Giuda la vide, la prese per una prostituta, perché essa si era coperta la faccia. Egli si diresse su quella strada verso di lei e disse: «Lascia che io venga con te!». Non sapeva infatti che era sua nuora. Ella disse: «Che cosa mi darai per venire con me?». Rispose: «Io ti manderò un capretto del gregge». Ella riprese: «Mi lasci qualcosa in pegno fin quando non me lo avrai mandato?». Egli domandò: «Qual è il pegno che devo dare?». Rispose: «Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone che hai in mano». Allora Giuda glieli diede e si unì a lei. Ella rimase incinta. Poi si alzò e se ne andò; si tolse il velo e riprese gli abiti vedovili. Giuda mandò il capretto per mezzo del suo amico di Adullàm, per riprendere il pegno dalle mani di quella donna, ma quello non la trovò. Domandò agli uomini di quel luogo: «Dov’è quella prostituta che stava a Enàim, sulla strada?». Ma risposero: «Qui non c’è stata alcuna prostituta». Così tornò da Giuda e disse: «Non l’ho trovata; anche gli uomini di quel luogo dicevano: “Qui non c’è stata alcuna prostituta”». Allora Giuda disse: «Si tenga quello che ha! Altrimenti ci esponiamo agli scherni. Ecco: le ho mandato questo capretto, ma tu non l’hai trovata».

Circa tre mesi dopo, fu portata a Giuda questa notizia: «Tamar, tua nuora, si è prostituita e anzi è incinta a causa delle sue prostituzioni». Giuda disse: «Conducetela fuori e sia bruciata!». Mentre veniva condotta fuori, ella mandò a dire al suocero: «Io sono incinta dell’uomo a cui appartengono questi oggetti». E aggiunse: «Per favore, verifica di chi siano questo sigillo, questi cordoni e questo bastone». Giuda li riconobbe e disse: «Lei è più giusta di me: infatti, io non l’ho data a mio figlio Sela». E non ebbe più rapporti con lei. Quando giunse per lei il momento di partorire, ecco, aveva nel grembo due gemelli. Durante il parto, uno di loro mise fuori una mano e la levatrice prese un filo scarlatto e lo legò attorno a quella mano, dicendo: «Questi è uscito per primo». Ma poi questi ritirò la mano, ed ecco venne alla luce suo fratello. Allora ella esclamò: «Come ti sei aperto una breccia?» e fu chiamato Peres. Poi uscì suo fratello, che aveva il filo scarlatto alla mano, e fu chiamato Zerach (Gen 38,1-30).

Viviamo in un tempo in cui la moralità è ancora assai scarsa. È pochissima. Bene e male secondo Dio ancora sono incerti. C’è tanta confusione. La lungimiranza di Tamar va tuttavia tenuta in grande considerazione. Il nostro futuro è anche nella nostra intelligenza, sapienza, accortezza, prudenza, attenzione. Non possiamo abbandonare al caso il nostro futuro. Esso va custodito saldamente anche nelle nostre mani. Va preparato con grande sapienza e saggezza.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri custodi del nostro futuro.

02 Febbraio 2014

Come dunque potrei fare questo grande male e peccare contro Dio?

Ogni uomo se vuole essere fonte di misericordia di Dio per i suoi fratelli deve conservarsi lui nella benedizione del suo Dio e Signore. Per fare questo, deve mantenersi puro da ogni peccato, mai dovrà trasgredire i comandamenti che sono legge di vita e di benedizione. Chi vive nella volontà di Dio sempre, è come albero piantato lungo corsi d’acqua che produce frutti a suo tempo per dare ottimo nutrimento a quanti li colgono e se ne saziano.

La benedizione che Dio riversa su noi diviene benedizione per il mondo intero a condizione che noi rimaniamo sempre nella benedizione, cioè nel compimento perfetto della divina volontà. Non rinnegare il Signore potrebbe divenire per noi momentanea sofferenza, croce, martirio, perdita della libertà. Questo avviene solo per un istante, l’istante della prova della nostra fedeltà. Poi subito il Signore interviene e ci ridona non solo la libertà di prima, ma una ancora più grande. La condizione è però una sola: rimanere fedeli alla divina volontà.

Giuseppe è venduto dai fratelli agli Ismaeliti e lui rimane nella divina volontà. Dagli Ismaeliti viene venduto a Potifar e lui rimane nei comandamenti del suo Dio. La moglie di Potifar cerca di sedurlo e lui rimane nella divina volontà. Perde ogni libertà, ma solo per qualche istante. Dio lo sta conducendo verso una libertà sempre più grande. Gli vuole dare la somma, la più alta libertà. Lo sta preparando per essere vice re in Egitto. Gli dà il posto del Faraone in ogni cosa.

Giuseppe era stato portato in Egitto, e Potifàr, eunuco del faraone e comandante delle guardie, un Egiziano, lo acquistò da quegli Ismaeliti che l’avevano condotto laggiù. Il Signore fu con Giuseppe: a lui tutto riusciva bene e rimase nella casa dell’Egiziano, suo padrone. Il suo padrone si accorse che il Signore era con lui e che il Signore faceva riuscire per mano sua quanto egli intraprendeva. Così Giuseppe trovò grazia agli occhi di lui e divenne suo servitore personale; anzi, quello lo nominò suo maggiordomo e gli diede in mano tutti i suoi averi. Da quando egli lo aveva fatto suo maggiordomo e incaricato di tutti i suoi averi, il Signore benedisse la casa dell’Egiziano grazie a Giuseppe e la benedizione del Signore fu su quanto aveva, sia in casa sia nella campagna. Così egli lasciò tutti i suoi averi nelle mani di Giuseppe e non si occupava più di nulla, se non del cibo che mangiava. Ora Giuseppe era bello di forma e attraente di aspetto. Dopo questi fatti, la moglie del padrone mise gli occhi su Giuseppe e gli disse: «Còricati con me!». Ma egli rifiutò e disse alla moglie del suo padrone: «Vedi, il mio signore non mi domanda conto di quanto è nella sua casa e mi ha dato in mano tutti i suoi averi. Lui stesso non conta più di me in questa casa; non mi ha proibito nient’altro, se non te, perché sei sua moglie. Come dunque potrei fare questo grande male e peccare contro Dio?». E benché giorno dopo giorno ella parlasse a Giuseppe in tal senso, egli non accettò di coricarsi insieme per unirsi a lei.

Un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro, mentre non c’era alcuno dei domestici. Ella lo afferrò per la veste, dicendo: «Còricati con me!». Ma egli le lasciò tra le mani la veste, fuggì e se ne andò fuori. Allora lei, vedendo che egli le aveva lasciato tra le mani la veste ed era fuggito fuori, chiamò i suoi domestici e disse loro: «Guardate, ci ha condotto in casa un Ebreo per divertirsi con noi! Mi si è accostato per coricarsi con me, ma io ho gridato a gran voce. Egli, appena ha sentito che alzavo la voce e chiamavo, ha lasciato la veste accanto a me, è fuggito e se ne è andato fuori». Ed ella pose accanto a sé la veste di lui finché il padrone venne a casa. Allora gli disse le stesse cose: «Quel servo ebreo, che tu ci hai condotto in casa, mi si è accostato per divertirsi con me. Ma appena io ho gridato e ho chiamato, ha abbandonato la veste presso di me ed è fuggito fuori». Il padrone, all’udire le parole che sua moglie gli ripeteva: «Proprio così mi ha fatto il tuo servo!», si accese d’ira. Il padrone prese Giuseppe e lo mise nella prigione, dove erano detenuti i carcerati del re. Così egli rimase là in prigione. Ma il Signore fu con Giuseppe, gli accordò benevolenza e gli fece trovare grazia agli occhi del comandante della prigione. Così il comandante della prigione affidò a Giuseppe tutti i carcerati che erano nella prigione, e quanto c’era da fare là dentro lo faceva lui. Il comandante della prigione non si prendeva più cura di nulla di quanto era affidato a Giuseppe, perché il Signore era con lui e il Signore dava successo a tutto quanto egli faceva” (Gen 39,1-22).

La nostra più grande libertà è il frutto della benedizione divina ed essa passa sempre per la prova, che è momentanea, non è eterna, non dura all’infinito. Chi rimane nella benedizione, diviene benedizione per l’umanità intera. Giuseppe diviene per la sua fedeltà a Dio benedizione per il suo popolo, per gli altri popoli, per tutti gli Egiziani. Se fosse caduto nel peccato, sarebbe rimasto nella sua schiavitù per sempre. Sarebbe divenuto un uomo di morte per gli altri, mai di vita. È utile al mondo intero chi rimane nella divina volontà e fugge ogni tentazione.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, custoditeci sempre nella divina volontà.

09 Febbraio 2014

Se poi, nella tua fortuna, volessi ricordarti che sono stato con te…

Giuseppe è uomo dalla grande misericordia. Vede due persone turbate e si interessa di esse. Viene a conoscenza del perché del loro inquietudine e dona piena verità all’uno e all’altro. Al primo chiede con delicatezza se poi volesse ricordarsi di lui, che si trova in quel luogo, non per sua colpa. Mai lui ha fatto qualcosa di male. È stato condannato ingiustamente.

Dolcezza, gentilezza, quasi timore di essere di intralcio al più grande bene dei fratelli, devono sempre accompagnare ogni nostra richiesta di misericordia, pietà, compassione. Nessuno è obbligato a farci del bene solo perché noi gli abbiamo fatto del bene. Questa sarebbe regola pagana, non certo cristiana. La misericordia cristiana sempre va fatta senza mai attendersi nulla dall’altro. Mai la misericordia dell’altro dovrà essere vissuta come obbligo, ma solo e sempre come opera di vera misericordia. Il bene va fatto perché l’altro è l’altro, è nel bisogno, versa in necessità. A questa misericordia dobbiamo educarci tutti. Lo richiede il Vangelo.

Dopo questi fatti il coppiere del re d’Egitto e il panettiere offesero il loro padrone, il re d’Egitto. Il faraone si adirò contro i suoi due eunuchi, il capo dei coppieri e il capo dei panettieri, e li fece mettere in custodia nella casa del comandante delle guardie, nella prigione dove Giuseppe era detenuto. Il comandante delle guardie assegnò loro Giuseppe, perché li accudisse. Così essi restarono nel carcere per un certo tempo. Ora, in una medesima notte, il coppiere e il panettiere del re d’Egitto, detenuti nella prigione, ebbero tutti e due un sogno, ciascuno il suo sogno, con un proprio significato. Alla mattina Giuseppe venne da loro e li vide abbattuti. Allora interrogò gli eunuchi del faraone che erano con lui in carcere nella casa del suo padrone, e disse: «Perché oggi avete la faccia così triste?». Gli risposero: «Abbiamo fatto un sogno e non c’è chi lo interpreti». Giuseppe replicò loro: «Non è forse Dio che ha in suo potere le interpretazioni? Raccontatemi dunque».

Allora il capo dei coppieri raccontò il suo sogno a Giuseppe e gli disse: «Nel mio sogno, ecco mi stava davanti una vite, sulla quale vi erano tre tralci; non appena cominciò a germogliare, apparvero i fiori e i suoi grappoli maturarono gli acini. Io tenevo in mano il calice del faraone; presi gli acini, li spremetti nella coppa del faraone, poi diedi la coppa in mano al faraone». Giuseppe gli disse: «Eccone l’interpretazione: i tre tralci rappresentano tre giorni. Fra tre giorni il faraone solleverà la tua testa e ti reintegrerà nella tua carica e tu porgerai il calice al faraone, secondo la consuetudine di prima, quando eri il suo coppiere. Se poi, nella tua fortuna, volessi ricordarti che sono stato con te, trattami, ti prego, con bontà: ricordami al faraone per farmi uscire da questa casa. Perché io sono stato portato via ingiustamente dalla terra degli Ebrei e anche qui non ho fatto nulla perché mi mettessero in questo sotterraneo».

Allora il capo dei panettieri, vedendo che l’interpretazione era favorevole, disse a Giuseppe: «Quanto a me, nel mio sogno tenevo sul capo tre canestri di pane bianco e nel canestro che stava di sopra c’era ogni sorta di cibi per il faraone, quali si preparano dai panettieri. Ma gli uccelli li mangiavano dal canestro che avevo sulla testa». Giuseppe rispose e disse: «Questa è l’interpretazione: i tre canestri rappresentano tre giorni. Fra tre giorni il faraone solleverà la tua testa e ti impiccherà a un palo e gli uccelli ti mangeranno la carne addosso».

Appunto al terzo giorno, che era il giorno natalizio del faraone, questi fece un banchetto per tutti i suoi ministri e allora sollevò la testa del capo dei coppieri e la testa del capo dei panettieri in mezzo ai suoi ministri. Reintegrò il capo dei coppieri nel suo ufficio di coppiere, perché porgesse la coppa al faraone; invece impiccò il capo dei panettieri, secondo l’interpretazione che Giuseppe aveva loro data. Ma il capo dei coppieri non si ricordò di Giuseppe e lo dimenticò (Gen 40,1-23).

Anche nella richiesta di misericordia, sempre dobbiamo consegnarci alla volontà di Dio. Siamo in un luogo anziché in un altro perché il Signore lo ha permesso per il nostro più grande bene. Viviamo una condizione anziché un’altra sempre per il nostro più grane bene. In ogni condizione, situazione, stato, a noi è chiesto di vivere la più grande misericordia. La misericordia verso di noi dovrà essere sempre suscitata dal Signore. È Lui, non noi al governo della nostra vita. È Lui che sa quando il tempo è compiuto per riversare su di noi ogni grazia. È sempre il nostro Dio, il Signore del nostro tempo. Se il coppiere si fosse ricordato subito di Giuseppe, il piano del Signore si sarebbe rivelato fallimentare. Invece il capo dei coppieri non si ricorda di Giuseppe, perché il tempo ancora non era giunto. Questa visione di fede ci manca, e allora che combiniamo guai seri. Anticipiamo ciò che deve essere posticipato. Posticipiamo ciò che deve essere anticipato. Invece lasciando tutto nelle mani di Dio, sempre saremo avvolti dalla sua grande misericordia, dalla sua piena verità, da una eterna e infinita carità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci entrare in questo mistero divino.

16 Febbraio 2014

Perché state a guardarvi l’un l’altro?

Dio è misericordioso, pietoso, ricco di amore e di bontà. È il Padre che ama, che si fa Provvidenza per i suoi figli. La misericordia di Dio ha bisogno però dell’aiuto dell’uomo, del suo lavoro, della sua fatica, del suo impegno. Lui dona i frutti alla terra. L’uomo vi deve mettere le sue braccia, il suo sudore. Lui elargisce sapienza e intelligenza. L’uomo deve aggiungere la sua mente, il suo cuore, il suo impegno. La misericordia è il frutto perfetto dell’opera di Dio e dell’uomo. Mai l’uomo senza il suo Dio. Mai Dio senza l’uomo. Dio e l’uomo devono divenire una sola opera, sia nella misericordia verso lo spirito che in quella verso il corpo.

Questo principio va santamente compreso, rettamene vissuto. Se l’uomo sottrae la sua opera, Dio è in tutto simile ad un agricoltore che si presenta al lavoro senza zappa. È come un falegname senza pialla, un pittore senza pennello, un mugnaio senza farina, un calciatore senza pallone, un macellaio senza mannaia e senza coltelli. L’uomo è strumento perenne nelle mani del suo Signore. Senza l’uomo neanche la redenzione può essere attuata. Chi dona la Parola? Chi elargisce la grazia? Chi perdona i peccati? Chi insegna le cose del cielo? Chi indica la via verso il Paradiso? Chi consacra il corpo e il sangue di Cristo? Senza l’uomo si interrompe il circuito della grazia e della verità e ognuno muore nel suo peccato.

Nella terra di Canaan si sta vivendo un momento di dura carestia. In Egitto però vi è del grano. Perché attendere che cada nuovamente la pioggia? Se non vi è grano in un luogo, vi è in un altro. È giusto allora che l’uomo vi metta la sua parte, il suo impegno, i suoi piedi, la sua buona volontà e per andare a procurarselo. Giacobbe è uomo saggio. Sa che il Signore chiede all’uomo la sua collaborazione ed esorta i suoi figli a non stare a guardarsi l’un l’altro. Li invia in Egitto perché facciamo delle buone provviste. Dove manca la saggezza, dove si è privi di vera intelligenza, dove è carente la santa accortezza, è giusto che vi sia chi elargisca questi doni divini. Saggezza, intelligenza, accortezza, lungimiranza sono necessarie alla misericordia del Signore. A volte basta un semplice consiglio perché si esca da situazioni reputate senza alcuna misericordia. Si fa un po’ di luce e la grazia di Dio si vede in tutto il suo splendore.

Giacobbe venne a sapere che in Egitto c’era grano; perciò disse ai figli: «Perché state a guardarvi l’un l’altro?». E continuò: «Ecco, ho sentito dire che vi è grano in Egitto. Andate laggiù a comprarne per noi, perché viviamo e non moriamo». Allora i dieci fratelli di Giuseppe scesero per acquistare il frumento dall’Egitto. Quanto a Beniamino, fratello di Giuseppe, Giacobbe non lo lasciò partire con i fratelli, perché diceva: «Che non gli debba succedere qualche disgrazia!». Arrivarono dunque i figli d’Israele per acquistare il grano, in mezzo ad altri che pure erano venuti, perché nella terra di Canaan c’era la carestia.

Il terzo giorno Giuseppe disse loro: «Fate questo e avrete salva la vita; io temo Dio! Se voi siete sinceri, uno di voi fratelli resti prigioniero nel vostro carcere e voi andate a portare il grano per la fame delle vostre case. Poi mi condurrete qui il vostro fratello più giovane. Così le vostre parole si dimostreranno vere e non morirete». Allora egli andò in disparte e pianse. Poi tornò e parlò con loro. Scelse tra loro Simeone e lo fece incatenare sotto i loro occhi. Quindi Giuseppe diede ordine di riempire di frumento i loro sacchi e di rimettere il denaro di ciascuno nel suo sacco e di dare loro provviste per il viaggio. E così venne loro fatto. Essi caricarono il grano sugli asini e partirono di là. Ora, in un luogo dove passavano la notte, uno di loro aprì il sacco per dare il foraggio all’asino e vide il proprio denaro alla bocca del sacco. Disse ai fratelli: «Mi è stato restituito il denaro: eccolo qui nel mio sacco!». Allora si sentirono mancare il cuore e, tremanti, si dissero l’un l’altro: «Che è mai questo che Dio ci ha fatto?». Arrivati da Giacobbe loro padre, nella terra di Canaan, gli riferirono tutte le cose che erano loro capitate. Mentre svuotavano i sacchi, ciascuno si accorse di avere la sua borsa di denaro nel proprio sacco. Quando essi e il loro padre videro le borse di denaro, furono presi da timore. E il loro padre Giacobbe disse: «Voi mi avete privato dei figli! Giuseppe non c’è più, Simeone non c’è più e Beniamino me lo volete prendere. Tutto ricade su di me!». Allora Ruben disse al padre: «Farai morire i miei due figli, se non te lo ricondurrò. Affidalo alle mie mani e io te lo restituirò». Ma egli rispose: «Il mio figlio non andrà laggiù con voi, perché suo fratello è morto ed egli è rimasto solo. Se gli capitasse una disgrazia durante il viaggio che voi volete fare, fareste scendere con dolore la mia canizie negli inferi» (Cfr. Gen 42,1-38).

La misericordia del Signore aveva già prevenuto per i figli di Israele. Dio aveva mandato avanti a loro Giuseppe, perché nulla mancasse loro e per preparare la sua famiglia un futuro ricco di benedizione e di grandi speranze. Quando vi è questa stupenda collaborazione tra Dio e l’uomo, sempre la sua misericordia risplende in tutta la sua magnificenza.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri collaboratori del nostro Dio.

