Tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno

Il vero umanesimo è fatto di purissimo discernimento della verità che nasce dalla storia. Ora la storia di Israele, del popolo del Signore, dalla prima pagina della Genesi, fino all’ultimo Libro del canone dell’Antico Testamento che è il profeta Malachia, attesta e rivela che non è l’uomo che fa la storia, ma il Signore. La storia dell’universo è stata il Signore a farla. Così come è stato sempre il Signore a fare la storia del suo popolo. Ha fatto la storia dell’universo senza alcuna materia preesistente. Ha fatto la storia del suo popolo sempre usando la polvere del niente dell’uomo. Abramo era vecchio, Anna sterile, Mosè era anche lui ricolmo di anni, il popolo schiavo di un potente Faraone e per di più condannato ai lavori forzati, Davide, il loro grande re, era un umile pastore, neanche convocato il giorno in cui Samuele si recò nella sua casa per scegliere il futuro sovrano del suo popolo. Dio è sempre il Creatore della storia dal nulla.

Perché quelli di Nazaret non si aprano alla fede nelle parole lette da Gesù che Lui dichiara compiute nella sua persona? Perché le sue origini sono umili. Ma proprio per queste origini umili avrebbero dovuto aprirsi alla fede. Il loro Dio sempre dall’umiltà e dalla pochezza dell’uomo parte. Quando Gedeone fu chiamato per combattere contro i Madianiti, il Signore gli ridusse l’esercito da trentamila soldati e più a soli trecento uomini e in più sconfisse i Madianiti con uno stratagemma, non fece usare neanche spade e lance. È Lui il Salvatore, il Redentore, il Custode di Israele. L’uomo gli serve per portare Lui, come semplice veicolo. Più umile è il carro e più Lui, il Signore, può lavorare. In ogni momento deve apparire che è Lui il Signore che opera tutto in tutti sempre. Vi è persona più umile di Gesù? Nessuno. Mancando di verità storica, trasformano la falsità del loro cuore in sdegno e anche violento.

Eppure Cristo offre loro le ragioni della sua verità traendole dalla loro storia. Elia fu vero profeta. Ma non opera nessun miracolo in Israele. Fece del bene ad una vedova povera, alla quale garantì un tozzo di pane e anche le risuscitò il figlio. Così anche Eliseo. Lui guarì dalla lebbra solo uno straniero: Naaman il Siro. Eppure di lebbrosi ve ne erano tanti al suo tempo in Samaria. Gesù vuole, servendosi della storia, che è la loro verità, dire che essi, se vogliono possono aprirsi alla fede nelle parole da Lui dette. Lui non si pone fuori della loro storia e delle modalità del suo compimento. È in perfetta sintonia con essa. Al profeta non si chiedono miracoli. Si ascolta la parola. Poi sarà la parola a testimoniare per lui, perché ogni parola del profeta, essendo parola di Dio, infallibilmente si compie. Anche questo è amore di Gesù: aiutare gli increduli perché si aprano alla fede. Mai però Lui potrà nutrire la loro incredulità assecondando le loro richieste di miracoli. Sarebbero inutili. Sempre il miracolo va vissuto in un contesto di amore o di fede. Mai Gesù ha fatto un miracolo per soddisfare la non fede in Lui.

Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino (Lc 4,22-30).

Il segno che essi chiedevano lo dona loro il Padre celeste. Lui non permette che al suo profeta venga fatto del male. Li fa divenire come pietra, immobili. Gesù passa di mezzo a loro e si mette in cammino per andare altrove a predicare. Se gli abitanti di Nazaret avessero voluto, avrebbero potuto comprendere il grande segno offerto loro da Dio e così aprirsi alla fede. Il Vangelo tace. Gesù se ne va e anche Dio se ne va con Lui. Lascia loro il tempo per riflettere, meditare, aprirsi alla più pura fede. Dopo un segno così potente, c’è solo spazio per aprirsi alla fede e iniziare un vero cammino di ascolto. È questa la sola via possibile per costruire l’uomo nuovo. Aiutarlo perché passi dall’incredulità alla fede, dal dubbio alla certezza, dalla disperazione alla speranza, dalla tenebre nella luce. Non si edifica l’uomo nuovo se lo si lascia nelle sue tenebre interiori ed esteriori, nella sua povertà spirituale di totale assenza di Dio nella sua vita. Nonostante il popolo respinga Gesù fino a volerlo uccidere, gettandolo dal precipizio, Lui lavora per la loro conversione e per questo dona loro il segno della verità di ogni parola pronunciata nella sinagoga. Anche il cristiano, nonostante il rifiuto dell’uomo nel credere nella Parola da lui proferita, deve continuare ad amare. Lo esige la verità dell’amore.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci ad amare sempre.