23 Febbraio 2014

Dio l’Onnipotente vi faccia trovare misericordia presso quell’uomo

Perché il Signore eserciti e riveli su di noi tutta la grandezza della sua eterna e divina misericordia, quasi sempre ci è chiesta una potente rinunzia. Dobbiamo svuotare il nostro cuore da ogni affetto, ogni desiderio, ogni legame sia spirituale che fisico. Ad Abramo il Signore chiede il sacrificio del suo unico figlio. Anche a Giacobbe chiede il sacrificio del figlio da lui amato più degli altri. Questa verità ci deve insegnare che misericordia divina e sacrificio dell’uomo sono inseparabili, inscindibili. Tutta la nostra redenzione, il frutto più alto della misericordia del Padre, non è forse il frutto del più alto sacrificio mai offerto al Signore? Dio stesso nella sua carne non si offre al Padre per avere noi la riconciliazione e il perdono?

Credere in una misericordia sia divina che umana senza alcun sacrificio è pura stoltezza, pensiero vano, anzi mentalità peccaminosa. Oggi, anche nella giustizia sociale, da tutti si pretende, si invoca la misericordia, l’aiuto, l’assistenza, senza però nessuna cooperazione da parte di chi deve ricevere sostegno e conforto. La componente “sacrificale” della misericordia è parte essenziale. Anche nella richiesta di una piccola elemosina, deve esserci questa cooperazione attraverso l’offerta di un nostro sacrificio a Dio. Se non si può fare un sacrificio materiale, necessariamente se ne deve presentare uno spirituale. La reciprocità è a fondamento della misericordia di Dio, deve essere a fondamento della solidarietà umana.

La carestia continuava a gravare sulla terra. Quand’ebbero finito di consumare il grano che avevano portato dall’Egitto, il padre disse loro: «Tornate là e acquistate per noi un po’ di viveri». Ma Giuda gli disse: «Quell’uomo ci ha avvertito severamente: “Non verrete alla mia presenza, se non avrete con voi il vostro fratello!”. Se tu sei disposto a lasciar partire con noi nostro fratello, andremo laggiù e ti compreremo dei viveri. Ma se tu non lo lasci partire, non ci andremo, perché quell’uomo ci ha detto: “Non verrete alla mia presenza, se non avrete con voi il vostro fratello!”». Israele disse: «Perché mi avete fatto questo male: far sapere a quell’uomo che avevate ancora un fratello?». Risposero: «Quell’uomo ci ha interrogati con insistenza intorno a noi e alla nostra parentela: “È ancora vivo vostro padre? Avete qualche altro fratello?”. E noi abbiamo risposto secondo queste domande. Come avremmo potuto sapere che egli avrebbe detto: “Conducete qui vostro fratello”?». Giuda disse a Israele suo padre: «Lascia venire il giovane con me; prepariamoci a partire per sopravvivere e non morire, noi, tu e i nostri bambini. Io mi rendo garante di lui: dalle mie mani lo reclamerai. Se non te lo ricondurrò, se non te lo riporterò, io sarò colpevole contro di te per tutta la vita. Se non avessimo indugiato, ora saremmo già di ritorno per la seconda volta». Israele, loro padre, rispose: «Se è così, fate pure: mettete nei vostri bagagli i prodotti più scelti della terra e portateli in dono a quell’uomo: un po’ di balsamo, un po’ di miele, resina e làudano, pistacchi e mandorle. Prendete con voi il doppio del denaro, così porterete indietro il denaro che è stato rimesso nella bocca dei vostri sacchi: forse si tratta di un errore. Prendete anche vostro fratello, partite e tornate da quell’uomo. Dio l’Onnipotente vi faccia trovare misericordia presso quell’uomo, così che vi rilasci sia l’altro fratello sia Beniamino. Quanto a me, una volta che non avrò più i miei figli, non li avrò più!» (Gen 43,1-14).

La giustizia sociale non è puro assistenzialismo. Essa è invece santa reciprocità. Essa è un dono per un dono. Ma anche la giustizia spirituale, la divina carità è un dono per un dono. Cristo Signore dona al Padre il sacrificio del suo corpo sulla croce, il Padre riversa sull’umanità tutta la potenza della sua grazia e del suo Santo Spirito. L’uomo dona a Dio la sua obbedienza, il sacrificio della propria volontà e Dio dona all’uomo la sua nuova vita. Più l’uomo dona a Dio e più Dio dona all’uomo. Più volontà viene consegnata al Signore e più il Signore consegna se stesso all’uomo, con tutta la sua onnipotenza creatrice, redentrice, salvatrice.

Nessuno si illuda. Noi stiamo edificando una socialità gravemente ammalata. È una socialità scardinata dal principio della sua verità. Anche la nostra giustizia sociale è gravemente ammalata. Essa spesso sembra una folta giungla dove vi sono solo pretese, solo diritti, solo richieste. Essa è una foresta incolta dove vi sono solo foglie morte e nessun albero vivente. O entriamo nella legge divina della reciprocità e della necessaria cooperazione, oppure a breve tempo saremo senza alcuna giustizia e alcuna socialità. La pigrizia fisica e spirituale è nemica della vera socialità e della più autentica giustizia sociale. Ogni grazia ricevuta deve essere una grazia donata. Se tu ricevi una giornata del mio lavoro, mi devi dare una giornata della tua vita. Come? Anche attraverso la tua ininterrotta preghiera, la partecipazione ad una Santa Messa, la recita di un Santo Rosario, la visita ad un ammalato, mille altre forme di dono. Ma il dono ricevuto diviene giustizia sociale nel dono offerto. Altrimenti è somma ingiustizia.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera giustizia sociale.

02 Marzo 2014

Tengo io forse il posto di Dio?

Vedere la propria storia di ingiusta sofferenza, dolore, schiavitù fisica, carcere, come via scelta da Dio per operare il più grande bene proprio a coloro che sono stati la causa del nostro grande male, necessita una grande fede e una immensa carità. Penarsi sempre in Dio, dalla sua volontà, in momenti terribili di croce e di morte anche fisica, di perdita della propri libertà, di oscuramento della propria dignità, è quanto viene chiesto ad ogni strumento scelto da Dio per creare vita vera sulla nostra terra. Molti però si fermano alla storia, al male, alla sofferenza, al dolore, a ciò che accade. Sono incapaci di alzare gli occhi al Cielo e contemplare il Signore che sta costruendo una nuova vita proprio per mezzo della loro sofferenza e del loro dolore.

Giuseppe dai fratelli stava per essere ucciso. Per l’intervento di Ruben venne calato in una cisterna vuota. Lui però coltivava un pensiero segreto. Aveva in mente di liberarlo. Poi per intervento di Giuda, che non conosceva il piano segreto di Ruben, venne il consiglio che fosse venduto a dei carovanieri. Questa storia pesa sulla coscienza dei suoi fratelli. Vi è in loro un tarlo, un rimorso che non muore. Pensano che il fratello si possa vendicare e gli chiedono perdono servendosi del nome del Padre. Il male è sempre un macigno che si fissa nella coscienza e vi rimane stabile finché non sia stato espiato. Il male mai va fatto. Le sue conseguenze storiche rimangono in eterno. Mai vengono cancellate.

È in questo frangente che Giuseppe rivela tutta la sua fede, la sua carità, il suo amore. Lui non si vede nei fratelli, nella loro invidia, nel loro odio. Si vede strumento nelle mani del suo Dio e Signore. Si vede “sacramento”, “segno”, “via” per fare del bene, un grande bene al suo popolo. Lui non vede il peccato dei fratelli. Vede il grande disegno di Dio che sempre si attua per vie misteriose, arcane, di grande sofferenza. È come se il più grande bene fosse prodotto dal più grande dolore. È come se la somma benevolenza fosse il frutto della più alta e indicibile sofferenza. Più grande è la sofferenza e più alto è il bene e più universale. Questa è la fede di Giuseppe. Secondo questa fede è come se venisse annullato il peccato dei suoi fratelli.

Ma i fratelli di Giuseppe cominciarono ad aver paura, dato che il loro padre era morto, e dissero: «Chissà se Giuseppe non ci tratterà da nemici e non ci renderà tutto il male che noi gli abbiamo fatto?». Allora mandarono a dire a Giuseppe: «Tuo padre prima di morire ha dato quest’ordine: “Direte a Giuseppe: Perdona il delitto dei tuoi fratelli e il loro peccato, perché ti hanno fatto del male!”. Perdona dunque il delitto dei servi del Dio di tuo padre!». Giuseppe pianse quando gli si parlò così. E i suoi fratelli andarono e si gettarono a terra davanti a lui e dissero: «Eccoci tuoi schiavi!». Ma Giuseppe disse loro: «Non temete. Tengo io forse il posto di Dio? Se voi avevate tramato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso. Dunque non temete, io provvederò al sostentamento per voi e per i vostri bambini». Così li consolò parlando al loro cuore. Giuseppe con la famiglia di suo padre abitò in Egitto; egli visse centodieci anni. Così Giuseppe vide i figli di Èfraim fino alla terza generazione e anche i figli di Machir, figlio di Manasse, nacquero sulle ginocchia di Giuseppe. Poi Giuseppe disse ai fratelli: «Io sto per morire, ma Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questa terra, verso la terra che egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe». Giuseppe fece giurare ai figli d’Israele così: «Dio verrà certo a visitarvi e allora voi porterete via di qui le mie ossa». Giuseppe morì all’età di centodieci anni; lo imbalsamarono e fu posto in un sarcofago in Egitto (Gen 50,15-26).

Ogni uomo è chiamato ad essere strumento della più grande misericordia di Dio. Ogni uomo è via della salvezza di Dio, della sua benedizione, del suo amore, della sua carità. Questa via necessariamente passa per l’annientamento di se stessi, che non viene operato direttamente da Dio, ma dall’uomo verso cui il Signore vuole attestare, manifestare, rivelare, concedere tutta la sua divina, onnipotente, salvatrice e redentrice misericordia. Se l’uomo non ha una grande fede di vedersi in Dio, se manca di una alta carità, da dimenticare le offese ricevute, mai lui potrà essere via, sacramento, segno, mezzo attraverso il quale il Signore salva e redime, giustifica e libera, nutre e fa crescere i suoi fedeli. Ad ogni uomo occorre una grande visione di purissima fede, serve una viva e possente carità nel cuore. Chi non si vede in Dio viene conquistato dalla spirale della storia e vanifica ogni volontà divina di misericordia e di pietà. Questa visione di fede e questo possesso di una indicibile carità si manifesta con potenza sulla croce. Gesù vede se stesso strumento di salvezza universale. Non guarda la storia. Vede il Padre suo. Chiede perdono per i suoi uccisori. La storia non lo soffoca. Il male non lo vince. La cattiveria non lo abbatte. È Lui invece il vittorioso e il trionfatore. Per Lui la salvezza è data.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci occhi di purissima fede.

09 Marzo 2014

Ma le levatrici temettero Dio

La misericordia è l’anima e lo spirito di ogni vita. Il misericordioso sceglie sempre la vita, anche nei momenti tormentati della storia. Quando la morte è posta nelle sue mani, lui se ne libera e sceglie la vita. Questa regola vale per ogni uomo, anche per quanti vivono in regimi totalitari che fanno della morte lo strumento della vita. A nessuno è consentito farsi strumento di morte. Ognuno è obbligato in coscienza, anche a costo della propria vita, farsi sempre strumento, via, casa della vita. La forza del male è sempre nella nostra rinuncia ad essere perfetta misericordia di Dio verso ogni uomo. Sarebbe sufficiente che una sola persona interrompesse, spezzasse il circuito di morte, per illuminare il mondo di vera vita. Non vi sono ordini che possano alienarci, dispensarci, liberarci, esonerarci, distaccarci, privarci dalla nostra responsabilità personale.

In Egitto regna un perverso regime totalitario, fondato sulla divinità del faraone. Ogni suo comando è un ordine divino, celeste. Ogni sua volontà è legge inviolabile. Lui stabilisce che ogni bambino maschio partorito dalle donne Ebree venga ucciso al momento stesso della nascita. Le levatrici sono preposte a questo odioso servizio di uccisione e di strage. Esse però non obbediscono. Temono il Signore. Lasciano vivere tutti i figli maschi degli Ebrei. Quest’ordine è contro la vita e va disatteso. Se ogni uomo avesse questo timore di Dio, vivesse con coscienza pura dinanzi alla legge della vita, mai vi sarebbero sulla terra stragi e olocausti, genocidi, infanticidi, distruzione di massa, annientamento di popoli e nazioni.

Questi sono i nomi dei figli d’Israele entrati in Egitto; essi vi giunsero insieme a Giacobbe, ognuno con la sua famiglia: Ruben, Simeone, Levi e Giuda, Ìssacar, Zàbulon e Beniamino, Dan e Nèftali, Gad e Aser. Tutte le persone discendenti da Giacobbe erano settanta. Giuseppe si trovava già in Egitto. Giuseppe poi morì e così tutti i suoi fratelli e tutta quella generazione. I figli d’Israele prolificarono e crebbero, divennero numerosi e molto forti, e il paese ne fu pieno. Allora sorse sull’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. Egli disse al suo popolo: «Ecco che il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più forte di noi. Cerchiamo di essere avveduti nei suoi riguardi per impedire che cresca, altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese». Perciò vennero imposti loro dei sovrintendenti ai lavori forzati, per opprimerli con le loro angherie, e così costruirono per il faraone le città‑deposito, cioè Pitom e Ramses. Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva, ed essi furono presi da spavento di fronte agli Israeliti. Per questo gli Egiziani fecero lavorare i figli d’Israele trattandoli con durezza. Resero loro amara la vita mediante una dura schiavitù, costringendoli a preparare l’argilla e a fabbricare mattoni, e ad ogni sorta di lavoro nei campi; a tutti questi lavori li obbligarono con durezza.

Il re d’Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua: «Quando assistete le donne ebree durante il parto, osservate bene tra le due pietre: se è un maschio, fatelo morire; se è una femmina, potrà vivere». Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d’Egitto e lasciarono vivere i bambini. Il re d’Egitto chiamò le levatrici e disse loro: «Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i bambini?». Le levatrici risposero al faraone: «Le donne ebree non sono come le egiziane: sono piene di vitalità. Prima che giunga da loro la levatrice, hanno già partorito!». Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una discendenza. Allora il faraone diede quest’ordine a tutto il suo popolo: «Gettate nel Nilo ogni figlio maschio che nascerà, ma lasciate vivere ogni femmina» (Es 1,1-22).

Non è chi comanda il responsabile di tutti i disordini morali, sociali, spirituali, politici, economici o di ogni altra natura che sconvolgono il mondo. Responsabile è chi obbedisce, chi esegue, chi si trasforma in strumento di morte. Nessuno può dire: “Ho obbedito ad un ordine”. Non c’è obbedienza contro la vita, la verità, la giustizia, l’amore, la misericordia, la pace. Non c’è obbedienza contro il Comandamento del Signore. Non c’è obbedienza contro l’uomo. L’obbedienza è sempre per la vita, mai per la morte. Questa verità umana va affermata, difesa, predicata, insegnata. Dinanzi agli uomini possiamo anche scusarci, possiamo anche dire: “Io ho semplicemente obbedito. Ho eseguito un ordine”. Dinanzi a Dio questa scusa non vale. Il suo comandamento obbliga sempre per sempre e nessuno lo può disattendere in nome di un ordine umano, fatto da persone che odiano la vita e lottano per spargere solo morte intorno a sé. Ogni uomo è solo strumento della misericordia di Dio. Ora la misericordia sceglie sempre la vita, mai la morte. Chi sceglie la morte è persona senza cuore, senza anima, senza spirito, senza alcun sentimento. È una pura macchina di odio e di distruzione dei suoi fratelli.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci persone di purissima misericordia.

16 Marzo 2014

Vi adagiò il bambino e lo depose fra i giunchi sulla riva del Nilo

Tra la morte e la vita sempre si deve scegliere la vita. Sovente vi è un prezzo altissimo da pagare. La vita però va scelta sempre, anche se vengono richieste rinunzie e abnegazioni grandi. Il diritto naturale dell’altro alla vita esige anche il nostro rinnegamento, l’annullamento della nostra personalità, di ogni nostro sentimento anche legittimo, naturale, materno o paterno. A tutto si deve rinunciare perché l’altro si conservi in vita. Anche la vita piena di infinite difficoltà è sempre da scegliere dinanzi alla non vita. Questa regola obbliga sempre. Per la vita del figlio si deve rinunciare all’aborto. Per la vita dei figli si deve evitare ogni divorzio. La vita merita la nostra stessa morte. Ancora noi però non siamo entrati in questa dimensione di verità piena.

Un uomo della famiglia di Levi andò a prendere in moglie una discendente di Levi. La donna concepì e partorì un figlio; vide che era bello e lo tenne nascosto per tre mesi. Ma non potendo tenerlo nascosto più oltre, prese per lui un cestello di papiro, lo spalmò di bitume e di pece, vi adagiò il bambino e lo depose fra i giunchi sulla riva del Nilo. La sorella del bambino si pose a osservare da lontano che cosa gli sarebbe accaduto. Ora la figlia del faraone scese al Nilo per fare il bagno, mentre le sue ancelle passeggiavano lungo la sponda del Nilo. Ella vide il cestello fra i giunchi e mandò la sua schiava a prenderlo. L’aprì e vide il bambino: ecco, il piccolo piangeva. Ne ebbe compassione e disse: «È un bambino degli Ebrei». La sorella del bambino disse allora alla figlia del faraone: «Devo andare a chiamarti una nutrice tra le donne ebree, perché allatti per te il bambino?». «Va’», rispose la figlia del faraone. La fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. La figlia del faraone le disse: «Porta con te questo bambino e allattalo per me; io ti darò un salario». La donna prese il bambino e lo allattò. Quando il bambino fu cresciuto, lo condusse alla figlia del faraone. Egli fu per lei come un figlio e lo chiamò Mosè, dicendo: «Io l’ho tratto dalle acque!».

Un giorno Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i loro lavori forzati. Vide un Egiziano che colpiva un Ebreo, uno dei suoi fratelli. Voltatosi attorno e visto che non c’era nessuno, colpì a morte l’Egiziano e lo sotterrò nella sabbia. Il giorno dopo uscì di nuovo e vide due Ebrei che litigavano; disse a quello che aveva torto: «Perché percuoti il tuo fratello?». Quegli rispose: «Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi? Pensi forse di potermi uccidere, come hai ucciso l’Egiziano?». Allora Mosè ebbe paura e pensò: «Certamente la cosa si è risaputa». Il faraone sentì parlare di questo fatto e fece cercare Mosè per metterlo a morte. Allora Mosè fuggì lontano dal faraone e si fermò nel territorio di Madian e sedette presso un pozzo. Il sacerdote di Madian aveva sette figlie. Esse vennero ad attingere acqua e riempirono gli abbeveratoi per far bere il gregge del padre. Ma arrivarono alcuni pastori e le scacciarono. Allora Mosè si levò a difendere le ragazze e fece bere il loro bestiame. Tornarono dal loro padre Reuèl e questi disse loro: «Come mai oggi avete fatto ritorno così in fretta?». Risposero: «Un uomo, un Egiziano, ci ha liberato dalle mani dei pastori; lui stesso ha attinto per noi e ha fatto bere il gregge». Quegli disse alle figlie: «Dov’è? Perché avete lasciato là quell’uomo? Chiamatelo a mangiare il nostro cibo!». Così Mosè accettò di abitare con quell’uomo, che gli diede in moglie la propria figlia Sipporà. Ella gli partorì un figlio ed egli lo chiamò Ghersom, perché diceva: «Vivo come forestiero in terra straniera!». Dopo molto tempo il re d’Egitto morì. Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero (Es 2,1-25).

Per salvare la propria vita Mosè fugge. Nella terra in cui aveva trovato la vita ora per lui vi è odore di morte. Si ritira nel territorio di Madian. Compie un’opera buona. Protegge le figlie di Ietro dalla prepotenza di alcuni pastori. Per questo atto di misericordia viene accolto in casa e si trasforma in un pastore di gregge. Si sposa e si dimentica dell’Egitto, della schiavitù della sua gente e di ogni altra sofferenza. Un bene fatto non sempre viene recepito dal cuore. Quando questo accade nasce la croce. Mosè visse ben quaranta lunghi anni come forestiero, straniero in terra di Madian per un bene da lui fatto. La misericordia spesso genera grande sofferenza. Sapendo questo, nessuno si deve tirare indietro. L’opera va sempre fatta. Gesù per il dono della verità del Padre all’uomo, dall’uomo non fu messo in croce? Il bene genera dolore. Il dolore generato vissuto con grande amore verrà sempre benedetto da Dio e trasformato in salvezza per il mondo intero. Questa visione di fede sempre ci deve accompagnare. Chi è privo della vera fede si smarrisce, si perde, si annega nella sua sofferenza, è incapace di viverla nella giustizia, nella santità, nella grande carità verso se stesso e gli altri.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci occhi di fede per ogni sofferenza.

23 Marzo 2014

Ho osservato la miseria del mio popolo

Oggi il Signore ci insegna una via altamente santa perché noi possiamo vivere la misericordia sul suo modello e sul suo esempio. Il Signore vede, guarda, osserva. i suoi occhi si posano sulla miseria del suo popolo e decide di intervenire per manifestargli tutta la sua misericordia. La sua è sempre una misericordia efficace perché è liberazione dalla condizione di miseria e di schiavitù nella quale versa il suo popolo. Il nostro Dio possiede occhi purissimi. Con essi scruta anche le profondità del nostro cuore. Vede ciò che toglie la pace e interviene a sua tempo, seguendo le regole della sua sapienza divina. La pace va ristabilita nei cuori.

Ad ogni uomo Dio chiede che lo imiti nel suo amore, nella sua misericordia, nella sua grande pietà. Vi è però una grande differenza tra noi e il nostro Dio. Lui è il Vedente. I suoi occhi sono sempre aperti. Non si chiudono né di notte e né di giorno. Lui scruta, osserva, contempla ogni cosa, decide di intervenire efficacemente. Noi invece siamo ciechi e per di più anche sordi. Non solo non vediamo la miseria dei fratelli, se qualcuno viene a noi per implorare un qualche aiuto, siamo anche sordi. Non vediamo. Non ascoltiamo. Non interveniamo. Siamo chiusi nel nostro piccolo mondo di egoismo, cecità, falsità, sordità spirituale.

Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.

Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte».

Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione. Io so che il re d’Egitto non vi permetterà di partire, se non con l’intervento di una mano forte. Stenderò dunque la mano e colpirò l’Egitto con tutti i prodigi che opererò in mezzo ad esso, dopo di che egli vi lascerà andare. Farò sì che questo popolo trovi grazia agli occhi degli Egiziani: quando partirete, non ve ne andrete a mani vuote. Ogni donna domanderà alla sua vicina e all’inquilina della sua casa oggetti d’argento e oggetti d’oro e vesti; li farete portare ai vostri figli e alle vostre figlie e spoglierete l’Egitto» (Cfr. Es 3,1-22).

Non solo Dio vede la nostra miseria, chiama anche ed invia persone che in suo nome, con la sua autorità, rivestiti di potenza dei suoi doni divini, intervengano nella storia per dare efficacia concreta alla sua volontà di usare misericordia verso le sue creature. L’uomo, anche se vede, non è capace di alcuna misericordia efficace. Può dare qualcosa. Ma non può liberare dalla schiavitù spirituale, dalla prigionia del peccato, del male, che sono la causa di ogni miseria esistente sula nostra terra. Per questo occorrono persone dotate di doni celesti, di forte fede, grande carità, invincibile speranza, prontezza di obbedienza, che sappiano mettersi a servizio di Dio per compiere la sua opera, quella che Lui ha deciso di fare in favore del più grande bene dei suoi figli. Dio può essere per l’uomo, se un uomo accoglie di essere con Dio. Quando un uomo è con Dio, è da Lui, sempre Dio potrà essere per l’uomo. Sempre potrà amare l’uomo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci essere sempre con il nostro Dio.

30 Marzo 2014

Egli sarà la tua bocca e tu farai per lui le veci di Dio

Dio è eterna, infinita, divina, soprannaturale misericordia. Perché diventi e si faccia misericordia storica, di vera salvezza, redenzione, giustificazione, elevazione, santificazione di ogni cuore, è necessario che vi sia lo strumento umano che si consegni tutto a Lui, nella volontà, nel cuore, nel corpo, nello spirito. È in questa consegna che la misericordia divina, celeste, diviene misericordia sulla nostra terra che libera e redime gli uomini da ogni loro schiavitù. Ma anche lo strumento umano da solo può fare ben poco. Egli ha sempre bisogno che altre persone lavorino insieme con Lui perché la misericordia di Dio produca veri frutti nella storia.

La misericordia storica è opera perenne, mai finisce, essa è sempre all’inizio, inizia sempre oggi e sempre oggi Dio ha bisogno di questi strumenti umani, altrimenti la sua misericordia rimane nel Cielo, mai potrà discendere sulla nostra terra. Lo strumento umano è chiamato a vivere di purissima comunione con il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo e di purissima comunione con ogni altro strumento umano, scelto da Dio per poter riversare sulla terra la sua divina ed eterna misericordia. Dove un solo anello della comunione viene interrotto, l’opera della misericordia non si compie più in pienezza di verità. Altro principio da tenere ben presente nella nostra mente e nel nostro spirito vuole che lo strumento umano sia ricolmato di poteri divini, sia cioè reso abile a compiere gesti, segni, miracoli, prodigi, che superino la potenza di morte del mondo. Senza questo potente accreditamento da parte del Signore, l’opera sarà senza alcun vero frutto. Sarà un’opera vana, sterile. Si inseguirà il vento. La potenza del mondo va vinta con la potenza più grande, divina, che opera nello strumento scelto da Dio per la sua opera.

Mosè replicò dicendo: «Ecco, non mi crederanno, non daranno ascolto alla mia voce, ma diranno: “Non ti è apparso il Signore!”». Il Signore gli disse: «Che cosa hai in mano?». Rispose: «Un bastone». Riprese: «Gettalo a terra!». Lo gettò a terra e il bastone diventò un serpente, davanti al quale Mosè si mise a fuggire. Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano e prendilo per la coda!». Stese la mano, lo prese e diventò di nuovo un bastone nella sua mano. «Questo perché credano che ti è apparso il Signore, Dio dei loro padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe». Il Signore gli disse ancora: «Introduci la mano nel seno!». Egli si mise in seno la mano e poi la ritirò: ecco, la sua mano era diventata lebbrosa, bianca come la neve. Egli disse: «Rimetti la mano nel seno!». Rimise in seno la mano e la tirò fuori: ecco, era tornata come il resto della sua carne. «Dunque se non ti credono e non danno retta alla voce del primo segno, crederanno alla voce del secondo! Se non crederanno neppure a questi due segni e non daranno ascolto alla tua voce, prenderai acqua del Nilo e la verserai sulla terra asciutta: l’acqua che avrai preso dal Nilo diventerà sangue sulla terra asciutta».

Mosè disse al Signore: «Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua». Il Signore replicò: «Chi ha dato una bocca all’uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? Ora va’! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire». Mosè disse: «Perdona, Signore, manda chi vuoi mandare!». Allora la collera del Signore si accese contro Mosè e gli disse: «Non vi è forse tuo fratello Aronne, il levita? Io so che lui sa parlare bene. Anzi, sta venendoti incontro. Ti vedrà e gioirà in cuor suo. Tu gli parlerai e porrai le parole sulla sua bocca e io sarò con la tua e la sua bocca e vi insegnerò quello che dovrete fare. Parlerà lui al popolo per te: egli sarà la tua bocca e tu farai per lui le veci di Dio. Terrai in mano questo bastone: con esso tu compirai i segni».

Mosè partì, tornò da Ietro suo suocero e gli disse: «Lasciami andare, ti prego: voglio tornare dai miei fratelli che sono in Egitto, per vedere se sono ancora vivi!». Ietro rispose a Mosè: «Va’ in pace!». Il Signore disse a Mosè in Madian: «Va’, torna in Egitto, perché sono morti quanti insidiavano la tua vita!». Mosè prese la moglie e i figli, li fece salire sull’asino e tornò nella terra d’Egitto. E Mosè prese in mano il bastone di Dio (Es 4,1-20).

La comunione con Dio e con i fratelli è la sola via perché l’opera della nostra misericordia possa produrre veri frutti di salvezza e di redenzione. Se è vera la comunione con Dio sarà vera anche la comunione con i fratelli. La vera comunione con i fratelli è segno che siamo nella vera comunione con Dio. Una sola persona che viene posta fuori della comunione rende la nostra opera meno efficace. Senza comunione non vi può essere opera di Dio. Dio, l’uomo, gli uomini devono formare una sola opera, una sola redenzione, una sola salvezza. Ognuno però deve sempre stabilire, fondare la sua comunione con i fratelli nella verità della comunione con Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera comunione.

06 Aprile 2014

Non conosco il Signore e non lascerò certo partire Israele!

La misericordia del Signore sempre si scontra con il peccato dell’uomo, il vero ostacolo perché la luce della verità e della carità divina si diffonda sulla nostra terra. È questa la superbia dell’uomo: rendere non credibile, non degno di fede il Dio della misericordia e dell’amore, il Dio della vera libertà e della pace, il Dio che viene per ridare ad ogni uomo la sua originaria verità.

La forza del peccato vuole annientare la forza della luce, sfidandola, contraddicendola, rendendola odiosa, creando nei cuori mille difficoltà. Il peccato impone la sua potenza. Dio è chiamato ad imporre la sua onnipotenza. Prima viene la potenza del peccato. L’onnipotenza divina è data come risposta. In questo lasso di tempo vi lo spazio per la fede. È in questo spazio che la fede si perde, si smarrisce. L’uomo precipita nella non fede, nel lamento, nella mormorazione, nel rinnegamento della stessa volontà salvifica del Signore. È sufficiente che la potenza del peccato sfoderi le sue armi perché l’uomo perda la sua fede nel Dio Onnipotente.

In seguito, Mosè e Aronne vennero dal faraone e gli annunciarono: «Così dice il Signore, il Dio d’Israele: “Lascia partire il mio popolo, perché mi celebri una festa nel deserto!”». Il faraone rispose: «Chi è il Signore, perché io debba ascoltare la sua voce e lasciare partire Israele? Non conosco il Signore e non lascerò certo partire Israele!». Ripresero: «Il Dio degli Ebrei ci è venuto incontro. Ci sia dunque concesso di partire per un cammino di tre giorni nel deserto e offrire un sacrificio al Signore, nostro Dio, perché non ci colpisca di peste o di spada!». Il re d’Egitto disse loro: «Mosè e Aronne, perché distogliete il popolo dai suoi lavori? Tornate ai vostri lavori forzati!». Il faraone disse: «Ecco, ora che il popolo è numeroso nel paese, voi vorreste far loro interrompere i lavori forzati?».

In quel giorno il faraone diede questi ordini ai sovrintendenti del popolo e agli scribi: «Non darete più la paglia al popolo per fabbricare i mattoni, come facevate prima. Andranno a cercarsi da sé la paglia. Però voi dovete esigere il numero di mattoni che facevano finora, senza ridurlo. Sono fannulloni; per questo protestano: “Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al nostro Dio!”. Pesi dunque la schiavitù su questi uomini e lavorino; non diano retta a parole false!». I sovrintendenti del popolo e gli scribi uscirono e riferirono al popolo: «Così dice il faraone: “Io non vi fornisco più paglia. Andate voi stessi a procurarvela dove ne troverete, ma non diminuisca la vostra produzione”». Il popolo si sparse in tutto il territorio d’Egitto a raccogliere stoppie da usare come paglia. Ma i sovrintendenti li sollecitavano dicendo: «Portate a termine il vostro lavoro: ogni giorno lo stesso quantitativo come quando avevate la paglia». Bastonarono gli scribi degli Israeliti, quelli che i sovrintendenti del faraone avevano costituito loro capi, dicendo: «Perché non avete portato a termine né ieri né oggi il vostro numero di mattoni come prima?».

Allora gli scribi degli Israeliti vennero dal faraone a reclamare, dicendo: «Perché tratti così noi tuoi servi? Non viene data paglia ai tuoi servi, ma ci viene detto: “Fate i mattoni!”. E ora i tuoi servi sono bastonati e la colpa è del tuo popolo!». Rispose: «Fannulloni siete, fannulloni! Per questo dite: “Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al Signore”. Ora andate, lavorate! Non vi sarà data paglia, ma dovrete consegnare lo stesso numero di mattoni». Gli scribi degli Israeliti si videro in difficoltà, sentendosi dire: «Non diminuirete affatto il numero giornaliero dei mattoni». Usciti dalla presenza del faraone, quando incontrarono Mosè e Aronne che stavano ad aspettarli, dissero loro: «Il Signore guardi a voi e giudichi, perché ci avete resi odiosi agli occhi del faraone e agli occhi dei suoi ministri, mettendo loro in mano la spada per ucciderci!». Allora Mosè si rivolse al Signore e disse: «Signore, perché hai maltrattato questo popolo? Perché dunque mi hai inviato? Da quando sono venuto dal faraone per parlargli in tuo nome, egli ha fatto del male a questo popolo, e tu non hai affatto liberato il tuo popolo!» (Cfr. Es 5,1-23).

In questo frangente necessario a Dio per manifestare la sua onnipotenza, capace di abbattere ogni potenza di peccato, anche coloro che sono gli strumenti della verità del loro Dio, corrono gravi pericoli di smarrirsi anch’essi nella fede. Se questo accade, è assai deleterio. Per questo il Signore deve svolgere un duplice lavoro: rassicurare i suoi strumenti del suo intervento risolutore, iniziare fin da subito a manifestare quando grande è la sua onnipotenza, capace di sconfiggere ogni potenza di peccato che con vana superbia cerca di opporsi alla sua divina volontà. Queste due azioni del Signore sono l’una e l’altra necessarie. L’una non potrà esistere senza l’altra perché sono i suoi mediatori gli strumenti che devono manifestare la sua onnipotenza. Gli strumenti umani vanno sempre confermati nella vera fede.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, confermateci nella vera fede in Dio.

13 Aprile 2014

Il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto

Per esercitare tutta la potenza della sua misericordia, il Signore ha bisogno della perfetta obbedienza dell’uomo. Non di un solo uomo, ma di tutti gli uomini. Più persone si portano nell’obbedienza alla voce del Signore e più grande, potente, salvatrice, universale è la manifestazione della sua misericordia. Un solo uomo che si sottrae all’obbedienza immette nella storia una potente diga che ostacola, impedisce, ritarda, rallenta la rivelazione della grazia e della bontà del Signore nostro in favore dell’umanità.

Chi deve condurre ogni uomo all’obbedienza alla fede è in primo l’uomo l’Apostolo del Signore. Con lui, mai senza di lui, essendo lui il datore della grazia e dello Spirito Santo in pienezza, ogni altro discepolo di Cristo Gesù. Questa coscienza a volte nella Chiesa è limpida, pura, operatrice di grande missione, altre volte è opaca, rilassata, lassa, quasi spenta ed è in questa fase che anche la manifestazione della misericordia di Dio rallenta e l’uomo precipita di peccato in peccato e di morte in morte. La morte viene, è sempre in transito. Se trova il sangue dell’agnello sull’architrave e sugli stipiti delle porte del nostro cuore, passa oltre. La nostra casa è casa di vita. Se non trova il sangue, entra e miete, fa strage. La nostra casa è casa di morte.

Questa fede oggi si sta perdendo. Si sta insegnando da molti la manifestazione della misericordia senza alcuna richiesta di obbedienza. La morte spirituale e fisica però non conosce questa legge. La ignora. La morte conosce solo la legge di Dio. Altre leggi da essa non sono conosciute. Alle nostre scuole di misericordia artefatta e falsificata vi sono alunni umani. Mai la morte è stata scolarizzata da costoro. La morte obbedisce ad un solo comando: a quello del Signore. Per lei vi è un solo divieto: l’obbedienza al comando del Signore.

Mosè convocò tutti gli anziani d’Israele e disse loro: «Andate a procurarvi un capo di bestiame minuto per ogni vostra famiglia e immolate la Pasqua. Prenderete un fascio di issòpo, lo intingerete nel sangue che sarà nel catino e spalmerete l’architrave ed entrambi gli stipiti con il sangue del catino. Nessuno di voi esca dalla porta della sua casa fino al mattino. Il Signore passerà per colpire l’Egitto, vedrà il sangue sull’architrave e sugli stipiti; allora il Signore passerà oltre la porta e non permetterà allo sterminatore di entrare nella vostra casa per colpire. Voi osserverete questo comando come un rito fissato per te e per i tuoi figli per sempre. Quando poi sarete entrati nella terra che il Signore vi darà, come ha promesso, osserverete questo rito. Quando i vostri figli vi chiederanno: “Che significato ha per voi questo rito?”, voi direte loro: “È il sacrificio della Pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto, quando colpì l’Egitto e salvò le nostre case”». Il popolo si inginocchiò e si prostrò.

Poi gli Israeliti se ne andarono ed eseguirono ciò che il Signore aveva ordinato a Mosè e ad Aronne; così fecero. A mezzanotte il Signore colpì ogni primogenito nella terra d’Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito del prigioniero in carcere, e tutti i primogeniti del bestiame. Si alzò il faraone nella notte e con lui i suoi ministri e tutti gli Egiziani; un grande grido scoppiò in Egitto, perché non c’era casa dove non ci fosse un morto! Il faraone convocò Mosè e Aronne nella notte e disse: «Alzatevi e abbandonate il mio popolo, voi e gli Israeliti! Andate, rendete culto al Signore come avete detto. Prendete anche il vostro bestiame e le vostre greggi, come avete detto, e partite! Benedite anche me!». Gli Egiziani fecero pressione sul popolo, affrettandosi a mandarli via dal paese, perché dicevano: «Stiamo per morire tutti!». Il popolo portò con sé la pasta prima che fosse lievitata, recando sulle spalle le madie avvolte nei mantelli. Gli Israeliti eseguirono l’ordine di Mosè e si fecero dare dagli Egiziani oggetti d’argento e d’oro e vesti. Il Signore fece sì che il popolo trovasse favore agli occhi degli Egiziani, i quali accolsero le loro richieste. Così essi spogliarono gli Egiziani (Es 12,21-36).

Mosè insegna ai figli di Israele la perfetta obbedienza e il Signore manifesta loro tutta la potenza salvatrice e liberatrice della sua misericordia. Gli Egiziani non hanno il sangue dinanzi alle porte delle loro case e sperimentano invece la grande potenza distruttrice della morte. Oggi molti cristiani mancano di questa protezione potente ed anche essi, come allora gli Egiziani, sperimentano ogni giorno quanto invincibile e ingovernabile sia la morte. E noi, maniaci di lamenti vani, stolti, insipienti, perché carenti della verità della vita e della morte, intoniamo il nostro canto inutile e il nostro stupido pianto su quanti ogni giorno vengono falciati dalla morte. Contro la morte vi è un solo rimedio: l’obbedienza ad ogni comando del Signore. Chi obbedisce si salva. Vi non ascolta, muore. Inesorabilmente muore, perché la morte mai passerà oltre. Entrerà e si prenderà la vita. Anche se nessuno crede, la verità è solo questa.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera obbedienza.

20 Aprile 2014

Siate forti e vedrete la salvezza del Signore

La misericordia del Signore necessita anche della nostra fede. Fede nella preghiera di richiesta di aiuto in ogni nostra particolare urgenza che nasce dalla storia. Fede nell’ascolto della Parola che il Signore ci rivolge, indicandoci cosa fare perché Lui possa realizzare per noi tutta la sua eterna e divina misericordia di salvezza. Se noi manchiamo nella fede, veniamo meno, il Signore non potrà esercitare la sua misericordia e noi periamo.

Il popolo del Signore si trova in un momento assai critico. Sta per essere raggiunto dall’esercito del Faraone. Sa che non potrà opporre alcuna resistenza. Anziché rinnovare tutta la sua fede nel Signore, comincia a mormorare, lamentarsi, rinnegare la stessa liberazione costata al Signore ben dieci piaghe. Per grazia di Dio Mosè non si smarrisce, non si abbatte, non viene preso dallo scoraggiamento, non perde la sua fede. Rassicura i figli di Israele sulla salvezza che il Signore avrebbe operato per essi. Dio stesso interviene e ordina a Mosè cosa fare. La fede di Mosè e la sua obbedienza immediata al Signore salvano il popolo dalla morte.

Quando il faraone fu vicino, gli Israeliti alzarono gli occhi: ecco, gli Egiziani marciavano dietro di loro! Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore. E dissero a Mosè: «È forse perché non c’erano sepolcri in Egitto che ci hai portati a morire nel deserto? Che cosa ci hai fatto, portandoci fuori dall’Egitto? Non ti dicevamo in Egitto: “Lasciaci stare e serviremo gli Egiziani, perché è meglio per noi servire l’Egitto che morire nel deserto”?». Mosè rispose: «Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del Signore, il quale oggi agirà per voi; perché gli Egiziani che voi oggi vedete, non li rivedrete mai più! Il Signore combatterà per voi, e voi starete tranquilli». Il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto. Ecco, io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri».

L’angelo di Dio, che precedeva l’accampamento d’Israele, cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò dietro. Andò a porsi tra l’accampamento degli Egiziani e quello d’Israele. La nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte. Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull’asciutto, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. Gli Egiziani li inseguirono, e tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare.

Ma alla veglia del mattino il Signore, dalla colonna di fuoco e di nube, gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: «Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!». Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri». Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani, e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto, e il popolo temette il Signore e credette in lui e in Mosè suo servo (Cfr. Es 14,1-31).

Fede, preghiera, obbedienza sono le armi vincenti. Quando si perde la fede, ci si smarrisce anche nella preghiera. L’uomo è solo con se stesso. Dio non può intervenire con la potenza della sua misericordia. Non c’è l’uomo. È assente. Perché il Signore possa operare sempre è richiesta la presenza dell’uomo. È richiesta una presenza di fede, di preghiera, di obbedienza. Se tutti perdono la fede, uno deve rimanere fedele. Uno deve essere voce dell’intero popolo. Uno deve porsi tra Dio e il popolo e chiedere al Signore un suo potente intervento. Un solo uomo può essere causa di salvezza per tutti. Ma un uomo è necessario. La sua fede è indispensabile perché il Signore intervenga con forza nella nostra storia. È verità questa che mai dovrà essere dimenticata, mai trascurata, mai smarrita, mai persa.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fate che siamo presenti con la fede.

27 Aprile 2014

Io sono il Signore, colui che ti guarisce!

La fede è un cammino perenne. Inizia e mai finisce. Cristiano vero è colui che cammina di fede in fede, di verità in verità, di conoscenza in conoscenza, di sapienza in sapienza. La vera fede ha bisogno di una luce divina che sempre accompagna la mente e il cuore perché possano aprirsi alle novità della storia e viverle secondo la pienezza della verità del nostro Dio e Signore.

La storia è sempre la prova della fede. Poiché la storia è novità, può il Signore salvare la novità di oggi? La novità di ieri l’ha salvata e redenta, ma oggi può redimerci e liberarci? Ieri ha trasformato il mare in un deserto, può oggi trasformare il deserto in un lago d’acqua dolce per dissetare il suo popolo? Se la fede di ieri non apre alla salvezza nella storia di oggi, essa non è pura, non è santa, non è vera. È una fede neanche di ieri. È stata una fede subita. Non è stata una fede vissuta. Molti vivono di fede subita. Pochi di fede vissuta.

Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero: «Voglio cantare al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare. Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza. È il mio Dio: lo voglio lodare, il Dio di mio padre: lo voglio esaltare! Il Signore è un guerriero, Signore è il suo nome. I carri del faraone e il suo esercito li ha scagliati nel mare; i suoi combattenti scelti furono sommersi nel Mar Rosso. Gli abissi li ricoprirono, sprofondarono come pietra. La tua destra, Signore, è gloriosa per la potenza, la tua destra, Signore, annienta il nemico; con sublime maestà abbatti i tuoi avversari, scateni il tuo furore, che li divora come paglia. Al soffio della tua ira si accumularono le acque, si alzarono le onde come un argine, si rappresero gli abissi nel fondo del mare. Il nemico aveva detto: “Inseguirò, raggiungerò, spartirò il bottino, se ne sazierà la mia brama; sfodererò la spada, li conquisterà la mia mano!”. Soffiasti con il tuo alito: li ricoprì il mare, sprofondarono come piombo in acque profonde. Chi è come te fra gli dèi, Signore? Chi è come te, maestoso in santità, terribile nelle imprese, autore di prodigi? Stendesti la destra: li inghiottì la terra. Guidasti con il tuo amore questo popolo che hai riscattato, lo conducesti con la tua potenza alla tua santa dimora. Udirono i popoli: sono atterriti. L’angoscia afferrò gli abitanti della Filistea. Allora si sono spaventati i capi di Edom, il pànico prende i potenti di Moab; hanno tremato tutti gli abitanti di Canaan. Piómbino su di loro paura e terrore; per la potenza del tuo braccio restino muti come pietra, finché sia passato il tuo popolo, Signore, finché sia passato questo tuo popolo, che ti sei acquistato. Tu lo fai entrare e lo pianti sul monte della tua eredità, luogo che per tua dimora, Signore, hai preparato, santuario che le tue mani, Signore, hanno fondato. Il Signore regni in eterno e per sempre!».

Quando i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri furono entrati nel mare, il Signore fece tornare sopra di essi le acque del mare, mentre gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare. Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un tamburello: dietro a lei uscirono le donne con i tamburelli e con danze. Maria intonò per loro il ritornello: «Cantate al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare!». Mosè fece partire Israele dal Mar Rosso ed essi avanzarono verso il deserto di Sur. Camminarono tre giorni nel deserto senza trovare acqua. Arrivarono a Mara, ma non potevano bere le acque di Mara, perché erano amare. Per questo furono chiamate Mara. Allora il popolo mormorò contro Mosè: «Che cosa berremo?». Egli invocò il Signore, il quale gli indicò un legno. Lo gettò nell’acqua e l’acqua divenne dolce. In quel luogo il Signore impose al popolo una legge e un diritto; in quel luogo lo mise alla prova. Disse: «Se tu darai ascolto alla voce del Signore, tuo Dio, e farai ciò che è retto ai suoi occhi, se tu presterai orecchio ai suoi ordini e osserverai tutte le sue leggi, io non t’infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitto agli Egiziani, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!». Poi arrivarono a Elìm, dove sono dodici sorgenti di acqua e settanta palme. Qui si accamparono presso l’acqua (Es 15,1-27).

Quando si vive di fede subita, sempre il presente è un lamento perenne. Non si vede Dio in esso, perché Dio non è stato visto neanche ieri. Se lo si è visto, non lo si è compreso. Quando tutto un popolo vive di fede subita, è necessario che almeno uno sia di fede viva. La salvezza del popolo è dalla sua fede. Se nessuno è di fede viva, è la morte di tutti, a meno che non intervenga direttamente il Signore e ponga in un cuore la radice della vera fede. Ristabilita la vera fede in uno, dall’uno essa comincia ad entrare negli altri cuori. Sempre è necessario che almeno uno rimanga nella vera fede. Sempre il Signore vigila perché vi sia almeno una sola persona dalla fede viva e vera. Lui mette la fede vera nei suoi santi profeti e da essi ricomincia a vivere nel suo popolo. Se il Signore non vigilasse, la vera fede si estinguerebbe sulla terra.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci dalla fede viva e vera.

04 Maggio 2014

Avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne

Vi è una legge misteriosa che regna nell’universo del nostro Dio. Della creazione ognuno può prendere ciò che è strettamente necessario per la sua vita. Quanto prende in più o lo si accumula per i ladri, o per le tarme, o per a tignola, o per farlo imputridire, o per la malattia. Il di più non ci appartiene. È del Signore. Il Signore lo ha creato per ogni altro uomo. Ad ogni altro è giusto che venga donato. O lo si dona attraverso le opere di giustizia e di misericordia, di pietà e di compassione, oppure il Signore se lo prende con garbo e sublime intelligenza.

La storia conferma questa legge misteriosa che regna nella creazione. Se l’uomo si appropria di un solo momento del tempo che è riservato al Signore, questo momento rubato non va mai a nostro beneficio. Va sempre a nostro svantaggio, nostro danno. È perso. I Figli di Israele vanno a raccogliere la manna in giorno di sabato, non ne trovano. Sciupano una intera giornata. Essi vanno a raccogliere la manna, si lasciano prendere dall’avidità. La raccolgono invano. Nelle loro tende essa marcisce. Diviene inutilizzabile. Il Signore applica sempre la sua legge misteriosa.

Allora il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che avranno raccolto ogni altro giorno». Mosè disse ad Aronne: «Da’ questo comando a tutta la comunità degli Israeliti: “Avvicinatevi alla presenza del Signore, perché egli ha inteso le vostre mormorazioni!”». Ora, mentre Aronne parlava a tutta la comunità degli Israeliti, essi si voltarono verso il deserto: ed ecco, la gloria del Signore si manifestò attraverso la nube. Il Signore disse a Mosè: «Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: “Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio”».

La sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Quando lo strato di rugiada svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Che cos’è?», perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «È il pane che il Signore vi ha dato in cibo. Ecco che cosa comanda il Signore: “Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne, un omer a testa, secondo il numero delle persone che sono con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli della propria tenda”».

Così fecero gli Israeliti. Ne raccolsero chi molto, chi poco. Si misurò con l’omer: colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo; colui che ne aveva preso di meno, non ne mancava. Avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne. Mosè disse loro: «Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino». Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne conservarono fino al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì. Mosè si irritò contro di loro. Essi dunque ne raccoglievano ogni mattina secondo quanto ciascuno mangiava; quando il sole cominciava a scaldare, si scioglieva. Quando venne il sesto giorno essi raccolsero il doppio di quel pane, due omer a testa. Allora tutti i capi della comunità vennero a informare Mosè. (Cfr. Es 16,1-36).

Oggi si vuole abolire il giorno che da sempre è consacrato al Signore. Quali sono i frutti di questa scelta sciagurata? La creazione di una economia in frantumi, a pezzi, distrutta. Non solo non abbiamo guadagnato nulla. Abbiamo perso tutto. Il Signore non benedice coloro che violano la sua santa legge. La terra diviene di ferro. Il cielo di rame. Essi non sono più fonte di vita per noi. Noi abbiamo defraudato Dio di ciò che è suo. Il Signore comanda al cielo e alla terra di non darci nulla per il nostro sostentamento. È la carestia, che si può manifestare in mille modi, mille forme. Se noi diamo a Dio ciò che è suo, Lui dona a noi tutto il suo cielo e tutta la sua terra. Ma cosa è di Dio? Tutto ciò che supera il nostro quotidiano fabbisogno. Quando questa fede viene meno, è veramente la fine. Oggi l’uomo gioca a farsi lui stesso Dio, principio e fonte del suo essere, del suo decidere, del suo operare. Con quali risultati? Ha rubato a Dio la sua verità. La legge misteriosa di Dio priva l’uomo della sua verità. È il caos morale e spirituale. È il disastro economico. L’uomo non si ritrova più. Qualsiasi cosa faccia è come se arasse il mare. Dopo aver scavato il primo solco, si accorge che è un lavoro inutile, senza senso. Essendosi però fatto Dio, pensa che siano gli altri la causa dello sfacelo e della vanità. Ignora che gli manca il vero principio della vita e della verità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci ritornare nella verità di Dio.

11 Maggio 2014

Tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà

Chi vuole camminare con il suo Dio, deve sapere una cosa sola: Dio, nella sua grande misericordia, nella sua onnipotenza creatrice, è il suo presente e il suo futuro, è la sua vita del corpo e dello spirito. Senza questa scienza, che perennemente deve trasformarsi in fede, nessun cammino sarà mai possibile, a causa della storia che è l’antiscienza e l’antifede.

La storia è morte, Dio è vita. La storia è sterilità, Dio è fecondità. La storia è carestia, Dio è abbondanza. La storia è siccità spirituale e fisica, Dio è sorgente di acqua perenne. La storia è fame, Dio è vero pane di vita. La terra è un deserto, Dio è giardino sempre verde. La terra è pericolo, Dio è protezione potente. La terra è miseria, Dio è ricchezza. I nostri occhi vedono la terra. La nostra fede deve vedere Dio.

A questa visione di purissima fede Dio vuole educare il suo popolo e per questo lo conduce in un deserto inospitale dove regna il niente assoluto. Niente alberi, niente piante, niente pane, niente acqua, niente semina, niente raccolti, niente cocomeri, niente cetrioli, niente porri, niente cipolle, niente vicinanza di altri popoli. Dio lo introduce nel niente perché il suo popolo impari ogni giorno che è Lui il suo tutto.

Se il niente fosse quello di ieri, la fede diverrebbe acquisizione storica. Non sarebbe più fede. Sarebbe esperienza già vissuta. Ci si aprirebbe alla fede perché la cosa non la si pensa più come impossibile. Invece il niente è sempre nuovo. È sempre un nuovo niente che si presenta dinanzi agli occhi del popolo. Questo nuovo niente, Dio è capace di trasformarlo in un tutto? Non c’è acqua nel deserto. Vi è una nuda roccia. Può Dio far scaturire dal nulla del nulla della roccia acqua viva per dissetare il suo popolo? Questa fede il Signore chiede al suo popolo. Dio è creatore dal nulla. È il Signore che dona vita al nulla secondo la sua volontà. Per il Signore il nulla può produrre qualsiasi cosa.

Tutta la comunità degli Israeliti levò le tende dal deserto di Sin, camminando di tappa in tappa, secondo l’ordine del Signore, e si accampò a Refidìm. Ma non c’era acqua da bere per il popolo. Il popolo protestò contro Mosè: «Dateci acqua da bere!». Mosè disse loro: «Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?». In quel luogo il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?». Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!». Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?» (Es 17,1-7).

Anche noi cristiani spesso vediamo solo la storia. Essa ci incanta, ci ipnotizza, ci ammalia, ci svuota della fede. La storia è una vera sanguisuga che divora la nostra fede in Dio e lascia vuoto il nostro spirito. A causa della visibilità neghiamo l’invisibilità. La povertà ci fa ignorare la ricchezza. Il niente ci fa dimenticare il tutto. Viviamo di perenne stoltezza e insipienza. Crediamo in Dio ma pensiamo che sia incapace di ogni cosa. Dinanzi al nostro deserto materiale e spirituale ci perdiamo. Non sappiamo vedere se non la sabbia. I nostri occhi sono incapaci di scorgere Dio in questo deserto inospitale che è la nostra terra.

Dio a questo vuole educarci: ad avere occhi sempre nuovi, occhi veri, capaci di vedere la sua misericordia, il suo amore, la sua onnipotenza, la sua capacità di perenne salvezza. Dove per noi tutto è impossibile, per Lui tutto è possibile. Quando dinanzi ai nostri occhi vi è il nulla, dinanzi ai suoi vi è il tutto. Quando noi abbiamo la gola riarsa per la sete e non vi sono soluzioni umane, è allora che la nostra fede deve essere forte, audace. Deve essere talmente forte e audace da rivolgersi a Dio e chiedere l’acqua anche nel più profondo dell’inferno. Anche dalle fiamme dell’inferno il Signore è capace di far sgorgare acqua per i suoi figli. La fede ha però bisogno di somma prudenza e perenne obbedienza. Non siamo noi che ci inoltriamo nel deserto pensando che il Signore verrà in nostro soccorso. Questa è tentazione contro Dio, non fede in Dio. È fede in Dio quando siamo obbedienti alla sua Parola, facciamo la sua volontà, ci inoltriamo nel deserto per suo comando. Nell’obbedienza il Signore è il nostro tutto sempre. Anche sulla croce Lui è il nostro tutto perché è la nostra risurrezione.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci obbedienti per il nostro Dio.

18 Maggio 2014

Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole

Osserviamo oggi come va il mondo: vi è un ateismo pratico che fa spavento. L’uomo ha sostituito in tutto Dio. Lo ha sostituito nella verità, nella morale, nelle opere, nei pensieri, nelle intenzioni, nell’intelligenza, nella sapienza, in ogni altra relazione sia con se stesso che con i fratelli. L’uomo di oggi pensa che tutto provenga dalla sua scienza, dalla sua potenza, dalla sua intelligenza, dai suoi mezzi, da tutto ciò che è rigorosamente dentro di sé e nei suoi potenti mezzi che la tecnologia pone a suo servizio. Ateismo, idolatria, empietà, superstizione sono i cardini nei quali si muove l’uomo moderno. Anche la religione la sta trasformando in un accessorio inutile, in una tradizione conveniente in molti casi, sconveniente in moltissimi altri.

Quest’uomo è in tutto un albero senza radici. Non ha futuro. Gli manca il suo alito di vita, di amore, carità, speranza, giustizia perfetta, compassione, misericordia, verità. Si è volutamente privato della sua stessa vita. Si è condannato ad un morte sociale, politica, economica, finanziaria, familiare. Il segno della verità di questa morte è la non esistenza dell’altro. L’altro non mi serve perché io lo debba servire, mi serve invece perché lui possa servire me per la realizzazione di tutto ciò che è mio: idee, progetti, immaginazioni, desideri, concupiscenza, avarizia, disonestà, malvagità, empietà, idolatria, superstizione, sete di apparire, fame di gloria mondana. Quest’uomo senza Dio è l’uomo che ha in mano la soluzione di ogni cosa.

Questa è la cosa strana: ognuno ha lui la sola soluzione giusta. Tutte le altre sono errate, insufficienti, carenti, mancanti, superficiali, da bocciare, esorcizzare, banalizzare, criticare, distruggere. Basterebbe un poco di intelligenza – essendo però reciso ogni legame con la sorgente, la fonte dell’intelligenza che è lo Spirito Santo tutti ne sono privi – e scegliere la soluzione più idonea a risolvere ogni crisi e un po’ di umiltà per adottarla tutti. Invece poiché senza intelligenza e senza umiltà, il popolo perisce per mancanza di questo vitale collegamento con la verità, la saggezza, l’intelligenza, la fonte di ogni discernimento che è il Signore. È proprio della sapienza riconoscere ciò che è vero, giusto, utile, buono, ottimo, migliore di ogni altra cosa. Ma è proprio dell’umiltà abbandonare il proprio ottimo perché l’ottimo del fratello è migliore del mio. Queste due virtù dell’uomo sono purissimo dono attuale di Dio, in Cristo Gesù, per opera dello Spirito Santo. Senza Dio, l’uomo è senza se stesso, gli manca la sorgente della sua più vera umanità. Un uomo senza verità darà sempre soluzioni false alla sua vita.

Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm. Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada. Allora il Signore disse a Mosè: «Scrivi questo per ricordo nel libro e mettilo negli orecchi di Giosuè: io cancellerò del tutto la memoria di Amalèk sotto il cielo!». Allora Mosè costruì un altare, lo chiamò “Il Signore è il mio vessillo” e disse: «Una mano contro il trono del Signore! Vi sarà guerra per il Signore contro Amalèk, di generazione in generazione!» Es 17,8-16).

Il popolo del Signore deve proteggersi da Amalèk, popolo ostile ai figli di Israele. Dio è la sapienza, la forza, la vittoria in battaglia. “Non c’è sapienza, non c’è prudenza, non c’è consiglio di fronte al Signore. Il cavallo è pronto per il giorno della battaglia, ma al Signore appartiene la vittoria” (Pr 21,3031). A Dio si deve chiedere la vittoria, la riuscita dell’impresa. Chi chiede la vittoria al Signore è Mosè. Chi combatte la battaglia è però Giosuè. Quando Mosè prega, Giosuè è superiore ad Amalèk. Quando Mosè si stanca di pregare, Amalèk ha la meglio su Giosuè. Come fare perché Mosè non si stanchi di tenere il bastone alzato verso il Cielo finché Giosuè non abbia sconfitto Amalèk? L’uomo viene in aiuto dell’uomo. Aronne e Cur prima fanno sedere Mosè e poi entrambi gli tengono le mani alzate perché la preghiera sia ininterrotta. Solo così Giosuè può sconfiggere Amalèk. La preghiera è la più grande opera di misericordia. Con essa si chiede a Dio che è saggezza, intelligenza, sapienza, onnipotenza, discernimento, aiuto potente di venire in soccorso dell’uomo, del popolo, del mondo intero. Chi prega, redime, salva, converte, crea vita, genera speranza, traccia vie di benessere e di pace. Chi prega dona un volto nuovo al mondo. Oggi l’uomo non prega, perché ha reciso i legami con il suo Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a pregare senza interruzione.

25 Maggio 2014

Ora ascoltami: ti voglio dare un consiglio e Dio sia con te!

La misericordia per consiglio è opera altissima. Come però vi è un consiglio di bene, così vi è anche un consiglio di male. La Scrittura, Maestra di luce per le nostre menti, volendo che nessuno si perda a causa di un cattivo consiglio, così ci ammaestra su di esso:

Ogni amico dice: «Anch’io sono amico», ma c’è chi è amico solo di nome. Non è forse un dolore mortale un compagno e amico che diventa nemico? O inclinazione al male, come ti sei insinuata per ricoprire la terra di inganni? C’è chi si rallegra con l’amico quando tutto va bene, ma al momento della tribolazione gli è ostile. C’è chi si affligge con l’amico per amore del proprio ventre, ma di fronte alla battaglia prende lo scudo. Non dimenticarti dell’amico nell’animo tuo, non scordarti di lui nella tua prosperità.

Ogni consigliere esalta il consiglio che dà, ma c’è chi consiglia a proprio vantaggio. Guàrdati da chi vuole darti consiglio e prima infórmati quali siano le sue necessità: egli infatti darà consigli a suo vantaggio; perché non abbia a gettare un laccio su di te e ti dica: «La tua via è buona», ma poi si tenga in disparte per vedere quel che ti succede. Non consigliarti con chi ti guarda di sbieco e nascondi le tue intenzioni a quanti ti invidiano. Non consigliarti con una donna sulla sua rivale e con un pauroso sulla guerra, con un mercante sul commercio e con un compratore sulla vendita, con un invidioso sulla riconoscenza e con uno spietato sulla bontà di cuore, con un pigro su una iniziativa qualsiasi e con un salariato sul raccolto, con uno schiavo pigro su un lavoro importante. Non dipendere da costoro per nessun consiglio.

Frequenta invece un uomo giusto, di cui sai che osserva i comandamenti e ha un animo simile al tuo, perché se tu cadi, egli saprà compatirti. Attieniti al consiglio del tuo cuore, perché nessuno ti è più fedele. Infatti la coscienza di un uomo talvolta suole avvertire meglio di sette sentinelle collocate in alto per spiare. Per tutte queste cose invoca l’Altissimo, perché guidi la tua via secondo verità (Cfr. Sir 37,1-31).

Un consiglio ben dato dona alla vita di un uomo non solo un bene duraturo sulla terra, ma riesce a condurlo anche nell’eternità beata. Mentre un cattivo consiglio può dannare un uomo sulla terra e nell’eternità. Ietro dona un saggio consiglio. Non lo impone. Lui suggerisce cosa fare. Poi rinvia ogni cosa alla decisione di Dio. È Lui che alla fine deve ratificare ogni consiglio.

Il giorno dopo Mosè sedette a render giustizia al popolo e il popolo si trattenne presso Mosè dalla mattina fino alla sera. Allora il suocero di Mosè, visto quanto faceva per il popolo, gli disse: «Che cos’è questo che fai per il popolo? Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso di te dalla mattina alla sera?». Mosè rispose al suocero: «Perché il popolo viene da me per consultare Dio. Quando hanno qualche questione, vengono da me e io giudico le vertenze tra l’uno e l’altro e faccio conoscere i decreti di Dio e le sue leggi». Il suocero di Mosè gli disse: «Non va bene quello che fai! Finirai per soccombere, tu e il popolo che è con te, perché il compito è troppo pesante per te; non puoi attendervi tu da solo. Ora ascoltami: ti voglio dare un consiglio e Dio sia con te! Tu sta’ davanti a Dio in nome del popolo e presenta le questioni a Dio. A loro spiegherai i decreti e le leggi; indicherai loro la via per la quale devono camminare e le opere che devono compiere. Invece sceglierai tra tutto il popolo uomini validi che temono Dio, uomini retti che odiano la venalità, per costituirli sopra di loro come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. Essi dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza; quando vi sarà una questione importante, la sottoporranno a te, mentre essi giudicheranno ogni affare minore. Così ti alleggerirai il peso ed essi lo porteranno con te. Se tu fai questa cosa e Dio te lo ordina, potrai resistere e anche tutto questo popolo arriverà in pace alla meta». Mosè diede ascolto alla proposta del suocero e fece quanto gli aveva suggerito. Mosè dunque scelse in tutto Israele uomini validi e li costituì alla testa del popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. Essi giudicavano il popolo in ogni circostanza: quando avevano affari difficili li sottoponevano a Mosè, ma giudicavano essi stessi tutti gli affari minori. Poi Mosè congedò il suocero, il quale tornò alla sua terra.

È obbligo di chi riceve un consiglio presentarsi con urgenza dinanzi al Signore, mettersi in umiltà dinanzi alla sua divina saggezza, intelligenza e chiedere luce e forza. La luce per sapere se quello ricevuto è un consiglio giusto, la forza per essere liberi per fare solo la divina volontà. In fondo un consiglio a questo serve: a porre per intero la nostra vita nel più alto bene secondo la volontà che Dio ha su d noi. Ci si presenta al suo cospetto per la verifica. Se è sua volontà, la si accetta, la si compie. Se non è sua volontà, la si rigetta per sempre. È Dio, solo Lui, il Signore della nostra vita. Ogni altro è un suo collaboratore perché la sua volontà si compia nei cuori.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, ricolmateci di ogni umiltà e fortezza.

01 Giugno 2014

Il popolo senta quando io parlerò con te e credano per sempre anche a te

La Scrittura Santa nasconde tra le sue molte parole delle perle preziosissime in ordine alla conoscenza della nostra verità. Ignorarle, non conoscerle, non ricordarle, passare oltre come se fossero cosa scontata ci priva della luce che deve illuminare ogni relazione con Dio e con i fratelli. La moltissima povertà che oggi regna nel mondo della fede è motivata anche dal fatto che queste verità vengono ignorate. Si vive come se esse mai fossero state proferite da Dio.

Proviamo per un istante a leggere il nostro credo, quello che professiamo nella celebrazione di ogni Santa Messa Domenicale: “Credo in un solo Dio, Padre Onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore Gesù Cristo unigenito figlio di Dio nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, dalla stessa sostanza del Padre. Per mezzo di Lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto e il terzo giorno è resuscitato secondo le Scritture ed è salito al Cielo e siede alla destra del Padre e di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti ed il suo Regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre ed il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati e aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen”.

Osserviamo bene. Questo credo è una somma di verità. Esse sono il presupposto della fede, ma non sono la fede. La fede è in questo Dio che oggi parla. Non parla però dall’uragano, dal monte, di mezzo al fuoco. Parla con voce e con suono umano. Parla per mezzo dell’uomo costituito da Lui ministro della sua Parola, testimone della sua risurrezione, annunciatore del suo Vangelo, servo della sua carità e del suo amore. È l’uomo che deve annunciare la verità del suo Dio ed è nell’uomo che l’uomo dovrà necessariamente credere. La fede in Dio nasce dalla parola nell’uomo. Ma se l’uomo non crede nell’uomo che dice la Parola di Dio, quale fede nascerà nel suo cuore? Chi crea la fede nell’uomo che dice la Parola è Dio. La crea, accreditandolo con segni e prodigi, riversando su di lui tutta la potenza del suo Santo Spirito.

Al terzo mese dall’uscita degli Israeliti dalla terra d’Egitto, nello stesso giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai. Levate le tende da Refidìm, giunsero al deserto del Sinai, dove si accamparono; Israele si accampò davanti al monte. Mosè salì verso Dio, e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: «Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: “Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me. Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Queste parole dirai agli Israeliti». Mosè andò, convocò gli anziani del popolo e riferì loro tutte queste parole, come gli aveva ordinato il Signore. Tutto il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!». Mosè tornò dal Signore e riferì le parole del popolo. Il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube, perché il popolo senta quando io parlerò con te e credano per sempre anche a te» (Es 19,1-9).

Ogni responsabile della Parola di Dio deve impegnare tutte le sue forze affinché il mondo non creda in lui, nella sua bravura, nelle sue capacità, nei suoi doni e nei suoi carismi, bensì creda nella Parola di Dio che lui annunzia, dona, insegna. Dio accredita lui, lui deve accreditare Dio, che è la sorgente anche dei suoi carismi e dei suoi doni. Se manca l’accreditamento di Dio, si compie un vero atto di superstizione e di idolatria. L’uomo si sostituisce a Dio e questa è vera idolatria, vera superstizione. Si attribuiscono all’uomo poteri che sono solo di Dio. Cadere nell’idolatria dell’uomo è facilissimo. Basta distrarsi un attimo e già si è nella grande superstizione della sostituzione di Dio con un uomo. Ma anche arrestare il corso della fede sulla terra è facilissimo. È sufficiente che il messaggero della Parola si distacchi dal suo Dio e Signore. Il Signore in questo caso mai lo potrà accreditare ed è la fine del cammino della vera fede. Molti oggi non sono accreditati da Dio perché rifiutano chi è già è stato accreditato da Dio e scelto da Lui come strumento per accreditare altri. Quanti distruggono questa via mediata attraverso la quale la vera Parola di Dio giunge loro, sappiamo che non vi alcuna fede che possa germoglia nei cuore per loro tramite. Hanno dichiarato falso chi Dio aveva loro inviato, come potranno pensare di essere loro voce di Dio? Che non sono voce di Dio lo attesta la storia: per essi la vera fede non nasce sulla terra. Cose ne fanno tante, ma non generano fede.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri strumenti della Parola.

08 Giugno 2014

Va’ dal popolo e santificalo

La santità è il “luogo” nel quale Dio vuole abitare e dal quale rivelare tutta la potenza della sua misericordia. Chiunque ha desiderio, brama che Dio operi secondo la sua ricchezza di amore, verità, santità, pietà, carità, giustizia, compassione, aiuto, sostegno, vita, deve dare a Dio questa “luogo” santo che è il suo corpo, la sua anima, il suo spirito.

Se l’uomo non dona a Dio questo “luogo” nella più grande santità, nella quale deve crescere ogni giorno, Dio non può abitare in lui e se Dio non abita in lui mai potrà agire attraverso di lui, per lui. Lui sarà sempre un otre vuoto e ciò che darà ai suoi fratelli sarà solo aria mefitica e puzzolente a causa del fetore del peccato che governa il suo essere.

Ogni uomo è obbligato ad essere onesto e sincero con se stesso. Se lui vive di peccato, nel peccato, nel suo cuore, nel suo corpo, nella sua anima non abita il Signore. Abita il suo peccato. Dal suo peccato parla, agisce, opera. Dal peccato si potrà produrre solo peccato, falsità, inganno ed ogni altra opera della carne. Se invece in lui abita la santità, la purezza del cuore e della mente, la perfetta obbedienza alla legge del Signore, Dio vi prende dimora e dal cuore dell’uomo diffonde sulla terra tutta la sua luce divina per produrre ogni opera di verità e carità, di giustizia e bontà, di misericordia e pietà.

Mosè riferì al Signore le parole del popolo. Il Signore disse a Mosè: «Va’ dal popolo e santificalo, oggi e domani: lavino le loro vesti e si tengano pronti per il terzo giorno, perché nel terzo giorno il Signore scenderà sul monte Sinai, alla vista di tutto il popolo. Fisserai per il popolo un limite tutto attorno, dicendo: “Guardatevi dal salire sul monte e dal toccarne le falde. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte. Nessuna mano però dovrà toccare costui: dovrà essere lapidato o colpito con tiro di arco. Animale o uomo, non dovrà sopravvivere”. Solo quando suonerà il corno, essi potranno salire sul monte». Mosè scese dal monte verso il popolo; egli fece santificare il popolo, ed essi lavarono le loro vesti. Poi disse al popolo: «Siate pronti per il terzo giorno: non unitevi a donna».

Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore. Allora Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte. Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco, e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. Il suono del corno diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce.

Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore chiamò Mosè sulla vetta del monte. Mosè salì. Il Signore disse a Mosè: «Scendi, scongiura il popolo di non irrompere verso il Signore per vedere, altrimenti ne cadrà una moltitudine! Anche i sacerdoti, che si avvicinano al Signore, si santifichino, altrimenti il Signore si avventerà contro di loro!». Mosè disse al Signore: «Il popolo non può salire al monte Sinai, perché tu stesso ci hai avvertito dicendo: “Delimita il monte e dichiaralo sacro”». Il Signore gli disse: «Va’, scendi, poi salirai tu e Aronne con te. Ma i sacerdoti e il popolo non si precipitino per salire verso il Signore, altrimenti egli si avventerà contro di loro!». Mosè scese verso il popolo e parlò loro (Es 19,9-25).

La santità è tutto per una persona. La santità è la sola casa di Dio. Mai lui abiterà in un cuore immondo, sporco, sudicio, lercio, infangato di male, peccato, menzogna, calunnia, falsità, inganno, impurità, impudicizia e cose del genere. Se Dio non abita, neanche può operare. Noi tutti pensiamo che Dio operi dal suo cielo. Non è dal cielo che Dio opera, è dal cuore dell’uomo, dal suo spirito, dalla sua parola, dalle sue mani, dal suo corpo. Opera se vi abita. Abita se l’uomo gli prepara una casa santa, una dimora pura, un luogo mondo.

Tutto in noi si trasforma in opera di misericordia e di pietà se Dio è in noi ed agisce attraverso di noi. Se lui non è in noi, mai potrà agire attraverso di noi. Saremo noi ad operare, ma dal nostro peccato non dalla sua grazia, dalla nostra falsità non sua verità, dalla nostra stoltezza non dalla sua sapienza e intelligenza. Dal nostro peccato anche le opere di misericordia diventano false, perché non sono di Dio, non sono secondo la sua verità, non provengono dalla sua grazia. Ci illudiamo di fare il bene, mentre in realtà facciamo solo il male, perché la luce della verità di Dio non abita in noi. Dal peccato anche la liturgia, la pastorale, l’evangelizzazione è falsa. Non si è guidati né sorretti dal Signore che è fuori di noi. È dal cuore dell’uomo che Dio vuole agire ed operare. O gli diamo un cuore puro, santo, mondo, giusto, oppure lavoriamo per il peccato.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci dal cuore puro per il Signore.

15 Giugno 2014

Non desidererai la moglie del tuo prossimo

Il mondo è governato dal desiderio. Misericordia è aiutare l’altro a dare compimento ai suoi desideri. Vi sono però desideri giusti e desideri ingiusti, buoni e cattivi, possibile e impossibili, realizzabili e non realizzabili. La misericordia è solo per i desideri buoni, giusti, santi. Di certo non è misericordia esaudire desideri ingiusti, cattivi, indecenti, falsi, empi, di pura idolatria.

La confusione, il caos morale, spirituale, sociale, civile, politico, militare, economico, finanziario, scientifico consiste proprio nella non distinzione tra desideri buoni e desideri non buoni, giusti e non giusti, santi e peccaminosi, possibili e impossibili. Una convivenza umana fondata su tale confusione o caos non potrà reggere. Collasserà. La storia ci sta attestando che siamo già al collasso, perché incapaci di mettere ordine nei desideri.

Quando poi si vuole trasformare il desiderio immorale, impuro, ingiusto, cattivo, malsano, empio in legge, in diritto, è allora che la società civile e religiosa si smarrisce, si confonde, precipita nel baratro. Oggi simo nel baratro perché abbiamo trasformato ogni desiderio anche impuro, immorale, ingiusto, in un diritto, in un bene dovuto. Quando non riusciamo a trasformali in legge li trasformiamo in furti, peculati, racket, rapine, mazzette, infiniti imbrogli, molteplici raggiri e cose del genere. Ma sempre è il desiderio non governato che imperversa e distrugge.

Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio. Non ruberai. Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».

Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante. Il popolo vide, fu preso da tremore e si tenne lontano. Allora dissero a Mosè: «Parla tu a noi e noi ascolteremo; ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo!». Mosè disse al popolo: «Non abbiate timore: Dio è venuto per mettervi alla prova e perché il suo timore sia sempre su di voi e non pecchiate». Il popolo si tenne dunque lontano, mentre Mosè avanzò verso la nube oscura dove era Dio. Il Signore disse a Mosè: «Così dirai agli Israeliti: “Voi stessi avete visto che vi ho parlato dal cielo! Non farete dèi d’argento e dèi d’oro accanto a me: non ne farete per voi! Farai per me un altare di terra e sopra di esso offrirai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di comunione, le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni luogo dove io vorrò far ricordare il mio nome, verrò a te e ti benedirò. Se tu farai per me un altare di pietra, non lo costruirai con pietra tagliata, perché, usando la tua lama su di essa, tu la renderesti profana. Non salirai sul mio altare per mezzo di gradini, perché là non si scopra la tua nudità” (Es 20,1-26).

Una società potrà dirsi civile, vera solo quando è in grado di distinguere desideri buoni da desideri cattivi, desideri giusti da desideri ingiusti, desideri possibili da desideri impossibili, desideri realizzabili e desideri irrealizzabili. Senza questa netta, chiara, perfetta distinzione non vi è denaro che basti e non vi è gestione possibile della cosa pubblica. Definire legittimo desiderare il seme altrui per dare compimento alla aspirazioni di maternità è pura immoralità. Eppure il legislatore dice che è cosa giusta. Se una immoralità è giusta, anche un’altra immoralità è giusta. Si tratta sempre di esaudire un desiderio. O iniziamo a dare un limite ai desideri oltre il quale mai si dovrà pervenire, oppure siamo condannati ad una immoralità dilagante. Il limite è necessario ad ogni uomo. Anche nel male vanno rispettati i limiti.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi ponete un limite alla nostra stoltezza.

22 Giugno 2014

Quando tu avrai acquistato uno schiavo ebreo

Senza il rispetto del diritto di ogni uomo una società non può reggersi. È il rispetto dei diritti di ciascuno che fa umana una tribù, un popolo, una nazione. Nessuna comunità, nessun agglomerato di persone potrà mai dirsi umano se non si costruisce sul fondamento di solide leggi attraverso le quali ognuno sa cosa fare e cosa non fare. Diritti e doveri vanno osservati. Senza il rispetto di essi vi è il caos, la confusione, la perdita di fiducia, l’abbandono della legalità da parte di molti, la consegna alla delinquenza e al sopruso, all’arbitrio e alla malvagità. Spesso si potrebbe giungere anche alla giustizia personale ingiusta, alla vendetta spropositata, alla faida, alla strage, allo sterminio, all’uccisione selvaggia, a mille altre cose moralmente nefande.

Fondatore del diritto, della giustizia è solo uno: il Signore. È Lui il solo garante della verità di esso. L’uomo a volte stabilisce delle leggi, ma ingiuste, disumane, false. Sono leggi prive di ogni garanzia di verità. Queste leggi non aiutano l’uomo nel suo cammino verso la sua più alta umanizzazione. Lo conducono invece verso la sua stessa disumanizzazione, il suo degrado spirituale, il suo declino sociale, la depressione morale. Quando in un popolo si abbassa il grado di verità è un brutto segno: nel suo seno stanno per moltiplicarsi mille agenti patogeni che lo condurranno alla rovina. Mangeranno le sue carni, berranno il sua sangue. Lo uccideranno.

Oggi vi è una moltitudine di leggi false, ingiuste, immorali, nefaste per la società. Ogni legge immorale abbassa, deprime, cancella la luce della verità che deve guidare l’uomo. Spenta la luce, si cammina nel buio, nelle tenebre. Si è senza più vita. Quale vita si potrà mai avere dall’aborto, dal divorzio, dall’eutanasia, dalle coppie di fatto, dalle unioni tra persone dello stesso sesso? Quale vita vi potrà sorgere in un popolo nel quale l’altissima tassazione serve per foraggiare i molteplici furti, ruberie, ladroneggi che ogni giorno vengono perpetrati in ogni luogo della pubblica amministrazione? Quale vita vi potrà essere in un popolo che fonda la sua esistenza su diritti sociali acquisiti, forse un tempo giusti, ma che oggi appaiono ingiusti a motivo della mutata condizione economica, che richiede da parte di tutti severi sacrifici? Quale vita vi potrà mai nascere in una comunità nella quale tutti accampano diritti, ignorando che ad ogni diritto corrisponde un preciso dovere da assolvere?

Anticamente vi era la schiavitù. Dio, garante del diritto anche degli schiavi, interviene e vi pone la sua legge. Anche lo schiavo ha dei diritti che vanno rispettati. Uno schiavo non è senza diritto. Dio pone anche loro sotto la sua legge. Anche di essi egli si preoccupa e li difende.

Queste sono le norme che tu esporrai loro. Quando tu avrai acquistato uno schiavo ebreo, egli ti servirà per sei anni e nel settimo potrà andarsene libero, senza riscatto. Se è venuto solo, solo se ne andrà; se era coniugato, sua moglie se ne andrà con lui. Se il suo padrone gli ha dato moglie e questa gli ha partorito figli o figlie, la donna e i suoi figli saranno proprietà del padrone, ed egli se ne andrà solo. Ma se lo schiavo dice: “Io sono affezionato al mio padrone, a mia moglie, ai miei figli, non voglio andarmene libero”, allora il suo padrone lo condurrà davanti a Dio, lo farà accostare al battente o allo stipite della porta e gli forerà l’orecchio con la lesina, e quello resterà suo schiavo per sempre.

Quando un uomo venderà la figlia come schiava, ella non se ne andrà come se ne vanno gli schiavi. Se lei non piace al padrone, che perciò non la destina a sé in moglie, la farà riscattare. In ogni caso egli non può venderla a gente straniera, agendo con frode verso di lei. Se egli la vuol destinare in moglie al proprio figlio, si comporterà nei suoi riguardi secondo il diritto delle figlie. Se egli prende in moglie un’altra, non diminuirà alla prima il nutrimento, il vestiario, la coabitazione. Se egli non le fornisce queste tre cose, lei potrà andarsene, senza che sia pagato il prezzo del riscatto (Es 21,1-11).

Ogni uomo, chiunque esso sia, ha dei diritti che necessariamente dovranno essergli riconosciuti. Ha dei diritti innegabili il condannato a morte. Nessuno gli può togliere la vita. Non uccidere. Ha dei diritti il carcerato. Va sempre rispettato come persona umana. Nessuno lo potrà privare della sua umanità. Ha dei diritti il rifugiato politico, l’esule, il forestiero, l’immigrato, colui che sbarca ogni giorno sulle coste di un paese non suo. Ha il suo diritto il bambino appena concepito. Una società è umana quando sa rispettare tutti i diritti di ogni suo componente. Un solo diritto calpestato la rende disumana. Il nostro Paese non è povero perché privo di risorse umane e naturali. È povero perché in esso non ha più vigore la legge morale. La legge morale non si impone dall’esterno, ma dal cuore, dalla coscienza, dallo spirito. Il nostro Paese è povero perché moltissimi hanno perso la coscienza, il cuore, lo spirito, l’anima. Questa è la vera ragione della nostra povertà. Siamo un corpo evoluto nei vizi, senza coscienza, senz’anima.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di coscienza retta e di anima pura.

29 Giugno 2014

Allora lo strapperai anche dal mio altare

Per il Signore la vita è sacra e sempre la si deve custodire nella più grande sacralità. Nessuno deve arrecare danni alla vita dei suoi fratelli, in nessun modo, altrimenti è responsabile dinanzi a Dio e agli uomini. Quando il danno è mortale ed è volontario esso va espiato con la morte. Quando invece esso è involontario, anche se è mortale, su di lui non si potrà fare vendetta. Non era sua intenzione uccidere. La morte non è un atto voluto. È un incidente.

Sappiamo che il Signore ha abolito la pena di morte. All’uomo ha tolto con la rivelazione successiva questo potere. L’ha riservato a Sé. A Lui spetta ogni giustizia e ogni vendetta. È giusto però che noi riflettiamo, meditiamo sulla Scrittura per entrare in profondità nel mistero della verità che essa contiene. Alcune domande ci aiuteranno a capire ciò che è volontario e ciò che è involontario, ciò che è accidente e ciò che invece deve essere considerato un atto voluto.

Si pianta, si fa crescere, si raccoglie, si prepara, si commercia, si spaccia la droga, veleno di morte per ogni uomo. Se essa non uccide subito il corpo, uccide fin da subito lo spirito, la mente. Tutti coloro che dalla piantagione alla trasformazione e allo spaccio e anche al consumo, prestano la loro opera, compiono un atto volontario di morte spirituale e fisica. Sono responsabili dinanzi a Dio e agli uomini di un così grande peccato. Se uno muore, non è un incidente. È un atto volontario. È atto volontario per chi la droga ha dato e per chi l’ha assunta.

Una persona si mette al volante della propria autovettura o del proprio mezzo sotto l’influsso dell’alcool o della droga o di altro materiale che inibisce le percezioni, con il suo gesto uccide un suo simile. Si può parlare di incidente? No. Si deve parlare di atto voluto. Azione diretta. È atto voluto nel momento in cui ha assunto la droga, l’alcool. Assumendo questi veleni sapeva che avrebbe perso l’uso della mente, dei sensi, lo sapeva e lo ha fatto. Quanto segue è conseguenza di un atto voluto in precedenza. Ogni atto ci rende responsabili di tutti gli atti successivi. Non si tratta di un incidente. È un vero omicidio.

Un ragazzo non studia medicina. Si compra gli esami. Se dinanzi ad un ammalato sbagliala diagnosi e questi muore, è lui il responsabile della sua morte. È responsabile perché non ha studiato. Lui sapeva che esercitando la medicina da ignorante avrebbe potuto uccidere qualcuno. Dinanzi a Dio è responsabile di omicidio. Dinanzi agli uomini può inventare mille scuse. Dinanzi a Dio non vi sono scuse. È responsabile di omicidio anche chi gli ha venduto gli esami. La scienza va esercitata con la scienza. Senza scienza non si può esercitare la scienza.

Colui che colpisce un uomo causandone la morte, sarà messo a morte. Se però non ha teso insidia, ma Dio glielo ha fatto incontrare, io ti fisserò un luogo dove potrà rifugiarsi. Ma se un uomo aveva premeditato di uccidere il suo prossimo con inganno, allora lo strapperai anche dal mio altare, perché sia messo a morte. Colui che percuote suo padre o sua madre, sarà messo a morte. Colui che rapisce un uomo, sia che lo venda sia che lo si trovi ancora in mano sua, sarà messo a morte. Colui che maledice suo padre o sua madre, sarà messo a morte.

Quando alcuni uomini litigano e uno colpisce il suo prossimo con una pietra o con il pugno e questi non muore, ma deve mettersi a letto, se poi si alza ed esce con il bastone, chi lo ha colpito sarà ritenuto innocente, ma dovrà pagare il riposo forzato e assicurargli le cure. Quando un uomo colpisce con il bastone il suo schiavo o la sua schiava e gli muore sotto le sue mani, si deve fare vendetta. Ma se sopravvive un giorno o due, non sarà vendicato, perché è suo denaro. Quando alcuni uomini litigano e urtano una donna incinta, così da farla abortire, se non vi è altra disgrazia, si esigerà un’ammenda, secondo quanto imporrà il marito della donna, e il colpevole pagherà attraverso un arbitrato. Ma se segue una disgrazia, allora pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido.

Quando un uomo colpisce l’occhio del suo schiavo o della sua schiava e lo acceca, darà loro la libertà in compenso dell’occhio. Se fa cadere il dente del suo schiavo o della sua schiava, darà loro la libertà in compenso del dente (Es 21,12-27).

La responsabilità è anche per un prete dinanzi ad un’anima che si danna per sua grave ignoranza. Perché non ha studiato come sarebbe stato conveniente studiare, perché non si è aggiornato, perché ha esercitato alla leggere il suo ministero. Per ogni anima che si perde per la sua grave omissione, è responsabile dinanzi a Dio. La vita dell’altro, sia per il tempo che per l’eternità, è sacra presso Dio. Sacra deve essere per ogni uomo. Chi in qualsiasi modo priva la vita dell’altro di un qualche bene ad essa dovuto, è responsabile dinanzi al Signore per l’eternità. Gesù dice che se una nostra parola vana dovesse danneggiare il fratello, ne siamo responsabili. Anche di essa dobbiamo rendere conto al Signore oggi e nel giorno del giudizio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, convinceteci di questa responsabilità.

06 Luglio 2014

Anche il suo padrone dev’essere messo a morte

Per ogni azione che avviene in seno alla comunità degli uomini vi è sempre un responsabile. Anche quando il danno è causato da un animale domestico vi è sempre una persona che è chiamata rispondere del male fatto. Nessuna azione è senza responsabilità umana. I tre principi per determinare quello che comunemente viene detto peccato mortale – materia grave, piena avvertenza, deliberato consenso – vanno sempre letti alla luce della Rivelazione.

Sulla materia grave non vi è alcun dubbio. Un omicidio è un omicidio. Nessuno potrà mai dire che la materia non sia grave. Così come è materia grave una calunnia che lede in modo serio la dignità e la moralità di una persona. Il problema sorge quando si parla di piena avvertenza e di deliberato consenso. La Scrittura che oggi offriamo alla lettura e alla meditazione non possiede i nostri criteri di sapere (piena avvertenza) e di volere (deliberato consenso), limitati al momento in cui il fatto grave avviene. È questo un passaggio delicatissimo che deve essere compreso.

Il sapere accompagna tutto l’iter dell’opera che uno fa. Due esempi illuminano il ragionamento. Quando una persona scava una cisterna, sa che essa costituisce un pericolo. Chi vi transita potrebbe cadere in essa inavvertitamente. Questa scienza empirica è sufficiente per determinare la piena avvertenza. Per questo motivo chi scava una cisterna è obbligato a coprirla in modo che nessuno vi possa cadere. Se non la copre è responsabile del male che essa causa. Ha deliberatamente scelto di non coprirla. Sapeva, non lo ha fatto, è responsabile.

Il secondo esempio è quello del bue che cozza con le corna. Qui il deliberato consenso e la piena avvertenza variano e quindi anche la colpa è differente. Se il bue ha già manifestato segni di violenza, il proprietario è obbligato ad una custodia stretta. Se non lo custodisce, è responsabile come se fosse lui ad operare il misfatto. Se invece non conosceva il bue come violento, è responsabile perché suo proprietario. In questo caso la sua responsabilità è di gran lunga inferiore. S’intende per la prima volta. La seconda volta è responsabile per intero, senza alcuna attenuante. Sapeva, ma nulla ha fatto perché il suo bue non provocasse alcun danno.

Quando un bue cozza con le corna contro un uomo o una donna e ne segue la morte, il bue sarà lapidato e non se ne mangerà la carne. Però il proprietario del bue è innocente. Ma se il bue era solito cozzare con le corna già prima e il padrone era stato avvisato e non lo aveva custodito, se ha causato la morte di un uomo o di una donna, il bue sarà lapidato e anche il suo padrone dev’essere messo a morte. Se invece gli viene imposto un risarcimento, egli pagherà il riscatto della propria vita, secondo quanto gli verrà imposto. Se cozza con le corna contro un figlio o se cozza contro una figlia, si procederà nella stessa maniera. Se il bue colpisce con le corna uno schiavo o una schiava, si darà al suo padrone del denaro, trenta sicli, e il bue sarà lapidato.

Quando un uomo lascia una cisterna aperta oppure quando un uomo scava una cisterna e non la copre, se vi cade un bue o un asino, il proprietario della cisterna deve dare l’indennizzo: verserà il denaro al padrone della bestia e l’animale morto gli apparterrà. Quando il bue di un tale cozza contro il bue del suo prossimo e ne causa la morte, essi venderanno il bue vivo e se ne divideranno il prezzo; si divideranno anche la bestia morta. Ma se è notorio che il bue era solito cozzare già prima e il suo padrone non lo ha custodito, egli dovrà dare come indennizzo bue per bue e la bestia morta gli apparterrà. Quando un uomo ruba un bue o un montone e poi lo sgozza o lo vende, darà come indennizzo cinque capi di grosso bestiame per il bue e quattro capi di bestiame minuto per il montone (Es 21,28-37).

Questi due brani della Scrittura insegnano una altissima verità: un uomo non è responsabile dell’atto diretto semplicemente. Quest’atto può essere fatto anche senza scienza, senza conoscenza, senza alcuna volontà immediata. È però responsabile di tutte le cause che l’atto immediato hanno posto in essere. Una persona si ubriaca, si droga, prende medicine che alterano le sue percezioni visive e uditive, si mette al volante. Lui è responsabile di qualsiasi cosa succede. Quando sale in macchina può anche mancare di ogni governo di sé, lui è ugualmente responsabile perché prima sapeva dei pericoli e nonostante questa scienza ha assunto ugualmente alimenti che non si confanno con la guida di una vettura. La piena avvertenza e il deliberato consenso sono posti al momento dell’assunzione degli alimenti invalidanti. Poiché in questo momento vi è la scienza e la volontà, la responsabilità è in toto. Altro invece è il caso in cui uno dovesse venire drogato a sua insaputa. Responsabile in toto è colui che ha servito la droga. Sapeva gli effetti che questa produce e l’ha data ugualmente. Costui possedeva scienza e volontà. Da colui che pianta, a chi raccoglie, a chi lavora il prodotto, a chi lo trasporta, a chi lo smercia, a chi lo prende, ognuno è responsabile in toto del male operato. Ha la scienza del male e collabora volontariamente. Questa morale va insegnata ad ogni uomo. Nessun atto è irresponsabile. Questa verità oggi manca all’uomo.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la legge della responsabilità.

13 Luglio 2014

Se il sole si era già alzato su di lui

La morale è quella scienza che studia gravità, intenzionalità, responsabilità, pena da infliggere per ogni atto umano o anche atto dell’uomo. L’atto umano è quello fatto dall’uomo come persona dotata di intelligenza, discernimento, volontà, scienza e coscienza. Vi sono atti che noi diciamo naturali, ma anche questi non sono privi di conseguenze morali per chi li compie.

Non vi è pertanto per ogni atto una valutazione generale. Ogni atto va valutato per se stesso. Ognio caso è differente da un altro. Per questo esiste la casistica: per discernere gravità, responsabilità, materia, coinvolgimento per atto umano oppure come puro e semplice atto dell’uomo. Un esempio potrà aiutarci a comprendere la differente natura di un atto. Avviene un furto, una rapina. Uccidere per legittima difesa e sparare ad un ladro in fuga non è la stessa cosa. Come non è la stessa cosa se si uccide non strettamente per legittima difesa, potendo noi salvare la nostra vita in modo differente. Ogni caso va analizzato, studiato, valutato secondo la legge della morale vera. La morale falsa è arruffata, confusa, imbrogliata.

Spesso succede che si voglia giustificare un omicidio come legittima difesa, mentre in verità è puro omicidio volontario, dal momento che il ladro è in fuga ed è molto lontano, nell’impossibilità di nuocere. Noi tutti però non viviamo di morale vera, bensì falsa. Una società che vive di morale falsa, non ha alcuna legge vera che la possa tutelare. Oggi poi nel nostro mondo l’immoralità è dilagante. Ognuno è arbitro di se stesso. Manca la morale che regola la vita comune. Tutto ormai è diventato un diritto, ma il diritto senza la morale, è puro arbitrio, puro disordine sociale. Fondare il diritto sull’immoralità è creare una società disumana.

Se un ladro viene sorpreso mentre sta facendo una breccia in un muro e viene colpito e muore, non vi è per lui vendetta di sangue. Ma se il sole si era già alzato su di lui, vi è per lui vendetta di sangue. Il ladro dovrà dare l’indennizzo: se non avrà di che pagare, sarà venduto in compenso dell’oggetto rubato. Se si trova ancora in vita e ciò che è stato rubato è in suo possesso, si tratti di bue, di asino o di montone, restituirà il doppio.

Quando un uomo usa come pascolo un campo o una vigna e lascia che il suo bestiame vada a pascolare in un campo altrui, deve dare l’indennizzo con il meglio del suo campo e con il meglio della sua vigna. Quando un fuoco si propaga e si attacca ai cespugli spinosi, se viene bruciato un mucchio di covoni o il grano in spiga o il grano in erba, colui che ha provocato l’incendio darà l’indennizzo. Quando un uomo dà in custodia al suo prossimo denaro od oggetti e poi nella casa di costui viene commesso un furto, se si trova il ladro, quest’ultimo restituirà il doppio. 7Se il ladro non si trova, il padrone della casa si avvicinerà a Dio per giurare che non ha allungato la mano sulla proprietà del suo prossimo. Qualunque sia l’oggetto di una frode, si tratti di un bue, di un asino, di un montone, di una veste, di qualunque oggetto perduto, di cui uno dice: “È questo!”, la causa delle due parti andrà fino a Dio: colui che Dio dichiarerà colpevole restituirà il doppio al suo prossimo.

Quando un uomo dà in custodia al suo prossimo un asino o un bue o un capo di bestiame minuto o qualsiasi animale, se la bestia muore o si è prodotta una frattura o è stata rapita senza testimone, interverrà tra le due parti un giuramento per il Signore, per dichiarare che il depositario non ha allungato la mano sulla proprietà del suo prossimo. Il padrone della bestia accetterà e l’altro non dovrà risarcire. Ma se la bestia è stata rubata quando si trovava presso di lui, pagherà l’indennizzo al padrone di essa. Se invece è stata sbranata, ne porterà la prova in testimonianza e non dovrà dare l’indennizzo per la bestia sbranata. Quando un uomo prende in prestito dal suo prossimo una bestia e questa si è prodotta una frattura o è morta in assenza del padrone, dovrà pagare l’indennizzo. Ma se il padrone si trova presente, non deve restituire; se si tratta di una bestia presa a nolo, la sua perdita è compensata dal prezzo del noleggio. Quando un uomo seduce una vergine non ancora fidanzata e si corica con lei, ne pagherà il prezzo nuziale, e lei diverrà sua moglie. Se il padre di lei si rifiuta di dargliela, egli dovrà versare una somma di denaro pari al prezzo nuziale delle vergini (Es 23,1-16).

Dagli esempi, o casi morali, presi in considerazione dallo stesso Creatore e Signore dell’uomo, per mezzo di Mosè, si evince che spesso anche dove l’uomo pensa di potersi scaricare la sua responsabilità, questa rimane. Lo inchioda. Lo obbliga a soddisfare la pena. Anche una morale senza pena non ha alcun senso. La morale di Dio prevede la pena nel tempo e nell’eternità. Noi tutti oggi non vogliamo una immoralità senza alcuna pena? Non ci appelliamo forse tutti alla misericordia di Dio senza alcun pentimento e senza alcuna soddisfazione? La morale di Dio ha la certezza della pena e questa è anche eterna, per sempre. Vi è anche la pena temporale, quella che si sconta nel purgatorio. La morale di Dio senza pena è inesistente. È questa la falsa morale dell’uomo. Questa si che è puro arbitrio, pura immoralità, pura disumanità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vivere di vera morale.

20 Luglio 2014

Le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani

L’uomo può anche pensare, credere, ritenere, stabilire, legiferare la non esistenza di Dio. L’uomo è un “fattore” di cose stolte, insensate, empie, idolatriche, malvagie, cattive, nefande. Ogni qualvolta si corrompe nella natura – e sempre si corrompe quando è nel peccato – l’anima che muore alla grazia causa la morte anche della verità nella sua mente. Le tenebre lo invadono e lui altro non può fare che avere un pensiero di tenebre.

Pensiero di tenebre è senz’altro quello che fonda i diritti dell’uomo sulla falsità. La falsità mai potrà fondare un diritto. Madre di ogni diritto è la verità. È quanto sta succedendo ai nostri giorni. Si stabilisce, si fonda il diritto di una persona sulla falsità. Non su una sola falsità, ma sulla falsità globale: metafisica, fisica, spirituale, morale, scientifica, sociale, familiare, economica, sindacale, amministrativa, gestionale. Questo modo di pensare, volere, decidere è rivelatore del baratro di tenebre nel quale l’uomo sta precipitando. Dalle tenebre decide secondo le tenebre. Ma senza Dio sempre si precipita nelle tenebre più fitte.

Pensiero di tenebre, non di luce, è l’altro secondo il quale l’uomo pensa di poter maltrattare, umiliare, schiavizzare, mal pagare, sfruttare, disprezzare, spogliare i forestieri, togliere loro ogni dignità, trattandoli come esseri inferiori, quasi fossero non uomini, oppure degli animali da lavoro. Questi stessi maltrattatori degli uomini poi adorano gli animali come veri dèi. Per questi dèi esigono leggi speciali, particolari, migliori di quelle che vengono stabilite per lo stesso uomo. Per legge un uomo si può uccidere e nelle nostre città se ne uccidono migliaia al giorno. A costoro si toglie anche il diritto di vedere la luce. Per legge un gatto non si può uccidere. Di queste cose stolte l’uomo ne fa tante. L’uomo stolto è un legislatore di stoltezze.

L’uomo può pensare qualsiasi cosa. Deve però sapere che sopra la sua stoltezza vigila il Signore, quel Signore che Lui per legge ha stabilito che non debba esistere, proprio Lui interverrà oggi e nell’ultimo giorno per chiedergli ragione di ogni sua opera. La promessa del Signore contro tutti i maltrattatori dei forestieri fa pensare: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani”. Ridurre le mogli a vedove e i figli ad orfani è una pena tremenda da potersi vivere. Prima di tutto significa che quanti maltrattano i forestieri saranno falciati dalla morte. Questa appena ne vede uno, gioisce nel falciarlo. In secondo luogo la moglie e i figli di costui sperimenteranno solitudine, povertà, miseria, mancanza di ogni cosa. Questa pena così orrenda attesta la gravità del peccato agli occhi del Signore Dio nostro.

Non lascerai vivere colei che pratica la magia. Chiunque giaccia con una bestia sia messo a morte. Colui che offre un sacrificio agli dèi, anziché al solo Signore, sarà votato allo sterminio. Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso. Non bestemmierai Dio e non maledirai il capo del tuo popolo. Non ritarderai l’offerta di ciò che riempie il tuo granaio e di ciò che stilla dal tuo frantoio. Il primogenito dei tuoi figli lo darai a me. Così farai per il tuo bue e per il tuo bestiame minuto: sette giorni resterà con sua madre, l’ottavo giorno lo darai a me. Voi sarete per me uomini santi: non mangerete la carne di una bestia sbranata nella campagna, ma la getterete ai cani (Es 22,17-30).

Il nostro Dio dall’alto dei cieli vede tutte le nostre azioni. Vuole che ogni uomo sia rispettoso verso l’altro uomo. Vuole che gli venga riconosciuta ogni dignità, ogni diritto, ogni stima. Vuole che lo si ami come ognuno ama se stesso. Forse non tutti sanno che il secondo comandamento della carità: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”, non è riferito né al familiare e né al connazionale, bensì proprio al forestiero: “Quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio” (Lev 19,33-34). Dio lo ama così tanto da costituirlo per noi fonte della sua benedizione verso di noi nel tempo e nell’eternità. Vuoi essere benedetto, vuoi prosperare, vuoi godere di ogni gioia? Ama il forestiero come te stesso. Te lo chiede il tuo Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci vivere di grande amore verso tutti.

27 Luglio 2014

Non deporrai in processo così da stare con la maggioranza

Ogni uomo, chiunque esso sia, qualsiasi ministero o ufficio eserciti, qualsiasi lavoro svolga in seno alla comunità, ha un solo obbligo: essere sempre dalla verità, sia divina che storica; sia di Dio che dell’uomo, sia del cielo che della terra. Lui e la verità devono essere una cosa sola, sempre. Quando un uomo non è dalla verità, ma dalla falsità, dalla menzogna, dalla cecità spirituale, dalla malignità, dall’odio, dall’invidia, dalla superbia, è segno che in lui vi è una caduta in umanità. Non è più uomo vero. È divenuto, si è trasformato in uomo falso.

Ogni uomo ha diritto che la sua verità storica gli venga riconosciuta da ogni suo fratello in pubblico e in privato, nei tribunali, in ogni grado di giudizio, ma nella discussione tra amici. Oggi vi è una tendenza, quasi una moda, e consiste nell’assoluto distacco dalla verità storica dell’altro. Regna quella specie di andazzo per cui ognuno si prende licenza di criticare, mormorare, spettegolare, ampliare, deridere, schernire, ingiuriare l’altro nell’assoluta negazione della sua verità storica. Che questo lo faccia un pagano, potrebbe anche essere comprensibile, ma non giustificabile. Lui non è figlio della verità. Ancora la verità non conosce. Ma che lo faccia un cristiano è per lo meno aberrante. Lui è figlio della verità. La verità è la sua professione. Lui è maestro nella verità. Se però non è maestro nella verità storica di un suo fratello, potrà mai esserlo nella verità del suo Dio? Mai. O il cristiano decide di essere sempre dalla verità, per amici, nemici, parte avversa, in ogni settore della vita pubblica e privata o non potrà essere neanche testimone della verità di Cristo Gesù. Quanti non hanno la verità della misericordia, della pietà, del perdono, della scusa, mai potranno essere testimoni di Gesù Signore.

Non spargerai false dicerie; non presterai mano al colpevole per far da testimone in favore di un’ingiustizia. Non seguirai la maggioranza per agire male e non deporrai in processo così da stare con la maggioranza, per ledere il diritto. Non favorirai nemmeno il debole nel suo processo. Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui a scioglierlo dal carico. Non ledere il diritto del tuo povero nel suo processo. Ti terrai lontano da parola menzognera. Non far morire l’innocente e il giusto, perché io non assolvo il colpevole. Non accetterai doni, perché il dono acceca chi ha gli occhi aperti e perverte anche le parole dei giusti. Non opprimerai il forestiero: anche voi conoscete la vita del forestiero, perché siete stati forestieri in terra d’Egitto.

Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, ma nel settimo anno non la sfrutterai e la lascerai incolta: ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo e ciò che lasceranno sarà consumato dalle bestie selvatiche. Così farai per la tua vigna e per il tuo oliveto. Per sei giorni farai i tuoi lavori, ma nel settimo giorno farai riposo, perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero. Farete attenzione a quanto vi ho detto: non pronunciate il nome di altri dèi; non si senta sulla tua bocca! Tre volte all’anno farai festa in mio onore. Osserverai la festa degli Azzimi: per sette giorni mangerai azzimi, come ti ho ordinato, nella ricorrenza del mese di Abìb, perché in esso sei uscito dall’Egitto. Non si dovrà comparire davanti a me a mani vuote. Osserverai la festa della mietitura, cioè dei primi frutti dei tuoi lavori di semina nei campi, e poi, al termine dell’anno, la festa del raccolto, quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi. Tre volte all’anno ogni tuo maschio comparirà alla presenza del Signore Dio. Non offrirai con pane lievitato il sangue del sacrificio in mio onore, e il grasso della vittima per la mia festa non dovrà restare fino al mattino. Il meglio delle primizie del tuo suolo lo porterai alla casa del Signore, tuo Dio. Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre (Es 23,1-19).

A nessun cristiano è concesso di essere dalla falsità, neanche per un solo istante. È anticristiano lasciarsi andare a satire e sarcasmi contro i propri fratelli, per stoltezza intellettuale fuori moda. Quando questo accade, il cristiano si rende non più testimone di Cristo Gesù. Lui è passato alla falsità e Gesù è dalla verità. Un uomo falso mai potrà essere testimone della verità divina incarnata. Il suo cuore non è governato dalla luce, ma dalle tenebre. Tenebre e luce vivono in una contrapposizione eterna. La luce scaccia le tenebre. Le tenebre sono assenza di luce. Giocare con la verità storica di una persona è giocare con la sua vita, il suo cuore, la sua mente, i suoi sentimenti, la sua sensibilità. Per distruggere l’onore di una persona basta un nulla. Per ridarglielo non è sufficiente una intera vita. Quando il disastro è stato prodotto e messo nella storia, diviene impossibile risanare ogni mente e ogni cuore. E tuttavia in questo campo si agisce con grande disinvoltura. Ognuno si prenda la licenza di uccidere il fratello, sapendo che poi gli è impossibile la sua risurrezione. Il cristiano è obbligato a mettere ogni attenzione affinché per sua opera questo mai accada. Lui è l’uomo della verità sempre.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci testimoni della verità.

03 Agosto 2014

Egli benedirà il tuo pane e la tua acqua

I benefici che vengono da servire il Signore sono infiniti, essi vanno oltre la nostra sfera personale e abbracciano l’intera umanità. Superno gli angusti confini del tempo e si riversano nell’eternità. Vanno oltre il nostro corpo perché avvolgono anima e spirito e conferiscono a tutto l’uomo la sua vera dimensione umana. Chi serve il Signore è il solo che si costruisce da vero uomo e aiuta l’umanità nella sua vera umanizzazione. Tutto è dal servizio santo del Signore.

La crisi della nostra società è di vero servizio verso Dio. Poiché è Dio la fonte della vita, della benedizione, della grazia, del progresso, della salute, della gioia, della pace, della riuscita di ogni nostro lavoro, se Lui non viene servito secondo verità e giustizia, Lui chiude le cataratte celesti e la terra diviene un deserto. Senza la benedizione di Dio tutto si spegne.

Voi, governanti, che non dormite la notte, che vi bisticciate, che discutete perché volete un cerchio quadrato e un quadrato cerchio allo stesso tempo, lavorate per il nulla. La vanità delle vostre decisioni è grande, infinita. Vi agitate, parlate, dichiarate, gridate, vi menate anche, ma con quale risultato? Dio non è con voi, perché voi non siete con Lui. La sua benedizione non vi guida, la sua sapienza non vi illumina, il suo amore non vi conduce. Fallirete in ogni vostra impresa. Il vostro potere è solo di carta. Esso non è di vita perché voi non siete nella vita.

Voi, che avete deciso che il vero Dio non debba avere il posto di preminenza nella società da voi presieduta, sappiate che a che il vostro lavoro è vano. Non solo è vano, è anche dannoso. Ciò che voi costruite di giorno, di notte lo divora il Maligno al quale voi avete concesso ogni spazio nel vostro regno. La vostra idolatria distruggerà voi e le vostre decisioni. Sarete travolti dal male al quale avete dato libero accesso, consesso pieno diritto di operare secondo tutta la sua potenza nefasta e distruttrice. Anche voi siete senza la benedizione del vero ed unico Signore. Voi avete scartato Lui, Lui scarterà voi. Vi abbandonerà a voi stessi.

Voi che avete legiferato che la trasgressione dei Comandamenti non è più un male, ma un bene, perché per essa nasce il progresso della vostra civiltà, sappiate che il sangue do ogni aborto, il dolore di ogni divorzio, la “gioia” di ogni eutanasia, il “gusto” di ogni trasgressione sessuale da voi legalizzati è più che pioggia di zolfo e fuoco che si riversano sulla vostra civiltà. Questi orrendi mali vi distruggeranno. Non avete la benedizione del Signore.

Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, da’ ascolto alla sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in lui. Se tu dai ascolto alla sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari. Quando il mio angelo camminerà alla tua testa e ti farà entrare presso l’Amorreo, l’Ittita, il Perizzita, il Cananeo, l’Eveo e il Gebuseo e io li distruggerò, tu non ti prostrerai davanti ai loro dèi e non li servirai; tu non ti comporterai secondo le loro opere, ma dovrai demolire e frantumare le loro stele. Voi servirete il Signore, vostro Dio. Egli benedirà il tuo pane e la tua acqua. Terrò lontana da te la malattia. Non vi sarà nella tua terra donna che abortisca o che sia sterile. Ti farò giungere al numero completo dei tuoi giorni. Manderò il mio terrore davanti a te e metterò in rotta ogni popolo in mezzo al quale entrerai; farò voltare le spalle a tutti i tuoi nemici davanti a te. Manderò i calabroni davanti a te ed essi scacceranno dalla tua presenza l’Eveo, il Cananeo e l’Ittita. Non li scaccerò dalla tua presenza in un solo anno, perché non resti deserta la terra e le bestie selvatiche si moltiplichino contro di te. Li scaccerò dalla tua presenza a poco a poco, finché non avrai tanti discendenti da occupare la terra. Stabilirò il tuo confine dal Mar Rosso fino al mare dei Filistei e dal deserto fino al Fiume, perché ti consegnerò in mano gli abitanti della terra e li scaccerò dalla tua presenza. Ma tu non farai alleanza con loro e con i loro dèi; essi non abiteranno più nella tua terra, altrimenti ti farebbero peccare contro di me, perché tu serviresti i loro dèi e ciò diventerebbe una trappola per te» (Es 23,20-33).

Voi che costruite fabbriche, che coltivate la terra, che intraprendete ogni altro lavoro, voi che siete scienziati, artisti, professori, dottori, medici, ingeneri, professionisti, dirigenti, voi che siete maestri del sacro e del santo, sappiate che senza la benedizione di Dio ogni vostra occupazione sarà avvolta dal fallimento nel tempo e nell’eternità. Consumerete invano le vostre energie. Dio benedice se lo servite con cuore sincero, con animo grato, con pronta obbedienza. Voi che profanate il suo santo giorno svolgendo lavori non necessari, non utili, non indispensabili, anche per voi vale il monito della Vergine Maria ai contadini che lavorano di domenica per raccogliere le loro patate: “Se osserverete il santo giorno del Signore, metterete nei vostri sacchi pietre e si trasformeranno in patate. Altrimenti metterete patate e si trasformeranno in pietre”. Senza Dio tutto il nostro benessere si sta trasformando in grosse pietre, i lastre di marmo, in enormi macigni. Non siamo benedetti perché siamo senza Dio.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a servire il Signore in verità.

10 Agosto 2014

Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti

La più grande opera di misericordia verso l’uomo è fare giungere a lui la vera parola del Signore. Di questa l’uomo ha fame e sete. Di essa ha perennemente bisogno. Il dono della parola vera è l’opera anti diabolica per eccellenza. Non vi sono altre vie per contrastare le opere di morte di Satana se non facendo giungere ad ogni uomo la vera parola del loro Dio e Signore.

Il lutto più grande per un popolo è la carestia di Parola di Dio. È questa una carestia che uccide e divora il paese perché si consegna e si abbandona alla falsità, alla menzogna, ad ogni idolatria. Dio annunzia questa carestia per mezzo del profeta Amos: “Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore Dio – in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore». Allora andranno errando da un mare all’altro e vagheranno da settentrione a oriente, per cercare la parola del Signore, ma non la troveranno. In quel giorno verranno meno per la sete le belle fanciulle e i giovani. Quelli che giurano per il peccato di Samaria e dicono: «Viva il tuo Dio, Dan!», oppure: «Viva la via sacra per Bersabea!», cadranno senza più rialzarsi!” (Am 8,11-14).

Ma come si fa questa sublime opera di misericordia, di infinita carità verso i fratelli? Divenendo noi stessi parola di Dio. Ma come si diviene parola vivente di Dio? Attraverso la frequentazione ininterrotta di Dio. Come il ferro si trasforma in fuoco e dona fuoco immergendosi nel fuoco, rimanendo immerso in esso, così dicasi di ogni uomo. Lui dirà parole di Dio se si immergerà in Dio, se in Lui abiterà per tutti i giorni della sua vita. Mosè rimase immerso in Dio sul monte per quaranta giorni e quando ridiscese era divenuto luce come Dio è luce. Lui ora può dire la Parola di Dio, perché in Dio si è trasformato in sua luce di verità, santità, carità, amore.

Il Signore disse a Mosè: «Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e settanta anziani d’Israele; voi vi prostrerete da lontano, solo Mosè si avvicinerà al Signore: gli altri non si avvicinino e il popolo non salga con lui». Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!». Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto». Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».

Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani d’Israele. Essi videro il Dio d’Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffìro, limpido come il cielo. Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e poi mangiarono e bevvero. Il Signore disse a Mosè: «Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli». Mosè si mosse con Giosuè, suo aiutante, e Mosè salì sul monte di Dio. Agli anziani aveva detto: «Restate qui ad aspettarci, fin quando torneremo da voi; ecco, avete con voi Aronne e Cur: chiunque avrà una questione si rivolgerà a loro». Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte. La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna. Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti (Es 24,1-18).

Oggi molti dicono la parola di Dio, ma vivendo nel mondo e nei suoi vizi. Chi è immerso nel mondo dirà parola del mondo, anche se dice di dare parole di Dio. Ognuno dice ciò che lui naturalmente diviene. Chi si fa mondo, dice parole del mondo, scrive parole del mondo, fa pastorale del mondo, annunzia il mistero secondo il mondo. Non è lo studio della Scrittura che ti farà dire parole di Dio. Dirai parole di Dio se ti trasformi in Dio allo stesso modo che il ferro si trasforma in fuoco. Dirai parole di Cristo se divieni Cristo. Proferirai parole di Spirito Santo se ti lasci trasformare da Lui in un essere spirituale. Mosè rimase quaranta giorno, noi dobbiamo rimaner quaranta anni, tutta la nostra vita. Non si conoscono altre vie per essere parola vivente di Cristo oggi nel mondo. Ama l’uomo chi gli dona la parola di vita. Chi gli dona la parola di morte non lo ama, mai lo potrà amare. Lo odia. È il suo più grande nemico. Il suo avversario più accanito. Il dono della parola vera di Dio è la prima carità, la prima elemosina, la prima opera di misericordia. Quando diamo la parola falsa, siamo Satana per i nostri fratelli.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci datori della parola vera, sempre.

17 Agosto 2014

Lo raccoglierete da chiunque sia generoso di cuore

Dio ricolma gli uomini di ogni bene. La sua generosità è grande più del cielo. Anche Lui è però bisognoso di tante cose. Lui è povero, misero, affamato, assetato, necessita di una casa. È capace l’uomo di donare al suo Dio? Davide indice una colletta per la costruzione del tempio del Signore e il popolo risponde oltre ogni attesa. La sua generosità è grande.

Il re Davide disse a tutta l’assemblea: «Salomone, mio figlio, il solo che Dio ha scelto, è giovane e inesperto, mentre l’impresa è grandiosa, perché l’edificio non è per un uomo ma per il Signore Dio. Con tutta la mia forza ho fatto preparativi per il tempio del mio Dio; ho preparato oro su oro, argento su argento, bronzo su bronzo, ferro su ferro, legname su legname, ònici, brillanti, topazi, pietre di vario valore e pietre preziose e marmo bianco in quantità. Inoltre, per il mio amore per il tempio del mio Dio, quanto possiedo in oro e in argento lo dono per il tempio del mio Dio, oltre a quanto ho preparato per il santuario: tremila talenti d’oro, d’oro di Ofir, e settemila talenti d’argento raffinato per rivestire le pareti interne, l’oro per gli oggetti in oro, l’argento per quelli in argento e per tutti i lavori eseguiti dagli artefici. E chi vuole ancora riempire oggi la sua mano per fare offerte al Signore?». Fecero allora offerte i capi di casato, i capi delle tribù d’Israele, i comandanti di migliaia e di centinaia e i sovrintendenti agli affari del re. Essi diedero per l’opera del tempio di Dio cinquemila talenti d’oro, diecimila dàrici, diecimila talenti d’argento, diciottomila talenti di bronzo e centomila talenti di ferro. Quanti si ritrovarono in possesso di pietre preziose le diedero nelle mani di Iechièl il Ghersonita, perché fossero depositate nel tesoro del tempio del Signore. Il popolo gioì per queste loro offerte, perché erano fatte al Signore con cuore sincero; anche il re Davide gioì vivamente.

Davide benedisse il Signore sotto gli occhi di tutta l’assemblea. Davide disse: «Benedetto sei tu, Signore, Dio d’Israele, nostro padre, ora e per sempre. Tua, Signore, è la grandezza, la potenza, lo splendore, la gloria e la maestà: perché tutto, nei cieli e sulla terra, è tuo. Tuo è il regno, Signore: ti innalzi sovrano sopra ogni cosa. Da te provengono la ricchezza e la gloria, tu domini tutto; nella tua mano c’è forza e potenza, con la tua mano dai a tutti ricchezza e potere. Ed ora, nostro Dio, noi ti ringraziamo e lodiamo il tuo nome glorioso. E chi sono io e chi è il mio popolo, per essere in grado di offrirti tutto questo spontaneamente? Tutto proviene da te: noi, dopo averlo ricevuto dalla tua mano, te l’abbiamo ridato. Noi siamo forestieri davanti a te e ospiti come tutti i nostri padri. Come un’ombra sono i nostri giorni sulla terra e non c’è speranza. Signore, nostro Dio, quanto noi abbiamo preparato per costruire una casa al tuo santo nome proviene da te ed è tutto tuo. So, mio Dio, che tu provi i cuori e ti compiaci della rettitudine. Io, con cuore retto, ho offerto spontaneamente tutte queste cose. Ora io vedo con gioia che anche il tuo popolo qui presente ti porta offerte spontanee. Signore, Dio di Abramo, di Isacco e d’Israele, nostri padri, custodisci per sempre questa disposizione come intimo intento del cuore del tuo popolo. Dirigi i loro cuori verso di te. A Salomone, mio figlio, concedi un cuore sincero, perché custodisca i tuoi comandi, le tue istruzioni e le tue norme, perché esegua tutto ciò e costruisca l’edificio per il quale io ho fatto i preparativi» (1Cro 29,1-19).

Prima di Davide era stato il Signore stesso, tramite Mosè, a chiede un contributo per la costruzione della sua dimora. Non lo impone. Lascia che ognuno manifesti il suo cuore, se è avaro, egoista, tirchio, pauroso, largo, generoso. Ognuno deve mostrare ciò che lui è.

Il Signore parlò a Mosè dicendo: «Ordina agli Israeliti che raccolgano per me un contributo. Lo raccoglierete da chiunque sia generoso di cuore. Ed ecco che cosa raccoglierete da loro come contributo: oro, argento e bronzo, tessuti di porpora viola e rossa, di scarlatto, di bisso e di pelo di capra, pelle di montone tinta di rosso, pelle di tasso e legno di acacia, olio per l’illuminazione, balsami per l’olio dell’unzione e per l’incenso aromatico, pietre di ònice e pietre da incastonare nell’efod e nel pettorale. Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro. Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il modello della Dimora e il modello di tutti i suoi arredi (Es 25,1-9).

Dio è sempre generoso con noi. Se noi chiudiamo il nostro cuore a Lui, Lui deve chiudere il suo cuore a noi. È la nostra misericordia la misura della sua misericordia. Se noi non diamo, Lui non può donare. Se noi non siamo generosi di cuore e di mente, neanche Lui potrà essere generoso di cuore e di mente. Molta povertà oggi è il frutto del nostro egoismo, della nostra paura di dare al Signore. Dobbiamo imparare ad essere generosi con il nostro Dio affinché il nostro Dio sia generoso con noi. La nostra grandezza nel dare è anche grandezza nel ricevere. Per aver dato a Dio, Dio darà a noi la sua eredità eterna. Questo scambio va fatto, se vogliamo essere accolti nelle due dimore celesti. Noi lo accogliamo nella nostra casa e condividiamo con lui ciò che Lui ci ha donato e Lui ci accogliere nella sua casa e condividerà con noi la sua vita eterna. Sono pochi oggi coloro che credono in questa verità. Siamo assai poveri di verità.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fate persone di grande generosità.

24 Agosto 2014

Perché abbia saggezza, intelligenza e scienza

Ogni uomo possiede una vocazione divina. Egli è chiamato a manifestare nel modo più alto, più bello, più santo tutto l’amore di Dio in ogni cosa che lui pensa, dice, opera. Pensieri, desideri, volontà, sentimenti, cuore, corpo, anima devono essere manifestazione della carità del Padre.

Come nel Padre la sua carità è governata dalla sua eterna e divina saggezza, così anche nell’uomo la sua carità, il suo amore, la sua misericordia dovranno essere perennemente governati dalla divina saggezza. Se la saggezza è divina, non è umana. Se non è umana, nessun uomo la può produrre, generare, creare. Se essa è divina, perennemente in Dio la si deve attingere. A Lui la sia deve chiedere con preghiera incessante, quotidiana, atto per atto, desiderio per desiderio, opera per opera, volontà per volontà, decisione per decisione. La descrizione della divina sapienza che ci offre la Scrittura ci rivela quanto essa sia necessaria.

Per questo pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento. L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile. Ho gioito di tutto ciò, perché lo reca la sapienza, ma ignoravo che ella è madre di tutto questo. Ciò che senza astuzia ho imparato, senza invidia lo comunico, non nascondo le sue ricchezze.

Ella è infatti un tesoro inesauribile per gli uomini; chi lo possiede ottiene l’amicizia con Dio, è a lui raccomandato dai frutti della sua educazione. Mi conceda Dio di parlare con intelligenza e di riflettere in modo degno dei doni ricevuti, perché egli stesso è la guida della sapienza e dirige i sapienti. Nelle sue mani siamo noi e le nostre parole, ogni sorta di conoscenza e ogni capacità operativa. Egli stesso mi ha concesso la conoscenza autentica delle cose, per comprendere la struttura del mondo e la forza dei suoi elementi, il principio, la fine e il mezzo dei tempi, l’alternarsi dei solstizi e il susseguirsi delle stagioni, i cicli dell’anno e la posizione degli astri, la natura degli animali e l’istinto delle bestie selvatiche, la forza dei venti e i ragionamenti degli uomini, la varietà delle piante e le proprietà delle radici. Ho conosciuto tutte le cose nascoste e quelle manifeste, perché mi ha istruito la sapienza, artefice di tutte le cose.

In lei c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, agile, penetrante, senza macchia, schietto, inoffensivo, amante del bene, pronto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, tranquillo, che può tutto e tutto controlla, che penetra attraverso tutti gli spiriti intelligenti, puri, anche i più sottili. La sapienza è più veloce di qualsiasi movimento, per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa. È effluvio della potenza di Dio, emanazione genuina della gloria dell’Onnipotente; per questo nulla di contaminato penetra in essa. È riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della sua bontà. Sebbene unica, può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova e attraverso i secoli, passando nelle anime sante, prepara amici di Dio e profeti. Dio infatti non ama se non chi vive con la sapienza. Ella in realtà è più radiosa del sole e supera ogni costellazione, paragonata alla luce risulta più luminosa; a questa, infatti, succede la notte, ma la malvagità non prevale sulla sapienza (Sap 7,7-30).

Oggi dobbiamo confessare che l’uomo, separatosi da Cristo Signore, la vera Sapienza del Padre, è precipitato in un baratro di stoltezza, insipienza, empietà, idolatria, immoralità. La stoltezza costruisce una società disumana, malvagia, divoratrice e distruttrice di se stessa.

Il Signore parlò a Mosè e gli disse: «Vedi, ho chiamato per nome Besalèl, figlio di Urì, figlio di Cur, della tribù di Giuda. L’ho riempito dello spirito di Dio, perché abbia saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro, per ideare progetti da realizzare in oro, argento e bronzo, per intagliare le pietre da incastonare, per scolpire il legno ed eseguire ogni sorta di lavoro. Ed ecco, gli ho dato per compagno Ooliàb, figlio di Achisamàc, della tribù di Dan. Inoltre nel cuore di ogni artista ho infuso saggezza, perché possano eseguire quanto ti ho comandato: la tenda del convegno, l’arca della Testimonianza, il propiziatorio sopra di essa e tutti gli accessori della tenda; la tavola con i suoi accessori, il candelabro puro con i suoi accessori, l’altare dell’incenso e l’altare degli olocausti con tutti i suoi accessori, il bacino con il suo piedistallo; le vesti ornamentali, le vesti sacre del sacerdote Aronne e le vesti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio; l’olio dell’unzione e l’incenso aromatico per il santuario. Essi eseguiranno quanto ti ho ordinato». (Es 31,1-11).

Dio invece ci insegna che anche per le più piccole cose si deve essere pieni della sua saggezza, della sua intelligenza, della sua scienza. Amare senza sapienza è follia.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci Cristo nostra saggezza.

31 Agosto 2014

Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa

uando vi è una tentazione in atto, la fermezza inziale è tutto. Essere fermi per impedire che l’altro cada nel peccato, che apre la porta ad ogni morte sia fisica che spirituale, sia del singolo che della società, è l’opera più grande della misericordia. Per questo occorre che quanti sono posti a capo di un popolo, di una comunità, di una struttura siano forti, capaci di resistere ad ogni tentazione. Mai dovranno essere deboli, altrimenti per la loro debolezza il male si diffonde nelle strutture della comunità da essi custodita ed è la rovina.

Quando in un corpo sociale, religioso, politico, economico entra il peccato, questo corpo viene corroso, dilaniato, abbattuto, condotto alla morte. Oggi la nostra società è nella morte sia politica che economica perché chi è posto a capo di essa non è forte nel respingere le tentazioni, che sempre più agguerrite, bussano alla porta del suo ufficio. La nostra società non può andare bene, mai lo potrà, perché i responsabili di essa mancano di fortezza contro il male. Si permette che il male sotto tutte le sue forme prenda piede e poi si vorrebbe che non vi fosse alcun effetto deleterio, negativo, nefasto. Si pensi a quanti micro furti avvengono ogni giorno nella gestione della cosa pubblica e anche della cosa privata, a quanto sciupio, quanti sperperi e si comprenderà perché le cose non funzionano. Lo scandalo nasce quando vi sono milioni di euro in gioco. I micro furti, lo sciupio, lo sperpero di milioni ne consumano più che venti, trenta al giorno. In un anno non è un miliardo, ma dieci, venti, trenta miliardi che vanno sciupati a causa della debolezza e incapacità di ogni fortezza in chi governa o gestisce la comunità.

Aronne è debole. Acconsente al peccato di idolatria. Permette che un vitello d’oro prenda il posto del loro Dio e Signore. Qual è il frutto di questa sua debolezza? L’ira del Signore che ha nel cuore la distruzione del suo popolo, di quel popolo che aveva con fatica liberato dall’Egitto. Se Mosè non fosse intervenuto con fermezza di preghiera e di argomentazione, il Signore avrebbe cancellato dalla faccia della terra quegli idolatri. La debolezza di uno provoca morte e distruzione. La fortezza di un altro genera vita, riconciliazione, pace, perdono.

Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dal monte, fece ressa intorno ad Aronne e gli disse: «Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa, perché a Mosè, quell’uomo che ci ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto». 2Aronne rispose loro: «Togliete i pendenti d’oro che hanno agli orecchi le vostre mogli, i vostri figli e le vostre figlie e portateli a me». Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani, li fece fondere in una forma e ne modellò un vitello di metallo fuso. Allora dissero: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto!». Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò: «Domani sarà festa in onore del Signore». Il giorno dopo si alzarono presto, offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunione. Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento.

Allora il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”». Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione». Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Perché dovranno dire gli Egiziani: “Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra”? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo. Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”» (Es 32,1-13).

Ognuno di noi riveste nella società un posto di responsabilità. Se vogliamo che attorno a noi regni la vita e non la morte, dobbiamo essere forti nel nostro ministero, ufficio, mansione che svolgiamo. Un padre di famiglia debole, manda in frantumi tutta la casa e così anche una madre. Oggi la rovina della gioventù per buona parte è da attribuire al padre e alla madre. La loro fragilità, debolezza, assoluta mancanza di fermezza, la loro difesa anche dei vizi dei figli e spesso anche il loro incremento, fanno sì che si cresca nel disordine, nel peccato, nella grande trasgressione. Quando la storia passa dinanzi a noi, allora è giusto che prendiamo le sue redini e la guidiamo con molta fermezza e divina verità. È la sua vita e la sua salvezza.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, liberateci da ogni fragilità e debolezza.

07 Settembre 2014

Che cosa ti ha fatto questo popolo?

uando Mosè scende dal monte e incontra il fratello Aronne, gli dice una frase che merita grande attenzione: «Che cosa ti ha fatto questo popolo, perché tu l’abbia gravato di un peccato così grande?». Traduciamo: “Se il popolo ti avesse fatto del male e tu avessi voluto vendicarti di esso, non avresti potuto trovare vendetta più grande di questa”. Applico a me stesso il pensiero di Mosè: “Sono presbitero, vogliono male al popolo di Dio, altro non devo fare che acconsentire a che diventi idolatra. Basta che io lo lasci nella sua ignoranza e dopo qualche giorno già spuntano i primi virgulti dell’empietà e ben presto diventeranno un foresta impraticabile”.

Un presbitero che omette l’insegnamento della rivelazione è il più grande nemico del popolo del Signore. Lo espone all’idolatria, all’empietà, ad ogni genere di trasgressione. Lo rende omissivo nel bene, ne fa un adoratore del male, lo consegna al principe di questo mondo. Nel presbitero vi è la salvezza e la dannazione del popolo. Con la verità lo eleva fino a Dio. Con la falsità lo abbassa fino all’inferno. Con la rivelazione lo santifica. Con la menzogna o pensieri degli uomini lo immerge sempre più nel peccato. Quando un popolo si degrada è un brutto segno. In esso non risplende più la vera parola del Signore. In esso si è eclissata la divina verità.

Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo. Mosè si voltò e scese dal monte con in mano le due tavole della Testimonianza, tavole scritte sui due lati, da una parte e dall’altra. Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole. Giosuè sentì il rumore del popolo che urlava e disse a Mosè: «C’è rumore di battaglia nell’accampamento». Ma rispose Mosè: «Non è il grido di chi canta: “Vittoria!”. Non è il grido di chi canta: “Disfatta!”. Il grido di chi canta a due cori io sento». Quando si fu avvicinato all’accampamento, vide il vitello e le danze. Allora l’ira di Mosè si accese: egli scagliò dalle mani le tavole, spezzandole ai piedi della montagna. Poi afferrò il vitello che avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino a ridurlo in polvere, ne sparse la polvere nell’acqua e la fece bere agli Israeliti. Mosè disse ad Aronne: «Che cosa ti ha fatto questo popolo, perché tu l’abbia gravato di un peccato così grande?». Aronne rispose: «Non si accenda l’ira del mio signore; tu stesso sai che questo popolo è incline al male. Mi dissero: “Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa, perché a Mosè, quell’uomo che ci ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto”. Allora io dissi: “Chi ha dell’oro? Toglietevelo!”. Essi me lo hanno dato; io l’ho gettato nel fuoco e ne è uscito questo vitello».

Mosè vide che il popolo non aveva più freno, perché Aronne gli aveva tolto ogni freno, così da farne oggetto di derisione per i loro avversari. Mosè si pose alla porta dell’accampamento e disse: «Chi sta con il Signore, venga da me!». Gli si raccolsero intorno tutti i figli di Levi. Disse loro: «Dice il Signore, il Dio d’Israele: “Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell’accampamento da una porta all’altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio vicino”». I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e in quel giorno perirono circa tremila uomini del popolo. Allora Mosè disse: «Ricevete oggi l’investitura dal Signore; ciascuno di voi è stato contro suo figlio e contro suo fratello, perché oggi egli vi accordasse benedizione». Il giorno dopo Mosè disse al popolo: «Voi avete commesso un grande peccato; ora salirò verso il Signore: forse otterrò il perdono della vostra colpa». Mosè ritornò dal Signore e disse: «Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d’oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… Altrimenti, cancellami dal tuo libro che hai scritto!». Il Signore disse a Mosè: «Io cancellerò dal mio libro colui che ha peccato contro di me. Ora va’, conduci il popolo là dove io ti ho detto. Ecco, il mio angelo ti precederà; nel giorno della mia visita li punirò per il loro peccato». Il Signore colpì il popolo, perché aveva fatto il vitello fabbricato da Aronne (Es 32,14-35).

Se un presbitero lascia il popolo nell’ignoranza, spetta ad un altro presbitero toglierlo da essa. Dovrà per questo moltiplicare gli sforzi. Dissodare le menti dall’idolatria non è per nulla facile. Condurle fuori da ogni empietà è opera che si può svolgere solo nella santità. L’insegnamento della rivelazione non si compie mai in un giorno. Occorre un impegno senza alcuna interruzione. Sempre sulla breccia per impedire che ogni cuore tolto all’ignoranza venga riconquistato. Il presbitero deve ricordarsi che lui è uomo. Di notte riposa. Il suo nemico non riposa né di notte e né di giorno. In più ne ha inventata un’altra delle sue diavolerie. Ha trasformato la notte in giorno e il giorno in notte. Così quando Lui la mattina di domenica celebra la santa Messa, le sue pecore dormono. Quando poi lui va a riposare, esse si svegliano e riprendono la loro vita disordinata, con la benedizione dei genitori, pronti a giustificare ogni pigrizia e ogni vizio dei loro santi figlioli, bisognosi di tanta commiserazione. Satana oggi è il signore indiscusso delle famiglie. Ha conquistato i figli. Ha reso pieni di comprensione madre e padre. Cosa può fare un povero presbitero? Affidare al vento il suo insegnamento.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci presbiteri veri, santi.

14 Settembre 2014